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Due domande a Kaotik747, il rapper del “nuovo” inno francese

«Quanti anni hai?», mi chiede Kaotik747, al secolo Karim Bouchagour, 38 anni, al termine dell’intervista. Io rispondo e lui prende di nuovo la parola: «Conosci Rocky, il film di Sylvester Stallone? Sai, è la storia di un ragazzo che non ha nulla in tasca, ma ha persone che credono in lui. Prende colpi, si rialza. E diventa ancora più forte, più forte, e più forte. Questo è quello che amo di ciò che faccio, serve combattere per riuscire in qualcosa. Anche quando si è sconfitti, restare sé stessi e battersi con ancora più forza. Un giorno, le cose cambieranno ed è questo quel che conta». Dice di essersi sentito un paria: il suo rap divide, sconvolge chi non si aspetta un artista che sostenga le forze dell’ordine, scandalizza chi lo definisce uno sterile patriota o lo chiama “rapper repubblicano“.

Delle quattro partite a cui ho assistito finora all’Allianz Riviera, l’ultima – una vittoria per 3-0 sul poi retrocesso Tolosa, il 21 dicembre 2020 – è preceduta da un video sui maxischermi. Il suo. Si chiama #Project18 e denuncia gli attacchi alla polizia. Tra città e squadra, si cela l’intera carriera di Kaotik747: «Era il 2014. Ho scritto una canzone per la squadra, volevo anche rappresentare la città “avec un rap positif”. Il presidente dell’OGC Nizza, Jean-Pierre Rivère, mi ha contattato: ha adorato il pezzo. Il sindaco Estrosi mi ha offerto la medaglia della città, dicendomi “bravo”. Ero felicissimo». Si definisce un ragazzino “figlio della DDASS”, i servizi sociali francesi. Uscito da una situazione familiare triste, Bouchagour si è dato alla musica. Il suo ultimo album, Sans arme, ni haine, ni violence prende il nome da una celebre frase di Albert Spiaggiari, scritta il 18 luglio 1976 sui muri dell’istituto bancario Société Générale, dopo averne rapinato la filiale nizzarda passando per un tunnel fognario lungo 8 metri, scavato interamente a mano per quasi tre mesi. La “rapina del secolo”.

Riesco a prendere in controtempo Kaotik747 chiedendogli della prima partita che abbia visto dal vivo («Oh, là-là, non saprei proprio, mi sembra un 2-2 ma non ricordo gli avversari»), poi tutt’a un tratto si fa serio. «L’anno della Strage [l’attentato del 14 luglio 2016, N.d.A, quindi il campionato 2016-17], avevamo una squadra fortissima. Avevamo Mario Balotelli, avevamo Vincent Koziello, penso che a fine campionato fossimo terzi. Avevo già scritto una canzone dedicata alle vittime dell’attentato e alla città. Ricordo che all’ultima partita ero all’Allianz Riviera coi miei figli e sui maxischermi c’era il mio video. È stato il più bel momento della mia vita. A fine partita mi hanno concesso un tour d’onore, con Mario [Balotelli, N.d.A], Dante, Yoan Cardinale e tutta la squadra. La gente gridava il mio nome, il più bel regalo che io abbia mai ricevuto». Bouchagour parla di un «legame privilegiato coi calciatori», e prosegue: «Siamo diventati amici, ci si chiama, loro mi hanno sostenuto veramente come degli amici. È come se il rap e il calcio fossero una cosa sola, capisci cosa intendo?».

La sua ultima fatica è un pezzo dedicato alla Nazionale francese in vista dell’Europeo. «Ho preparato un’intervista per un’importante emittente radiofonica, Europe1. Siccome un altro artista ha scritto una canzone per la Nazionale francese [Ecris mon nom en bleu, del rapper Youssoupha, N.d.T], il conduttore mi ha chiesto cosa ne pensassi. Gli ho detto che trovavo il pezzo troppo triste, perché c’è stata la pandemia da coronavirus. Tanti, troppi morti. “Penso che la Francia abbia bisogno di una canzone più gioiosa” – gli ho detto – e lui mi ha chiesto se sarei stato capace di scriverne una io. Gli ho detto di sì, l’ho scritta nella notte, il giorno dopo l’ho inviata. Mi ha detto di averla trovata magnifica, secondo lui in futuro avrà successo. Dopo qualche giorno, abbiamo superato le 110mila visite su YouTube».

Il suo rap nasce da quando, da ragazzino, dopo un arresto, un poliziotto gli parlò «come fosse mio padre», estorcendo a Bouchagour la promessa che non avrebbe più combinato cose stupide. Così il rap di Kaotik747 parla di polizia, pompieri e in più occasioni è sfociato in raccolte fondi per bambini malati: una sua canzone, Fils de flic, “figlio di poliziotto”, è dedicata al brigadiere Eric Masson, ucciso in un’operazione antidroga ad Avignone. «Il fatto di fare un rap positivo, di dire “amo la Francia, rispetto i pompieri e i poliziotti”, ha ucciso la mia carriera. È finita. Ha chiuso le porte alla mia carriera. In Francia molti rapper fanno videoclip con armi da fuoco, droga, io difendo la pace, l’amore. Essere un artista indipendente, oggi, vuol dire fare tutto da solo con gli amici, coi fan». Tant’è vero che, dice, le case discografiche parigine lo hanno rifiutato. E lui è rimasto a Nizza, ai margini dell’Impero, fedele ai suoi principi.

Poi, il 19 maggio scorso, si è recato a una manifestazione indetta dai sindacati delle forze di polizia: «Dovevo cantare davanti a 37mila persone, ma non ho cantato. Ho fatto un discorso, perché sapevo ci sarebbe stato il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin. Il mio discorso era per lui, ho letto le parole della mia canzone Sous le même drapeau. Quando ho finito, c’erano 37mila persone che urlavano il mio nome, vedevo giovani piangere, urlare, è stato incredibile per me, cresciuto in un quartiere popolare. Ed è stata un’emozione, non so come definirla. Un’energia che tocca il cuore, te lo posso giurare, talmente grande che non posso definirla. È stata la prima volta in Francia, credo anche in Europa, che abbiamo visto dei giovani prendere posizione per un rapper. Io ce l’ho fatta, sogno che tutti quelli che non sognano più dicano “guarda, lui viene dalla città ed è riuscito a farlo”. È un messaggio di speranza, di speranza». E ancora: «Ho ricevuto tanti, tanti, tanti messaggi di sostegno, è una cosa incredibile, sai? Ci sono senatori, deputati, oggi ho contattato il presidente Macron». E ancora: «Vorrei essere un simbolo di pace e speranza. Di speranza perché io spiego che si può diventare qualcuno, che tu puoi farcela anche se sei un immigrato – io sono d’origine algerina – e allo stesso tempo amare enormemente la Francia, il paese che mi ha accolto e che ringrazio. Ma voglio portare anche la pace: la Francia è ultimamente diventato un paese molto violento. Io dico: posiamo le armi, fermiamo la violenza e andiamo avanti insieme». Con un nuovo inno, magari: il suo.

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