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La battaglia di Ivan

Ci sono persone costrette a travalicare ogni genere di sofferenza anche tra di noi, comuni mortali. Ma quando certe sfortune accadono a calciatori, è ovvio che la visibilità del caso aumenti a dismisura. Ci sono vite che ne escono profondamente segnate, da questi conflitti, quando (peggio) non cedono dinanzi al peso della malattia e del suo sviluppo psicologico. Già vivere la quotidianità diventa un’impresa, pensate poi entrare in campo e correre dietro ad un pallone. Le sezioni sportive delle librerie pullulano di biografie e saggi ispirati o direttamente scritti da personaggi la cui lotta contro il male è divenuta fonte di incoraggiamento verso chi è stato chiamato dal destino ad affrontare la medesima sorte: il primo che mi vien in mente è Francesco Acerbi. E molto spesso il fato ci consegna delle vere e proprie trame mitiche: vale la pena citare quella di Jonás Manuel Gutiérrez, tornato in campo dopo le sedute chemioterapiche post tumore ai testicoli e protagonista (24 maggio 2014) della vittoria sul West Ham grazie a una delle due reti che permisero al suo Newcastle di salvarsi. Non gli rinnoveranno il contratto, cercherà fortuna prima al Depor e poi al Defensa y Justicia, dove milita ancor adesso. La madre racconterà successivamente di aver pensato al suicidio a causa del modo cin cui era stato trattato il figlio (“come un cane”), raccontando di aver pianificato anche il luogo dell’avvenimento: lo stadio dei Magpies, il St James’ Park. Questo a testimonianza della difficoltà anche e soprattutto sotto il punto di vista mentale, a volte ancor maggiori di quello fisico. L’unica fortuna è che ora tutto si possa dire risolto. Almeno per Jonás.

GLI ESORDI

Ivan Klasnić è il protagonista della storia di cui voglio parlarvi oggi. Nasce ad Amburgo il 29 gennaio 1980, da genitori croati ma di origini bosniache, e sin da piccolissimo risulta tremendamente ammaliato dal pallone che rotola. Muove i suoi primi passi a 4 anni, nell’Union 03, dove resterà fino ai 12. Successivamente passa al TSV Stellingen 88, ma il suo vero approdo nel calcio che conta arriva nel 1998. Appena maggiorenne, viene adocchiato dal St. Pauli: nelle fila dei Kiezkicker Ivan gioca per tre stagioni e mezza, il suo score parla di 28 reti in 99 partite. E’ da sottolineare in particolare l’annata 00/01, cominciata col botto (8 reti nelle prime 13 giornate) e terminata a quota 10. Ed è anche grazie al contributo del numero 17 che il club di Amburgo è riuscito a centrare la promozione in Bundesliga.

L’estate del 2001 vede Ivan trasferirsi al Werder Brema. La stagione successiva comincia in modo travagliato, complice anche l’approdo nella massima serie tedesca, e pareva che l’attaccante avesse sofferto la nuova dimensione in cui si trovava a dimostrare il suo valore. Si vedeva ridurre consistentemente il minutaggio, alternava il campo alla panchina, è stato perfino aggregato alle giovanili. Ha cominciato ad accusare problemi fisici che condizioneranno il prosieguo della sua carriera: la sua stagione 2002/03 si è conclusa per Ivan nei primi giorni di febbraio, a causa di una distrazione ai legamenti crociati di un ginocchio. In estate si è fatto trovar pronto, aveva una voglia matta di tornare a giocare e, dopo la preparazione col gruppo, ha confermato le rosee previsioni sul suo futuro facendo il suo esordio col botto nella Bundesliga dei grandi. Nel 20o3/04, il suo bottino parlava per lui: 13 reti e 11 assist in 29 partite. Il suo Werder era riuscito a vincere il campionato e la Coppa di Germania: una macchina da guerra, con Thomas Schaaf che in avanti poteva contare sul brasiliano Ailton (28 reti in quella stagione), sui 23enni Klasnić e Charisteas, su un giovanissimo Nelson Haedo Valdez. La stazione successiva, il 2004/05, è stata positiva sia in Bundesliga (10 reti e 8 assist in 28 partite) che sul palcoscenico della Champions League (5 reti e 2 assist in 7 matches, di cui tutte e 5 contro l’Anderlecht): eliminati dal Lione in coppa, i biancoverdi hanno poi concluso la stagione al terzo posto in campionato. Il risultato? Altra Champions. Eppure, il 2005/06 di Klasnić è stato leggermente meno appariscente nell’ex Coppa dei Campioni (2 gol nelle qualificazioni) ma comunque scoppiettante se si considerano le sue  realizzazioni in Bundes (15 reti e 8 assist in 30 partite). E il mondiale in Germania, con la sua Croazia, altro non è stato che il giusto premio. Col tempo, si era meritatamente guadagnato il soprannome di “killer“. Killer Klasnić: suona bene, no?

L’INCUBO / 1

Qui comincia la parte più triste. L’estate 2006 sarà il watershed della sua carriera. Per lui, la stagione è partita il 13 agosto e finita il 17 dicembre: la rete contro l’Energie Cottbus è stato il picco più alto di un grafico che fa davvero effetto. D’or in poi, la carriera di Klasnić si sposterà dal campo al letto d’ospedale. Nella sosta invernale tra 2006 e 2007 sono infatti emersi dei problemi ai reni. I comunicati dell’epoca sono stati scarni: parlavano di un rene che non funzionava, di un intervengo chirurgico a questo punto necessario, di complicazioni relative ad un intervento all’appendice che il giocatore aveva subito nel novembre 2005. L’intervento è stato dunque effettuato, i medici hanno evidenziato come fosse riuscito con successo, ma qualcosa ha cominciato a non andare. Perchè quella straordinaria macchina che è il corpo umano risulta tanto organizzata quanto complicata, e purtroppo quella di Ivan non aveva riconosciuto il rene impiantatogli. Il rigetto in forma acuta aveva convinto i medici ad asportarlo di nuovo, tenendo sott’osservazione il calciatore che nel frattempo compariva nella lista d’attesa per un nuovo organo.

Nel 2005, infatti, Ivan aveva accusato forti dolori addominali. Il che aveva indotto i medici a valutare le sue condizioni, prima di optare per l’intervento di appendicectomia. Tutto alla grande, il croato era addirittura uscito felice dall’ospedale dichiarando: “Il medico mi ha detto che sono riabilitato e ora anche tutti i farmaci possano essere presi”. E se nel frattempo proseguiva col suo programma a parte, ecco che non erano mancate le frecciatine al tecnico Schaaf (“Sono deluso, ha trascorso le ultime due settimane senza dir una parola a me o agli altri; se siamo in una crisi profonda, l’allenatore ha bisogno di parlare con tutti” dirà Ivan) e la polemica con Miro Klose che aveva difeso il mister (“La motivazione e l’atteggiamento devono venir da sole”). Il Werder era in una profonda crisi, Klasnić certamente non poteva esser al top.

Nei mesi successivi all’intervento (ma questo uscirà fuori più tardi) Ivan aveva messo su peso e talvolta il suo volto aveva assunto una colorazione giallastra. Ulteriori esami medici più approfonditi hanno poi evidenziato come fosse in corso una forte insufficienza renale, e nell’autunno del 2006 la scelta era stata quella di andare sotto i ferri: l’obiettivo, manco a dirlo, era quello evitare che un 27enne vivesse il resto della sua esistenza da pazienze in dialisi (ossia, che avrebbe dovuto per forza presentarsi più volte in ospedale per l’emodialisi). Sarebbe poi emerso come la sua insufficienza renale fosse in gran parte prevedibile. E nelle ore precedenti all’intervento, Ivan aveva lasciato un breve comunicato affidato all’avvocato Peter Horndasch. Era il 23 gennaio. “In questi giorni si  è trasferito in ospedale, dove rimarrà per dieci-dodici giorni. I medici hanno detto come il tempo di riabilitazione sia dalle sei alle otto settimane. Klasnić chiede di concedere a lui e alla sua famiglia, nei prossimi giorni, la pace e la tranquillità di cui ha bisogno per la sua guarigione. Egli ha espressamente ringraziato i suoi fans per il supporto giunto finora, e li aggiornerà circa l’evoluzione del suo processo di recupero a tempo debito”.

Il dramma di Klasnić ha scosso (manco a dirlo) tutta la Germania, Brema uber alles. “La situazione è molto, molto triste per lui e la sua famiglia, siamo tristi e gli auguriamo tutto il meglio, Ivan è un uomo molto buono” aveva dichiarato Frank Baumann. Anche il collega Tim Wiese e Clemens Frits avevano mostrato la loro vicinanza parlando di uno “schock”, mentre Torsten Frings aveva ricordato al compagno la sua vicinanza con un “Ivan sa di poter contare su di noi”. Il connazionale Jurica Vranjes (suo miglior amico) aveva preferito non parlare a causa dello shock, mentre era stato interpellato anche Claas Pawelek (chirurgo presso University Hospital di Eppendorf). E aveva fornito un’immagine relativa alla vita futura del giocatore: “Klasnić dovrà prendere più medicine con una vasta gamma di effetti collaterali nei confronti di un rigetto, e non si deve dimenticare che stiamo parlando di un atleta competitivo che gioca a calcio ad alti livelli. Probabilmente vi sarà una pausa di sei mesi”. Le prime previsioni, ovviamente caute, parlavano di un anno e mezzo di recupero. Ma la sua carriera non sarebbe stata a rischio. Parallelamente allo shock, ecco che il suo club, il Werder, non aveva fatto mancare la solidarietà anche sul piano pragmatico: in fondo, Ivan era comunque un calciatore e la sua degenza stava causando non pochi problemi in vista della sua sostituzione. “Ci auguriamo che Ivan giochi ancora per noi”, il commento del ds Klaus Allofs, “gli offriremo un prolungamento del suo contratto con le attuali condizioni”. E il tecnico Schaaf non era stato da meno: “Prima di tutto è importante che Ivan sia sano di nuovo e gli diamo tutto il tempo, ci auguriamo che la procedura possa avvenire senza problemi e che torni presto a giocare a calcio”.

COMPLICAZIONI

Ho scelto il termine “complicazione” anche se in ambito medico, per indicare l’aggravamento di uno stato di malattia, si utilizza “complicanza”. E l’ho fatto per sottolinear meglio l’idea della difficoltà imprevista che ostacola non solo l’aspetto sanitario bensì l’intera vita. In ogni caso, l’operazione è stata svolta giovedì 25 gennaio 2007. All’attaccante era stato trapiantato un rene. Ma su chi fosse il donatore, o tantomeno sul suo stato di salute, ancora non si sapeva nulla. Horndasch aveva solo detto che il donatore sarebbe provenuto dall‘ambiente personale del giocatore (“strettamente legato a Klasnić”). Si pensava al fratello, poi alcuni avevano parlato della madre. In ogni caso, quando era arrivato l’annuncio sull’esistenza di un donatore compatibile, tutti gridavano al miracolo: normalmente, ci si impiegano in media 6 anni. Eppure non tutto aveva funzionato. Proprio parallelamente alla notizia della vittoria del Werder (3-0 sull’Hannover 96), ecco il diffondersi di voci relative a complicazioni. “Non è in pericolo di vita”, la prontissima smentita di Horndasch. Ma di certo qualcosa non era andato come previsto. Si scoprirà, l’organo proveniente dalla madre era stato respinto. Rigetto acuto, dunque. Il sistema immunitario non aveva accettato il nuovo rene (poi rimosso il venerdì pomeriggio), rendendo assai preoccupanti le sensazioni emerse dalla cartella clinica del giocatore. E allora, erano stati dati sei mesi per indagare sulle cause e approfondire la situazione sanitaria del paziente.

Di nuovo la caccia al rene. Di nuovo la paura. Di nuovo le preghiere per Ivan e la sua famiglia. In più, il tempo che remava palesemente contro l’equipe medica. E un nuovo donatore, se trovato, sarebbe dovuto provenire dalla più ristretta cerchia di Ivan (parente di primo o secondo grado, coniuge o comunque persone con cui vi era uno stretto legame): così vuole il codice etico, in relazione alle donazioni viventi, per scongiurare il traffico di organi. Niente sconti. E soprattutto, altri 9000 pazienti nella sola Germania che erano in dialisi aspettando la compatibilità di un nuovo rene. E oltre al danno pure la beffa: la carriera di Klasnić improvvisamente diventava appesa ad un filo.

DIGRESSIONE MEDICA Dovete sapere che ogni anno, in Germania, avvengono circa 2200 trapianti di reni (ma il numero potrebbe quintuplicarsi,  considerate tutti i pazienti che non riescono a trovare organi adatti al proprio corpo). Ormai, al pari di altre, si può dire che siano diventata quasi operazioni di routine: la sola Università di Medicina di Hannover, in media, impianta un rene al giorno. Normalmente, le cause di insufficienza renale sono diabete, ipertensione e infezioni degli stessi reni. “Il primo anno dopo l’intervento, abbiamo in gran parte tutto sotto controllo” afferma il capo del Dipartimento di Nefrologia locale, Hermann Haller. Oltre a ciò, ecco che le statistiche mostrano come oltre il 90% dei pazienti sia ancora in vita un anno dopo l’intervento. Solo in pochissimi casi sorgono episodi di rigetto acuto. Klasnić, sfortunatamente, è uno di questi. I problemi, semmai, continua Haller, vengono col tempo: più della metà dei pazienti con un nuovo rene muore di infarto o ictus.“Un paziente su due o tre sviluppa il diabete, più della metà un disturbo del metabolismo dei lipidi”. Questo conferma come chi viene sottoposto al trapianto subisca conseguenze all’intero sistema di organi, anche se va detto come in certi casi esse si possano in qualche modo limitare mediante l’assunzione di farmaci. Il discorso di Ivan è ancora più complicato, perchè è stato costretto ad agire contro il suo sistema immunitario, mediante immunosoppressori, così da arginare il rigetto. E gli effetti collaterali di questi tipi di sostanze sono devastanti. Non solo agiscono totalmente contro il sistema immunitario esponendo a rischi enormi, ma sono più che mai sconsigliate anche nel caso di atleti qual’è Ivan. L’unico lato positivo della faccenda è che, sopprimendo le funzioni immunologiche, salgono all’82% le probabilità che il nuovo rene sia ancora funzionante cinque anni dopo l’intervento. La percentuale aumenta se il donatore è vivente e cresce ulteriormente nel caso in cui si tratti di un parente stretto. I rischi per chi offre il proprio organo, in casi come questo, non sono così elevati come si potrebbe pensare perchè col tempo il restante rene impara a “funzionare per due”.

L’INCUBO / 2

“Dio ha voluto che accadesse che esso non funzionasse la prima volta” il commento di un Klasnić triste ma non certamente rassegnato. Troppo forte la voglia di tornar in campo, per mollare. E tanta, tantissima speranza: “Per la nuova stagione, proveranno di nuovo”. Allo stato di allora poteva solo far qualche piccolo giro in moto, spingere il passeggino della figlia Fabiana per qualche breve passeggiata, o magari recarsi in visita ai compagni. Il fatalismo: “Sono venuto a patti con il fatto che mi ha preso tutto il resto, ma non mi aiuta…”. La sfortuna era entrata prepotentemente nella sua vita: nel 95% dei casi il trapianto funziona correttamente. E dal mondo dello sport, ecco due esempi di chi ce l’aveva fatta: il cestista Alonzo Mourning e il rugbista Jonah Lomu. Entrambi avrebbero dovuto continuare la loro carriera con una speciale protezione in fibra di vetro, ma erano tornati ad una normalità. “Se loro sono tornati, posso farlo anch’io” dirà Ivan.

“Come nuovi donatori, due persone provenienti dall’ambiente più vicino a Klasnić sono disponibili”. Alle 10,41 del 30 gennaio 2007, il dottor Horn Dasch lanciava così un nuovo barlume di speranza: i due individui erano la moglie Patricia e il fratello Josip. Quello che tutti speravano, si era materializzato: “Sono così sollevato, dopo esser caduto. Mi auguro che questa volta tutto funzioni”. Dopo Pasqua sarebbe avvenuta l’operazione: del resto, aveva già interrotto la dialisi. “Sto facendo bene date le circostanze, la prossima stagione sarò pienamente pronto ad attaccare di nuovo”. Quanto al contratto, “non ci sono disaccordi. Ho già parlato una volta con Klaus Allofs, ora vorrei farlo ancora e penso che accadrà nelle prossime settimane”. E oltre a questo non mancherà una forte critica ai vari media, duramente disapprovati: “Un tale intervento è una cosa molto privata, ho avuto la sensazione che il terrore abbia contribuito, attraverso i media, al fatto che la procedura sia andata storta l’ultima volta”. In particolare, pare che il tutto fosse rivolto al giornale locale Syker. L’ultima volta ero letteralmente terrorizzato, è stato un incubo”.

In tutto questo, ci tengo a segnalare come nel marzo 2007, prima di una partita contro il Bochum, i tifosi del Werder avevano allestito una gigantesca coreografia in cui ognuno teneva in mano un cartellone bianco col numero 17. Questo il loro modo di dimostrare il sostegno al loro beniamino.

LIETO FINE?

Nel 2007, Pasqua è stata il 7 aprile. Operazione conclusa, questa volta con successo: il rene del fratello (ma più probabilmente sarebbe stato il padre ad offrirlo) aveva permesso a Ivan di sopravvivere. Già l’8, dall’ospedale, Klasnić aveva annunciato di voler quanto prima riprendersi quanto gli era stato tolto dai problemi di salute: “Finora tutto sta andando bene, sono felice e i medici sono soddisfatti”. Il problema principale, ora, era improvvisamente diventato il rinnovo del contratto col Werder. “Sto bene, voglio tornare, il mio nuovo rene mi fa più veloce. Ho toccato la palla per la prima volta, una bella sensazione”. Certo è che la ripresa dell’attività agonistica, a maggior ragione dopo le complicanze, sia stata super controllata dai medici. Per i primi tempi, il massimo a cui Ivan ha potuto aspirare è stata qualche brevissima seduta di jogging in modo leggero. 

Normalmente non metto mai immagini dentro ai pezzi. Ma questa volta faccio un’eccezione: questo è lo striscione tributatogli dai compagni. Danke das Ihr an mich glaubt. Ever Jvan. Finalmente, martedì 20 giugno 2007, il comeback si è palesato. Il primo allenamento coi compagni, un traguardo incredibile. Klasnić, che aveva completato il recupero facendo passi da gigante e riducendo notevolmente i tempi, era stato comunque assistito da un fisioterapista. Ma poco importa. Si era detto felicissimo e, anche se nessuno aveva osato stimare il suo rientro ufficiale in gruppo, pareva che il peggio fosse solo un bruttissimo ricordo. Che tutto l’incubo fosse alle spalle. Che il nuovo contratto fosse pronto per esser firmato, a condizioni invariate. Che Ivan potesse finalmente tornare su quel campo da gioco tanto sognato, per difendere i colori del suo Werder e ricominciare a segnare. Il Killer era finalmente pronto a sparare nuovamente.

Il 28 giugno, si era lasciato andare all’umorismo dichiarando “Il Werder è ancora alla ricerca di una stella di calibro mondiale, qui ce n’è una”. 15 settimane dopo il trapianto, con un contratto esteso fino al 2018: la rinascita era ufficialmente partita. “Ci auguriamo che Ivan vada di nuovo gol per noi, come siamo abituati da lui” le parole brevi ma significative del ds Allofs, accompagnate dal monito a non metter sotto pressione il giocatore. La salute è la cosa più importante. “Non sono ancora tornato in piena salute e dovrò aumentare lentamente la preparazione, tuttavia spero di essere già lì a Bundesliga iniziata”. Il sogno sarebbe stato quello di vederlo in campo l’11 o 12 agosto contro il Bochum. In ogni caso, era preventivato come vi fossero rischi per la salute ancor più notevoli dopo l’operazione. E non mi riferisco solo alla protezione per il rene, quanto ad alcuni valori da sottoporre a continuo controllo. I medici lo avevano scoraggiato. “Mi hai appena detto che sarà difficile ma sono convinto che ce la posso fare…”.

RICONOSCENZA E GRATITUDINE

Il 9 agosto, un’altra batosta: Wilfried Kindermann aveva infatti vietato a Klasnić di allenarsi. E Ivan, come da copione, nemmeno allora aveva mollato: “Naturalmente questo non significa che ora mi arrendo, ma devo andare alla sostanza. Se devo essere onesto, non ho alcun desiderio di formazione individuale”. La grinta, la forza, la determinazione, la rabbia: tutte componenti fondamentali di una lotta per tornare alla normalità. Che gli era stata donata, poi tolta, poi fatta annusare prima che potesse assaporarla e infine portatagli via di botto. Il target, manco a dirlo, è sempre stato il ritorno in campo. Nel settembre, dichiarava “è come una seconda vita” dopo che i medici avevano finalmente dato il loro okay. Si avvicinava sempre di più il suo debutto: l’attesa era snervante ma allo stesso piacevolissima per quanto superato precedentemente da Ivan. In un match di giovedì 25 ottobre 2007, Ivan è tornato in campo contro il Wüsting Altmoorhausen e ha bagnato il suo comeback con una doppietta prima di esser sostituito alla fine del primo tempo. “E’ stato il momento più difficile della mia vita” dichiarava, voltandosi indietro a rimirar il calvario con la mente lucida di chi sapeva di aver finalmente superato tutto. E in effetti, sabato 24 novembre 2007, il suo nome era tra quelli della panchina in occasione dell partita contro l’Energie Cottbus. La prima da titolare è avvenuta il 15 dicembre, contro il Bayer Leverkusen: in campo è stata una furia, il Kiler, intento a sfogare su quel rettangolo verde tutta la voglia di giocare a calcio che i problemi gli avevano represso. Tutto quel desiderio si era riversato quel giorno al Weserstadion: una doppietta e un assist del croato nel 5-2 finale. Ah, anche l’ovazione al momento della sua sostituzione, al minuto 85.

Ed eccolo qui, intento a baciarsi l’indice guardando in alto chissà se per ringraziare Dio o se per cercare tra gli spalti i genitori, il cui sacrificio di un rene aveva permesso al figlio di continuare a giocare. A fine gara, Ivan non riuscirà a trattenere l’emozione: “Mi sono sentito vuoto per cinque secondi ed è stata una sensazione meravigliosa”. Ed ecco poi materializzarsi un sogno chiamato Euro2008. Finita la degenza ospedaliera, un nuovo capitolo della vicenda è stato però aperto.

DIGRESSIONE: EURO2008. Nel 2004, Klasnić era stato convocato da Otto Barić per l’Europeo ma non fu mai impiegato (il che sollevò non poche critiche al ct, viste le brutte performance della nazionale in Portogallo). Con la maglia della Hrvatska nogometna reprezentacija, Ivan non ha mai inciso troppo: una rete nelle qualificazioni al mondiale 2006, poi fu convocato in vista del Mondiale dove una serie di partite assai negative ne aveva minato l’imprescindibilità. Ma Euro2008 era diverso. Klasnić, che agli esordi aveva rifiutato le avances di Rudi Völler e Blaž Slišković (lo avrebbero rispettivamente reso convocabile da Germania e Bosnia ed Erzegovina), si era presentato ai nastri di partenza dell’estate 2008 con un desiderio divampante di parteciparvi. Rientrato dal trapianto e dalla conseguente riabilitazione, arrivava in Austria/Svizzera con una condizione fisica non ottimale ma ben bilanciata da una voglia pazzesca di spaccare il mondo. Ed è così che ha deciso il match contro la Polonia (0-1, gol al 52′) e si è ripetuto al 119′ dell’ottavo di finale contro la Turchia. Peccato poi che al 122′ Semih Şentürk abbia ristabilito il pari, e che ai rigori gli errori di Modrić, Rakitić e Petrić abbiano spento il sogno croato. Ma ancor oggi, dalle parti di Spalato, è ricordato il suo impegno nel corso della manifestazione. In fondo, è l’unico calciatore ad aver partecipato ad una competizione internazionale dopo aver subito un trapianto di organi.

Non in ospedale né in campo, bensì sul terreno dei mass media. Il 27 novembre, il medico sociale del Werder (il dottor Götz Dimanski) aveva infatti criticato le modalità di trattamento del trapianto renale scelte dal collega Arno Ekkehard Lison. Nei primi di gennaio 2008, la stampa parlava del fatto che Klasnić sarebbe tornato in lite con il ds Klaus Allofs, che avrebbe aperto all’addio del giocatore dopo sette anni. La finestra di calciomercato era appena aperta. Scontato pensare come il nome di  Ivan fosse stato avvicinato a qualche squadra. Eppure il numero 17 è regolarmente rimasto a Brema. E ad aprile aveva citato in giudizio due medici del club, rei (secondo l’attaccante) di non aver riconosciuto i suoi gravi problemi renali. E pertanto, aveva avanzato la richiesta di un risarcimento (secondo alcune fonti, di sei cifre) per il dolore e la sofferenza provati in quel drammatico periodo: “Si pagherà per questo”. Per il medico responsabile Goetz Dimanski e il cardiologo Manju Guha (le due figure accusate), il Tribunale di Brema avrebbe però ricevuto ordine di chiedere 1,5 milioni di euro. Il tutto era stato argomentato da un referto di Ulrich Kunzendorf, responsabile del centro per le insufficienze renali dell’ospedale universitario di Schleswig-Holstein, che aveva messo in luce un chiaro peggioramento della situazione a suo dir imputabile alla condotta scorretta dei due. Nello stesso mese di aprile la moglie di Klasnić, Patricia, aveva inoltre lanciato gravi accuse contro Allofs nel corso di una puntata del programma Beckmann. Il fronte di guerra era ufficialmente stato aperto: addirittura la società si diceva disposta a sospendere il croato. Non sarà così, ma dovrà sgomitare e non poco per un posto dal 1′.

La diatriba non si è affatto scemata col tempo, anzi è stata alimentata dai mass media fomentatori come al solito di conflitti del quale si sarebbero serviti per riempire le pagine dei loro giornali. Privacy? Tutela della vita di una persona, prima ancora di un malato? Rispetto verso tutto quanto accaduto? Nah, niente di tutto questo. E mentre la stampa locale ha vissuto di ogni singolo virgolettato uscito dalla bocca di Klasnić, il Werder si è spazientito e così ha fatto capire come l’addio a fine stagione fosse stato inevitabile. Al resto ha pensato il normale corso del calciomercato: il morale della favola è che Ivan è stato accostato a Borussia Dortmund e Besiktas (addirittura era trapelata anche un’offerta di 2 milioni). Il 14 maggio, Allofs ha per la prima volta annunciato la separazione col giocatore, mentre anche lo Stoccarda aveva cominciato a seguire con attenzione l’evolversi della vicenda.

NEW ERA UPCOMING

Inevitabile andarsene da Brema. E per separarsi da quel lungo periodo di vittorie e malattia, di successo e di ingratitudine, Ivan ha scelto un posto assai lontano. Praticamente dall’altra parte dell’Europa. Infatti sono più di 1160 i chilometri che separano la città teutonica da Nantes. Nella Ligue 1, Klasnić ci mette tantissimo impegno. Ha voglia di fare, vuole dimostrare che quelli del Werder avevano torto. E se inizialmente fatica non poco, verso metà stagione dà prova di quel che gli riesce meglio: il 6 dicembre stende da solo il Lione con una doppietta, mentre sarà decisivo anche nei pari contro Valenciennes, Grenoble e Saint Etienne (tutti e tre terminati 1-1 con rete del numero 17) e nella vittoria all’ultima giornata contro l’Auxerre. Sei saranno le reti, in 28 presenze, che tuttavia non riusciranno ad evitare la retrocessione in Ligue 2 de Les Canaris.

L’Atlantique (altro soprannome della società) affonda, ma a Klasnić viene improvvisamente gettata una scialuppa di salvataggio. Dopo quattro gol nelle prime cinque partite di Ligue 2, ecco che le qualità di Ivan sono ritenute sprecate nella seconda serie francese. Si presenta il Bolton, alla ricerca di un profilo come il suo per completare un attacco che già poteva contare su Ricardo Vaz Tê, Johan Elmander e Kevin Davies. Chiamatela pure una scommessa, io preferisco definirla la ciliegina sulla torta. “È un giocatore che abbiamo monitorato per un bel po’, la sua media gol è molto buona e lui ha un pedigree eccellente a livello nazionale e internazionale”: così lo presentava Gary Megson. In ogni caso, l’attaccante croato riesce a far bene anche in Premier: i Wanderers stazionano nella metà classifica, alla fine saranno 14°, e in un campionato vissuto senza troppo patemi d’animo (ma il rischio retrocessione c’è stato, eccome) è emerso il gigantesco approccio di Ivan. Ho fatto un calcolo: dei 39 punti finali, saranno 13 quelli in cui ha messo lo zampino tra gol e assist. 8 reti e 1 assist in 27 presenze: considerate un secondo l’inattività e il duro recupero dallo stop forzato, poi vediamo se avrete ancora il coraggio di dire che sia poco. Verrà confermato con un biennale, a titolo definitivo. Tutto questo, pour le première année. Le secondième sarà migliore dal punto di vista della classifica (Bolton sempre 14°, ma dopo una stagione passata in parte anche in zona Europa League), ma non da quello del singolo. Gol quattro, assist uno: complice anche qualche problemuccio fisico (stiramento all’inguine), la scelta su chi mettere dall’inizio è spesso ricaduta su Elmander e Davies. In quella rosa c’era anche Fabrice Muamba. La terzième è suonata invece come una sorta di comeback to the past: paradossalmente Ivan ha segnato 8 reti e sfornato 5 assist, ma il Bolton stavolta è retrocesso. E lo ha fatto dopo una stagione assai travagliata, vissuta dall’inizio alla fine però con la conferma di Owen Coyle. Quando il tecnico optava per un 4-2-3-1 anzichè il solito 4-4-2, sceglieva spesso qualcun’altro. Oltre a Davies, anche N’Gog concorreva per un posto dal 1′. E sempre paradossalmente, pur avendo giocato meno minuti rispetto ai due colleghi, a fine stagione Ivan sarà il miglior marcatore della rosa.

La fine della carriera di Klasnić è poi andata verso un lento declino. Nell’estate del 2012 il croato si trova senza squadra (il contratto non gli era stato rinnovato) e abbastanza sfiduciato, non solo per gli anni che ormai sono diventati 32. A questo punto entra in gioco il Mainz: Die Nullfünfer (“gli zerocinque”) erano reduci da un’annata anonima che li aveva visti mestamente uscire dall’Europa League al terzo turno preliminare, per opera dei rumeni del Gaz Metan. Non proprio un risultato da festeggiare, insomma, e dunque bisognava ripartire. In avanti, Ivan avrebbe lottato per una maglia con Ádám Szalai ed, eventualmente, il giovane Shawn Parker. Eppure ha trascorso gran tempo in panchina, talvolta nemmeno convocato, poi (proprio quando sarebbe potuto arrivare il suo esordio) un problema al polpaccio lo tiene ko per 6 settimane non consecutive. Rientrato a fatica, si è seduto spessissimo in panchina, in qualche caso pure in tribuna, poi verso marzo era riuscito perfino a timbrare il cartellino contro il Fortuna Düsseldorf. A questo punto, quando la sorte avrebbe potuto e forse anche dovuto estromettersi dalla sua vita, è arrivato un altro ko. Perfettamente ristabilitosi e tornato nelle gerarchie, uno strappo muscolare ha chiuso ogni porta al suo rientro in campo. Stagione chiusa. Tre presenze, una rete, 65 miseri minuti. Ma soprattutto, un credito pressochè infinito con la sorte. Poi lo svincolo nell’estate 2013, e la scelta di chiudere col calcio. A 33 anni.

ULTIMO CAPITOLO?

Primi giorni di ottobre 2016. Di nuovo Klasnić all’interno delle cronache. Come avrete già immaginato, anche in questo caso le notizie sono state tragiche. Si era presentata la necessità di un terzo trapianto di rene, dopo che quello donatogli dal padre (o dal fratello?) aveva smesso di funzionare, cedendo e dunque costringendo Ivan a sottoporsi alla dialisi per 3 volte a settimana. Si sarebbe trovato in condizioni critiche. Un nuovo incubo: i tempi di attesa erano di 7 anni in media (per effettuare l’operazione dall’organo di una persona deceduta però: se ricordate, prima avevo evidenziato come sarebbe meglio per molteplici ragioni effettuarlo da un donatore vivente). L’ultimo capitolo, in ordine cronologico, riguarda il terzo trapianto. E purtroppo è una parte di storia ancora da scrivere.

RECAP – “Vorrei una vita senza problemi”

La vita di Ivan è di nuovo in serio pericolo. Ribadisco nuovamente come siano 7 gli anni in media di attesa per un rene proveniente da una persona deceduta. Ed è assai più triste pensar come questo avvenga dopo altri due trapianti subiti dall’ex giocatore. Li ricapitolo brevemente. Nel gennaio 2007, in cui l’organo della madre fu rifiutato dal corpo del calciatore, e nell’aprile dello stesso anno, quando quello donato dal padre fu invece accettato. Nel 2016 i suoi reni hanno smesso di funzionare, rendendo vano il gesto d’ amore infinito. Quello che è stato fatto dai genitori di quest’uomo, che ha saputo superare momenti difficili. Rendetevene conto, fermatevi un secondo a pensare a quanti sforzi abbiano sopportato madre e padre di questa persona. Non solo a livello fisico, non solo hanno dovuto donare i loro reni per il bene del figlio, ma ora si trovano pure a scontrarsi con una tragica realtà: dopo tutto questo, il problema persiste. E si trovano a vedere il loro figlio soffrire così tanto e in questo modo. Un’Odissea personale, dietro alla quale trova purtroppo posto uno struggente dramma familiare.

Nell‘aprile del 2017 è stato girato un documentario che trovate qui (http://www.ardmediathek.de/tv/Sportclub/Ivan-Klasnic-Warten-auf-die-neue-Niere/NDR-Fernsehen/Video?bcastId=12772238&documentId=41820328), in cui l’emittente televisiva tedesca NDR ha raccolto mezz’ora per spiegare come vada avanti la vita di Klasnić. Sono immagini forti, impossibile non versare qualche lacrima. Tre volte a settimana, Ivan si reca in ospedale. Viene pesato (non deve superare gli 86 chili). Deve stare attento a ciò che mangia e beve: ad esempio, la sua prima colazione consiste in un bicchier d’acqua. Si corica in un posto letto. Ci passerà cinque ore, con le vene bucate per la dialisi, in quella che può definirsi una prigione. Una volta terminato il processo se ne andrà, ma solo dopo che 2,7 chili di liquido gli saranno stati estratti dal corpo.

Guardatelo, quel documentario. E’ struggente. “Mi sono chiesto, pensando perché proprio a me. Dio ha un piano, di essere calmo e di seguire il suo desiderio. I miei genitori ha perso un rene ed è stato difficile per me, ma che Dio benedica entrambi, lui è accanto a me durante questa battaglia”. Non mancano i fasti del passato (“Se fossi sano, io non avrei segnato 28 gol una stagione o Ailton. Abbiamo avuto un buon allenatore, squadra, posizione, tutto era perfetto!, parlando a proposito del suo periodo a Brema). Si finisce inevitabilmente a parlare dei medici (Non sono un esperto, ma i medici avrebbero potuto vedere che qualcosa non andava. Dovevo vederlo, era così grave”), e del terribile primo trapianto (Quando c’è stato il trapianto di rene con mia madre c’è stato qualcosa di sbagliato”).

Eccolo qui, Ivan. Già solo a vederlo così, si restringe il cuore. Racconta poi di aver cambiato l’ospedale per il secondo trapianto: “Sono un giocatore di calcio, ed i giocatori sono superstiziosi. Così non ho voluto un nuovo intervento a Brema, neanche nello stesso giorno (giovedi, ndr), così ho fatto venerdì ad Hannover. Mio padre ha firmato con un nome falso. Mi ricordo quanto ero felice, ho dato le mie vacanze e il mio ritorno. Il Werder mi aveva notato e ha inviato un allenatore speciale”. E continua. “Ero tornato da sei mesi. Non dimenticherò mai gli amici del St. Pauli che nella mia prima partita contro di loro mi hanno dato il benvenuto con una bandiera della Croazia. Immediatamente ho detto che voglio esser trattato normalmente, così è successo. Ho camminato a un ritmo che volevo…”

Di nuovo, si torna alla sua situazione attuale. “Il mio sogno è quello di stare saldamente in piedi e riprendere una vita normale. I miei piedi sono gonfi, pieni di liquido, è difficile…”. Sembra quasi piangere dallo sconforto, Ivan, mentre dalle sue corde vocali parte un fiotto di voce. Contiene il principale desiderio di quest’uomo. “Vorrei un nuovo rene e una vita senza problemi”.

Non ho ancora affrontato un argomento. Ho volutamente scelto di tenerlo per ultimo. Non vi ho ancora detto che Klasnić ha una figlia. Si chiama Fabienne, ha 10 anni. “Credo che tutto sia normale per lei, sa che sono malato e che ho bisogno di andare spesso in ospedale, ma non sa il perché. Non voglio spaventarla. Perchè Ivan è anche un padre che esce dalla dialisi, poi si reca a prenderla da scuola, le prepara da mangiare e la aiuta coi compiti.

Ho finito. Spero che, di quanto ho scritto, vi sia rimasto qualcosa. Questa volta ancor più delle altre. Perchè Ivan Klasnić è un ex calciatore, ma soprattutto il padre di una bambina e il figlio di due genitori. Questa è la storia sua, certo, ma ricalca indirettamente la quotidianità di tantissime altre persone che si trovano a convivere con questa drammatica sorte. Ed è a loro che rivolgo un pensiero adesso, in questo commiato dal sapore ovviamente triste e malinconico.

Matteo Albanese

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