Dopo la tragedia sfiorata e l’anomala sconfitta contro la Finlandia, è stato naturale attribuire le successive grandi prestazioni della nazionale danese alla coesione di un gruppo spinto da motivazioni “superiori” a giocare oltre il proprio livello abituale.
Già alla vigilia della competizione, però, la Danimarca era spesso citata come potenziale outsider: anche solo scorrendo la rosa, infatti, ci si accorge che, su ventisei, ben venti componenti hanno giocato l’ultima stagione in uno dei primi cinque campionati europei, con picchi di rendimento altissimi in Schmeichel, Kjær, Christensen e Højbjerg.
Dopo essere stati eliminati dal Mondiale del 2018 agli ottavi – ai calci di rigore contro la Croazia – i danesi si erano qualificati per l’Europeo da imbattuti, ben figurando anche nelle due edizioni della Nations League e vincendo le prime tre gare di qualificazione al prossimo Mondiale; escluse le amichevoli, in ventuno partite erano arrivate soltanto due sconfitte, entrambe contro il Belgio.
Nonostante il buon livello medio dei singoli, il vero punto di forza di questa squadra risiede in un’organizzazione tattica di altissimo livello per il calcio delle nazionali, che le ha permesso di fare a meno del proprio miglior calciatore e di cambiare sistema di gioco da una partita all’altra o, come contro il Galles, a partita in corso.
Per quanto riguarda Eriksen, nei 43 minuti che ha giocato si era vista chiaramente la sua centralità nella capacità della squadra di rendersi pericolosa – 2 tiri, 2 passaggi-chiave, 7 cross – ma, mentre con il precedente CT Åge Hareide (norvegese, oggi al Rosenborg) la dipendenza dalle sue iniziative era pressoché totale, Kasper Hjulmand ne aveva parzialmente ridotto l’influenza creativa, all’occorrenza utilizzandolo più come un giocatore “di sistema”.
Alla ripresa della partita contro la Finlandia il suo posto era stato preso da Mathias Jensen che, pur essendo piuttosto tecnico, ha caratteristiche più che da regista che da rifinitore; nei giorni successivi Hjulmand è stato bravo a intuire come l’unico in grado di rimpiazzare il dieci, in termini di controllo nello stretto e pulizia tecnica, fosse Mikkel Damsgaard.
Il 21enne della Samp si è fatto trovare pronto: partendo come esterno sinistro nel tridente, ha goduto di molta libertà di movimento, ripagando la fiducia con un gol, un assist e tante preziose ricezioni tra le linee e impreziosendo le sue partite con 2.7 dribbling, 2.3 passaggi-chiave e 5 passaggi verso l’area avversaria per 90’.
I suoi movimenti ad accentrarsi, inoltre, sono stati funzionali a liberare la corsia per lo scatenato Joakim Mæhle, che oltre ad aver segnato due gol è stato fondamentale nel risalire il campo con le sue corse, come dimostrano i dati che, sui 90 minuti, lo collocano al primo posto assoluto sia per corse progressive e al secondo per ingressi palla al piede nell’area avversaria (dietro Spinazzola).
L’ottimo lavoro di Hjulmand e del suo staff ha prodotto una duttilità non scontata, soprattutto per una nazionale: l’idea iniziale, messa in campo all’esordio, era di giocare con un attacco a tre dove Jonas Wind avrebbe agito da falso nove, muovendosi incontro per legare il gioco e lasciare agli attaccanti esterni Martin Braithwaite e Yussuf Poulsen l’attacco della profondità centrale.
Con l’inserimento di Damsgaard, proprio il centravanti dell’FC Copenaghen, che era giunto all’Europeo con grandi aspettative, è stato il grande sacrificato, nonostante nel primo tempo contro la Finlandia non avesse sfigurato.
La ragione del suo accantonamento è tattica: Wind con i suoi movimenti incontro avrebbe creato troppa densità negli spazi in cui si muove il compagno, al contrario di Dolberg o dello stesso Poulsen, più abituati ad allungare le difese con movimenti profondi, da nove classici.
Altro esempio di duttilità è stato il passaggio alla difesa a tre: dopo aver iniziato la competizione con il 4-3-3, la defezione di Eriksen ha reso naturale schierarsi “a specchio” contro il Belgio, a maggior ragione perché, nelle due sfide recenti contro i Diavoli Rossi, le ricezioni negli half-spaces di Mertens, De Bruyne e Carrasco avevano messo in grande difficoltà la linea difensiva a quattro.
Il nuovo sistema, già testato nei mesi scorsi, ha consentito di impostare delle marcature a uomo molto aggressive, con i belgi che, dopo un primo tempo in apnea, sono riusciti a ribaltare il risultato solo grazie all’immenso talento di Eden Hazard e Kevin De Bruyne.
Anche contro il 3-4-2-1 della Russia, dopo le difficoltà iniziali nell’attaccarne il blocco basso, la soluzione aveva funzionato.
Contro il 4-2-3-1 del Galles, invece, i primi dieci minuti avevano mostrato una preoccupante incapacità dei danesi nell’uscire dalla propria metà campo, con i tre difensori marcati a uomo da Bale, Moore e James.
A quel punto, Hjulmand ha avuto la brillante intuizione di passare al 4-3-3, spostando Christensen sulla mediana; l’immediata efficacia della soluzione, che ha mandato fuori giri il pressing gallese, è evidentemente frutto del lavoro svolto in allenamento, a ulteriore dimostrazione della preparazione tattica di questo collettivo.
Miglior attacco del torneo con nove gol – prima nella storia degli Europei a segnarne quattro per due partite consecutive -, la competitività della Danimarca trova conferma in numerose statistiche offensive e difensive.
Tra le sedici partecipanti agli ottavi è terza, escludendo i rigori, sia per xG segnati (dietro Spagna e Paesi Bassi), sia per xG subiti (dietro Italia e Francia) ogni 90 minuti.
Prima per passaggi effettuati verso l’ultimo terzo di campo, la squadra di Hjulmand si è distinta soprattutto per l’ottimo scaglionamento in fase difensiva, trovandosi sul podio per passaggi progressivi concessi in assoluto e anche verso l’ultimo terzo e la propria area di rigore.
Contro la Repubblica Ceca dobbiamo aspettarci una partita molto fisica, tra due squadre simili sotto diversi aspetti: entrambe pressano ad alta intensità e sono tra le prime per duelli aerei ingaggiati e cross effettuati.
Sarà interessante soprattutto la sfida a centrocampo, tra due coppie – Højbjerg e Delaney vs Souček e Holeš – abituate a coprire molto campo e difendere in avanti.
A prescindere dall’assetto che il tecnico danese sceglierà per affrontare il probabile 4-2-3-1 ceco, vedremo quindi molti duelli individuali, il che potrebbe esporre i difensori Čelůstka e Kalas – molto fisici ma piuttosto macchinosi – a pericolosi 1v1 contro attaccanti più rapidi, Braithwaite su tutti.
Comunque vada, questa nazionale si è dimostrata, oltre che un gruppo unito e determinato, una squadra in grado di mettere in campo princìpi di gioco moderni, giocandosela con qualsiasi avversaria.
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