Con Tudor, la Juve vince. Punto. Il gioco è più verticale, Koopmeiners è tornato a essere un calciatore, e la Champions non è più un’illusione. È un obiettivo
Tre vittorie su tre. Prestazioni in crescita. Un’identità che comincia ad affiorare. Il tutto in meno di un mese. Ora la domanda sorge spontanea, e non ho paura di farla: ma allora non si poteva mandare via Thiago Motta prima? Perché se il problema era davvero la guida tecnica — e oggi sembra proprio così — il rimpianto diventa doppio: per i punti persi, per le figuracce evitate, per una stagione che avrebbe potuto prendere tutta un’altra piega.
Con Tudor in panchina, la Juve non gioca bene in senso classico, ma gioca in modo più logico. Più verticale, più decisa, più compatta. Le idee non sono rivoluzionarie, ma efficaci. La palla viaggia in avanti, non in orizzontale. La pressione è continua. La squadra ha ritrovato gamba, fame, spirito. E guarda caso, con questo atteggiamento, le vittorie sono tornate.
Uno dei segnali più evidenti della svolta si chiama Teun Koopmeiners. Il centrocampista olandese, finito lentamente ai margini con Motta, sembrava svuotato. Oggi è tornato centrale. Corre, imposta, entra in area, segna. E il merito non è magico. Tudor ha cambiato il sistema, ha ridato fiducia a chi sembrava perso, e ha mandato un messaggio chiaro: chi merita, gioca.
È una rivoluzione silenziosa, fatta senza proclami. Ma è proprio questa sobrietà a renderla credibile. Niente slogan, niente “progetti a medio termine”. Solo campo. Solo risultati. E adesso, dopo Lecce, è giusto dirlo ad alta voce: la Champions non è più un miraggio. È lì, a portata di mano. Sarebbe un piccolo capolavoro, considerata la stagione vissuta. Ma sarebbe anche la dimostrazione che quando la Juve fa la Juve, non ce n’è per nessuno.
Il punto dolente resta uno: come ha fatto la dirigenza a non accorgersene prima? Motta non era da Juve, si è visto subito. Idee confuse, spogliatoio freddo, gestione delle risorse sbagliata. Ma si è tirato avanti per mesi, perdendo tempo prezioso e alimentando una mediocrità che oggi appare ancora più colpevole. Io lo dissi mesi fa: alla Juventus non si sperimenta, si costruisce. E si vince. Tutto il resto sono scuse.
Ora Tudor ha poco tempo e tante responsabilità. Ma ha anche un vantaggio: una squadra che finalmente sembra riconoscersi, e che ha voglia di lottare. Non sarà perfetta, ma è una Juve. Una vera. Una che va in campo per fare risultato. Una che non gira la palla all’indietro al 90’, ma cerca il colpo del ko.
Non è ancora tempo di tirare somme. Ma quello che si vede adesso fa ben sperare. E, come sapete, non regalo facilmente elogi, ma qui lo ammetto: con Tudor, qualcosa è cambiato. La Juventus è tornata a mordere. A non subire. A cercare la porta. Serve continuità, certo. Serve lucidità. Ma se l’ambiente regge, se la squadra resta connessa, se la società finalmente fa la società, allora questa potrebbe essere la vera rinascita.
Perché i nomi servono, ma senza un’idea restano titoli di giornale. Tudor ha cominciato con l’essenziale: ha restituito alla Juventus il diritto di crederci. Ora tocca alla squadra dimostrare che non era solo una scossa. Ma l’inizio di qualcosa di serio. Di qualcosa da Juventus.
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