Prima della sua fondazione, attorno al 1750, la porzione di Groenlandia che ospitava Qasigiannguit era del tutto disabitata. I primi a mettervi piede erano missionari luterani (come Poul Hansen Egede), preoccupati di convertire la popolazione locale. Comprensibilmente, non appena arrivati, non trovarono anima viva. In breve tempo però si capì che quel posto esposto venti artici potesse diventare un importante luogo di pesca: gli olandesi vi fecero attraccare le baleniere (oggi Qasigiannguit è la capitale delle balene) e settimanalmente si organizzavano spedizioni di pesce al mercato ittico di Copenhagen. Fu costruita una chiesa, poi un falegname, alcuni ripari per i marinai, quindi un panificio e una birreria. I danesi, prima di tutti, si accaparrarono Qasigiannguit e la resero ufficialmente una colonia. A questo punto però arrivarono i problemi.
Sì, perché Qasigiannguit si trova esposta al forte vento che ripetutamente scoperchiava i tetti delle case. Si provò persino a spostare di 100 metri più a nord l’intero villaggio, in posizione più riparata, ma ugualmente la popolazione faticò a crescere. Nel 1800 gli abitanti erano 31 ma alcuni ripetuti casi di suicidio portarono la Danimarca a revocare al posto lo status di colonia. Qasigiannguit, abbandonata, è stata dunque trasformata in una gigantesca raffineria di petrolio. Che attirò forza lavoro, dunque famiglie, così a distanza di cent’anni tornò in funzione la scuola. Col 1900, addirittura, arrivò un edificio scolastico nuovo di zecca, di ben 18 metri quadrati. Col tempo, si era capito che la sola pesca di balene non sarebbe bastata per garantire il sostentamento: iniziò la caccia alle foche. Nel 1959 è arrivata l’industria dei gamberetti allevati e, sorprendentemente, la popolazione è passata da 300 a 1400 abitanti. Con l’addio ai gamberetti (ricordi Kenneth Kristensen?), nel 1999, si è iniziato ad allevare gli ippoglossi.
La premessa storica è fondamentale perché contro ogni previsione nel 1945 è stato fondato il Kugsak-45 Qasigiannguit: il numero si rifà all’anno di fondazione, mentre Kugsak è la traduzione groenlandese di culbianco, una specie di passero. La storia sportiva di questa società, una delle più antiche della Groenlandia settentrionale, è poi curiosa: attorno agli anni Sessanta ha iniziato a partecipare al campionato di calcio groenlandese (che dura una settimana, comprende 18 partite e fino al 2007 era sponsorizzato da Coca Cola), mentre ci fu un periodo in cui anche a Qasigiannguit si giocava il derby. Da un lato il Kugsak-45, dall’altra il CIF-70, nato (come forse avrete capito) nel 1970. Se il Kugsak rappresentava il tifo degli Inuit autoctoni, il CIF accoglie i consensi della popolazione danese e infatti la lettera C di CIF sta per Christianshåb, la traslitterazione danese di Qasigiannguit.
Alright have my Greenlandic Football Championship
team picked out for my first passport-free trip there, Kugsak-45 pic.twitter.com/fXORRuZzZj— Tyler Weyant (@tweyant) August 15, 2019
Il miglior momento del Kugsak-45 risale al 1995, col primo campionato di Groenlandia vinto dal club. Iniziò così un mini-ciclo vincente per cui il club fu finalista perdente nel 1996, terzo classificato nel 1997, quarto nel 1998, fino a toccare tre secondi posti dal 1999 al 2001. Col nuovo millennio, il Kugsak-45 ha vinto un altro campionato (2002). Nel 2008 però sono subentrati problemi economici, che hanno obbligato il club a chiedere dei finanziamenti pubblici per poter sopravvivere: “La spesa principale è costituita dalle trasferte, dobbiamo noleggiare un aereo perché trasportare venti uomini per 7 giorni in nave diventa costoso. E devono anche mangiare…”. Resta solo un mistero da sciogliere, a questo punto: il curioso logo giallo-nero con due pescatori (pescatori?) e un leone marino. Non è chiaro se lo abbraccino o stiano litigando per l’ambito pinnipede, anche se più autori hanno curiosamente soprannominato i calciatori dei Kugsak-45 “gli abbracciatori di foche”. Vero o falso che sia, alimenta il mistero e la curiosità verso questa pressoché sconosciuta squadra di calcio. Del resto, il nome stesso della città (Qasigiannguit) vuol dire “piccole foche maculate”…
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