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Fenomenologia di Kasper Dolberg Rasmussen

«Jon Dahl Tomasson ha detto che puoi mettergli una donna nuda di fronte e lui non reagirà». Åge Fridtjof Hareide, che convocò Kasper Dolberg per il Mondiale 2018, ne spiegò così la timidezza, una timidezza spesso identificata con scontrosità, che invece non si confà al 22enne di Silkeborg. Pare che suo padre, Flemming Rasmussen, l’idealtipo di uomo danese con capelli biondi e occhi chiari, fosse persino più esuberante di Kasper. Il confine tra realtà e dicerie è però labile a Voel, nello Jutland centrale, dove la famiglia viveva in un bungalow: la madre, Kirsten Dolberg, ex atleta professionista di pallamano, le sorelle Kristina e Freja, che raccontò di come – nelle discoteche di Amsterdam – gli chiedessero se fosse davvero la sorella di Kasper.

A Voel, 1500 abitanti, si pratica la pallamano. Kasper vi giocò sin dai 3 anni, pure per osmosi materna, poi preferì il calcio: s’iscrisse al GFG Voel, passò dodicenne all’academy del Silkeborgs IF, esordì il 23 maggio 2015 in Super League e la stessa estate firmò un triennale con l’Ajax. Mentre il padre Flemming continuava a conservare gelosamente gli articoli di giornale menzionanti il figlio, Kasper perfezionò l’agilità appresa dalla pratica di badminton, atletica e corsa. «Non era bravissimo a calcio ma era davvero dinamico e veloce – ricordò Jacob Tind, suo allenatore, in un’intervista all’olandese de Volkskrant nel marzo 2017 – molti credono sia un sinistro naturale ma non è solo talento, l’ha allenato per ore, per anni».

Il Wolfsburg propose un provino ma John Steen Olsen, scopritore di Ibrahimovic ed Eriksen, lo raccomandò all’’Ajax, nella cui prima squadra debuttò il 26 luglio 2016: schierato da Peter Bosz nel playoff di qualificazione alla Champions League contro il PAOK, impiegò soli 58’ per segnare. Nel successivo novembre, una sua tripletta al NEC Nijmegen rese Kasper il più giovane non olandese di sempre ad esservi riuscito con l’Ajax. Concluse l’anno con 16 reti e 6 assists in Eredivisie, 6 reti in Europa League 2016/17 (tra cui una meravigliosa nel 3-1 sul Lione, che valse agli olandesi la finale di Stoccolma).

In Olanda, Dolberg fu allenato da Dennis Bergkamp e Marco van Basten. Il suo agente era Jens Steffensen, che sulla timidezza del suo assistito dichiarava: «L’ho fatto firmare a 15 anni. Io ho giocato per sei anni in Bundesliga e nella stessa nazionale di Allan Simonsen e John John Sivebæk, conosco un po’ i calciatori di talento». E anche il sopracitato Jacob Tind menzionò la riservatezza del classe 1997: «Pensammo fosse un calo di mentalità, ma lui non gioca a calcio perché gli dicono che può farlo, gioca a calcio perché gli piace». Non senza ostacoli, naturalmente: a 17 anni, Dolberg fu ospitato ad Amsterdam da una famiglia che – per fargli imparare in fretta la nuova lingua – piazzò ovunque delle etichette coi rispettivi nomi in olandese. Poi avrebbe affittato un monolocale, ma la nostalgia di Voel (e della madre, che gli imponeva una dieta ferrea) si fece sentire.

 

«Sono un tipo tranquillo, non uno che grida e vuole essere ascoltato. Io mi sento bene un po’ sullo sfondo, non ho bisogno di gridare» confidò Kasper a DR nell’ottobre 2016. All’Ajax fu inserito dal connazionale Lasse Schøne e condivise passaggi con Frenkie de Jong. Pagato 270mila euro, sfondò dal nulla: 18enne, Bosz lo vide da ala sinistra in Youth League e gli affidò l’attacco orfano di Milik trasferitosi al Napoli. L’idillio si ruppe nel 2018: un infortunio al piede, la concorrenza di Huntelaar e una pesantezza di Dolberg (o forse un atteggiamento ‘laissez-faire’) fecero emergere Tadić falso nueve. L’Ajax, che nell’estate 2017 rifiutò i 45 milioni di euro con cui il Monaco voleva Dolberg per rimpiazzare Mbappé, ne avrebbe accettati 20,5 dal Nizza il 29 agosto 2019.

Tre giorni prima, il gruppo INEOS era sbarcato in Costa Azzurra per un «nouveau depart». Dolberg si presentò dicendo di aver bisogno di una nuova partenza, partenza che accontentò pure il CEO del Silkeborgs IF – Kent Madsen – per cui la somma incassata dal ’97 superava quella relativa a Robert Skov. L’inizio per Dolberg non fu però semplice, complice il furto dell’orologio da 70mila euro da parte di Lamine Diaby-Fadiga. Inizialmente Dolberg pensò a un attacco personale, poi accettò il fatto, il club lo tranquillizzò, lo stesso Diaby-Fadiga porse le scuse e il danese concluse: «Le ho accettate». Raccontò a Nice-Matin di come in Ligue 1 non possa parlare con gli arbitri, su soprannominato ironicamente Blondinette ma ha cominciato a segnare e recentemente ha ricevuto la visita di Alexander e Sebastien Mogensen, giunti in Francia a salutarlo appositamente da Silkeborg. Dolberg spiegò di non perdersi neppure una gara del suo ex club, oggi retrocesso dalla Superligaen.

Matteo Albanese

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