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Quando John Carew abbatté l’Arsenal

La sera di mercoledì 4 aprile 2001, Arsène Wenger si sistemò con la consueta eleganza alsaziana la cravatta e ringraziò lo spirito bellico di Highbury. Se dodici giorni dopo si sarebbe presentato al Mestalla di Valencia con un cospicuo vantaggio, dodici che oltre ai giorni erano anche le gare nelle quali la difesa valenziana aveva subito sole sei reti, era principalmente grazie alla reazione rabbiosa e francofona della sua squadra: al 58′ l’Arsenal seppe rispondere al vantaggio di Ayala grazie a un tap-in di Henry su azione orchestrata dall’asse Vieira-Wiltord, poi due minuti dopo Ray Parlour baciò la traversa interna lasciando attonito Cañizares. Wenger ebbe allo stesso modo rimpianti, visto che Henry aveva avuto almeno un’altra nitida occasione per aumentare il passivo, e non ebbe torto perché a conti fatti fu la serata in cui l’Arsenal uscì dalla Champions League 2000/01. A Valencia, il 17 aprile successivo, vigeva infatti l’immutabile legge dei Taronges allora imbattuti da sedici gare. Héctor Cúper preparò la gara confermando nove undicesimi della formazione scesa in campo, spedì in panchina Pablo Aimar e puntò le sue fiches sul norvegese John Carew. Lille John, o La Jirafa se si preferisce evidenziare la sua origine gambiana, fu l’uomo decisivo: al 16′ impegnò Seaman, emulato in un paio di occasioni da Henry, poi al 76′ svettò a colpire di testa un cross di Angloma facendo esplodere il Mestalla. Il derby nordico con lo svedese Freddy Ljubrgerg – presentatosi ad Highbury all’andata con degli orribili quanto stravaganti capelli viola – peraltro in una gara di ritorno arbitrata da un fischietto danese, lo vinse proprio Carew.

Lørenskog non è esattamente la città norvegese più celebre: un tempo era noto per le segherie alimentate ad acqua e la kirke, chiesa, interamente costruita da mattoni misti a pietra calcarea. Oggi invece la Coca Cola vi ha posto uno stabilimento e il Metro Senter ospita negozi frequentati dall’intera popolazione della Gulbrandsdalen, «valle di Guldbrand», tra cui i fedeli di Heidel, una chiesa sperduta tra le vallate presso la quale John Carew e la sorella minore Elizabeth furono battezzati e cresimati. John a quei tempi giocava nel Lørenskog, dove si mise in luce tanto da attirare le attenzioni del Vålerenga. Al resto pensò la sorte, perché proprio in quel 1997 l’Oslos stolthet («orgoglio di Oslo») fu promosso in Tippeligaen e vinse la Norgesmesterskapet. Carew debuttò il 14 luglio 1997. Nemmeno un anno dopo – il 13 luglio 1998 – segnò il primo gol nella massima serie norvegese. Un ulteriore anno dopo – nell’estate 1999, dopo 30 reti in 58 partite coi Bohemene – fu voluto dal Rosenborg, che investì su di lui 23 milioni di corone. Il resto fu emblematico: nel dicembre 1999 Carew segnò al Bernabéu, nel marzo 2000 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera. In tutto questo il 18 novembre 1998 aveva debuttato con la nazionale norvegese in occasione di un pari con l’Egitto in amichevole (1-1), diventandone il primo calciatore di colore.

La svolta per Carew avvenne nell’estate 2000, col trasferimento al Valencia motivato dalla passione per i viaggi e 8 milioni di euro versati sul conto del club norvegese più titolato. Ebbe immediatamente l’occasione di imprimere il suo nome nella storia, vista la storica campagna di Champions League 2000/01: un suo colpo di testa come detto eliminò l’Arsenal, in semifinale lasciò la scena a una doppietta di Juan Sánchez (utile per battere il Leeds degli australiani Kewell e Viduka), poi il 23 maggio 2001 s’inchinò nella finale di San Siro al Bayern Monaco nonostante avesse segnato il suo rigore. Quanto avvenuto poi, compresi i complimenti di Martin O’Neill (che lo volle espressamente all’Aston Villa per sostituire Milan Baroš) e la possibilità di una John Carew Arena finanziata dal comune di Lørenskog, sarebbe tutto stato successivo. Pure l’approdo alla Roma, un prestito dalle otto reti in 29 gare nel 2003/04, e l’esordio da attore avvenuto prima nel film Høvdinger, girato da Irasj Asanti – in cui a Carew è cucita su misura la parte del mafioso russo Igor – e poi in Black Frost, parte di una trilogia che secondo la stampa norvegese sarà la più costosa di tutti i tempi. Ad ogni modo Carew non regalò effetti speciali solo con quel colpo di testa, il 17 aprile 2001. Già, perché mercoledì 19 marzo 2003 l’Arsenal tornò a Valencia nell’ambito della fase a gironi di Champions: i Taronges non avevano più Cúper in panchina (allenava Benítez) ma quel norvegese sì. Un destro al 34′ e un colpo di testa al 57′ – inframezzati dal provvisorio pareggio firmato Henry – fecero vivere nuovi incubi a Wenger.

Ecco il tabellino di quel Valencia-Arsenal 1-0 (17 aprile 2001)
Valencia: (4-4-2): Cañizares; Angloma, Ayala (dal 50′ Djukic), Pellegrino, Carboni; Mendieta, Vicente, Baraja, Angulo (dal 68′ Aimar); Carew, Juan Sánchez (dal 73′ Zahovic). All: Héctor Cúper. A disp: Palop, Alonso, Albelda, Aurelio.
Arsenal (4-4-2): Seaman; Dixon, Keown, Adams, A. Cole; Laurén, Parlour (dal 46′ Ljungberg), Vieira, Pirès (dal 77′ Kanu); Henry, Wiltord. All: Arsène Wenger. A disp: Manninger, Grimandi, M. Upson, Luzhny, Vivas.
Rete: 76′ Carew. Ammoniti: Angulo, Mendieta (V), Keown, Parlour (A). Arbitro: Milton Nielsen (Danimarca).

Matteo Albanese

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