Al netto dei problemi legati alla sconfitta di Firenze, all’atteggiamento, all’ambiente e alla permanenza di Juric, la Roma aveva bisogno dell’apporto dei suoi calciatori dotati di maggior talento per provare ad allontanarsi dal fondo classifica. E ha trovato una risposta, seppur molto parziale, in quanto assolutamente individuale e non di squadra, nella prestazione di Paulo Dybala.
Nella notte di Halloween il fantasma della crisi aleggia pesantemente su un Olimpico freddo e arrabbiato, ma non ostile. La richiesta, neanche troppo sottaciuta, è partita dalla Sud ed è stata accompagnata da tutto lo stadio: tirare fuori gli attributi. Messaggio recepito da Paulo Dybala che gioca una partita totale. L’argentino, schierato da prima punta più per necessità che per scelta considerando la condizione di Dovbyk e lo spessore tecnico di Shomurodov risponde presente. Ha la fortuna e l’intuito di trovarsi al posto e al momento giusto in occasione della giocata folle di Linetty e il merito di trascinare una squadra alla ricerca disperata di una guida dentro il campo.
Dybala lo capisce, sdoppiandosi, a volte anche triplicandosi, nel ruolo di attaccante, centrocampista creativo e regista davanti la difesa. Una Joya, per i cuori giallorossi che chiedono e trovano nel loro giocatore più amato l’atteggiamento richiesto alla squadra. È il resto che preoccupa. Anche perché la squadra di Juric, trovato, nel senso più pieno del termine, il gol del vantaggio, smette di sistematicamente occupare al di là del centrocampo lasciando campo e occasioni a un Torino generoso e poco più. Il valore tecnico della sfida è quello che è. Giocare a calcio è altro e fra i 22 in campo ci riesce solo il numero 21 giallorosso che lascia in eredità quello che spesso gli è stato rimproverato, ovvero la personalità e la capacità di prendersi sulle spalle la squadra.
Dybala ha risposto presente sino a che ha potuto: e non è un caso che dia un senso compiuto a una squadra che ha poco altro da dire e dare senza la sua presenza. Al momento della sostituzione, si spegne totalmente la luce. Inevitabile, ma anche inquietante in prospettiva, perché l’idea di legarsi a un calciatore storicamente intermittente per continuità di rendimento e presenze, al netto della vittoria scacciacrisi, non è esattamente la prima pietra su cui poggiare la versione 2.0 dell’era Juric. Piuttosto un rischio che la Roma si accolla per necessità e poca virtù. Difficile pretendere di più, quindi meglio accontentarsi.
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