Nell’estate del 2010 comprai un giornale sportivo che aveva riunito i migliori prospetti del calcio europeo. Sfogliando le pagine mi rimase impresso il nome di Toni Kroos, dritto dritto dall’esperienza Leverkuseniana pronto a tornare in casa Bayern, e tutt’ora lo ricordo con piacere vista la grande carriera che sta portando avanti. Tra tantissimi altri talenti del calcio di quegli anni, tutti ammassati in quelle pagine tanto approfondite e tanto ben disegnate, anche un altro mi rimase in testa. Era Jack Wilshere, un nome che subito mi incuriosì perché tra i tanti giganti del calcio inglese che dominavano in quegli anni, lui si presentava come un piccoletto di 172 cm, dal baricentro basso ma che aveva i mezzi per poter dominare il mondo del calcio.
La carriera di Jack Wilshere è stata una carriera molto altalenante ed è tutt’ora un giocatore atipico per la Premier League. Wilshere infatti gioca trequartista i primi anni all’Arsenal, è mancino ed è tutt’altro che un bestione britannico tutto muscoli e gambe. Bravo nel primo controllo, tatticamente intelligente, tecnicamente sopraffino, continua ricerca delle verticalizzazioni e del dribbling. Tutte queste stupende qualità, le mette in mostra in maglia Arsenal, a meno di 16 anni, nel Novembre del 2008. Da prova di una gara gigantesca contro il Wigan in coppa di Lega.
La sua prestazione rimane impressa nei ricordi dei supporters che iniziano già a ideare i primi canti da lanciare in curva. E non passa molto tempo che Wilshere viene messo sotto contratto da Arsene Wenger nell’estate del 2009, a 17 anni. Dopo alcune esperienze fuori dai Gunners torna a Londra nel suo prime calcistico. Nel 2011 è assoluto protagonista, regala partite entusiasmanti in palcoscenici da brividi. Come quella più famosa in Champions League, titolare a 19 anni e chiavi del centrocampo in mano. L’avversario? Poca roba, solo il Barcellona di Messi, Xavi e Iniesta (ma non solo).
Wilshere però diede forma a tutto il suo talento. Tocchi precisi, eleganza nel saltare l’uomo, visione di gioco, tempismo. I tifosi si esaltarono, tant’è che iniziarono ad arrivare i primi commenti da parte dei big del calcio. Pep Guardiola ci andò leggero: “Jack è un top player. Non solo per l’Arsenal, ma anche per la Nazionale.” Wilshere più tardi rivelerà: “Quella partita se la ricordano tutti perché ho giocato contro la squadra più forte al mondo – ride ndr – ma ho avuto anche altri bei momenti. È vero però che quando ho visto il sorteggio ho pensato, cavolo, questa sarà una lunga notte”.
E la stagione d’oro di Wilshere è proprio la 2011/12, un annata in cui mise in mostra tutto il suo talento in una quasi continua lotta con gli infortuni che iniziarono a dargli battaglia sin da subito. I primi porblemi mal curati diverranno poi gli infortuni che gli segneranno la carriera. Jack Wilshere però gioca una grande stagione e i commenti verso il suo talento non si sprecano. Wenger dirà: “È un giocatore che ha tecnica spagnola ma cuore inglese”.
L’apice forse lo raggiungerà nell’amichevole contro il Brasile, nella vittoria per 2-1 con la sua Inghilterra. Prestazione spaziale e una sorta di rivoluzione calcistica in atto visto che spicca nella trequarti in un campo che pullula di qualità. Oscar, Neymar, Ronaldinho, Wayne Rooney, mica gli ultimi arrivati. Stevie G prima della gara lo definirà “pauroso”. Hodgson invece dirà semplicemente che Wilshere è già uno dei più forti del mondo.
Che favola diremo noi, uno dei giocatori più forti del calcio inglese a 20 anni sta per spiccare il volo. Ed era tutto bellissimo, le sue qualità “spagnoleggianti” per citare qualcuno, sono state un bagliore nella nebbia fitta che aleggia intorno ai campi britannici a tradizione fisica e atletica, con giocatori che si divorano gli spazi grazie a queste due qualità. Wilshere era capace di effettuare belle giocate, era un giocatore affine agli scambi, capace di fare la scelta giusta in piccoli spazi di qualche centimetro.
Ma le favole sono favole, la vita non ha sempre un percorso lineare. Dopo alti e bassi, infortuni a cadenza annuale, frustrazione che sale, carattere – e cuore – puramente inglese che lo portava a scaldarsi in certi frangenti, la carriera di Wilshere inizia a divenire una linea sempre più deforme. La voglia di giocare però è tanta, e così nel 2016 il Bournemouth decise di acquistarlo. Forse uno dei migliori ambienti per lui: una squadra che aveva bisogno di un leader a centrocampo, una squadra giovane, una società ristrutturata da qualche anno pronta ad andare in Premier. “Se qualche anno fa mi avessero detto che sarei andato a giocare in Championship non ci avrei mai creduto”.
In Championship Wilshere gioca un’ottima stagione, in un centrocampo a due, non più dietro le punte. Gioca finalmente con continuità, e gli viene chiesto di disegnare il gioco della squadra. La sua stagione è positiva, ma il Bournemouth deve dirgli addio. I soldi non ci sono. E allora ecco che il percorso di Jackie torna verso Londra sponda Gunners, tra mille frustrazioni anche perché sembra poter essere di nuovo l’arma che può tornare utile all’Arsenal in certi momenti.
Ma prima il mancato rinnovo con Wenger e poi l’arrivo di Unai Eemery tarpano le ali di Wilshere. Al Daily Mail Jack rivelò: “Arrivai da Emery e vidi il contratto nuovo e mi disse “questo è il tuo contratto, ma purtroppo non sei nel mio 11 di partenza” e allora io rimasi davvero frustrato perché pensavo di essere tornato, pensavo di poter tornare a giocare nell’Arsenal”. Da lì in poi l’occasione – positiva – al West Ham e infine Bournemouth. Jack Wilshere si ritrova svincolato all’età di 29 anni.
Sembra assurda la situazione per uno dei talenti più cristallini che l calcio inglese abbia mai avuto a disposizione. Wilshere da poco ai microfoni del Daily Mail ha rivelato alcuni retroscena della sua carriera.
Un volto triste, frustrato che con quasi una sorta di saggezza ammette i propri sbagli: “Purtroppo ho sbagliato tanto in passato, perché non ascoltavo il mio corpo. Sono tornato ad allenarmi in gruppo dopo l’infortunio al menisco, dopo solo 10 giorni! – continua poi con una sorta di amarezza che fa quasi tenerezza “Mettetevi nei miei panni, dovevamo giocare contro il Liverpool, avevo 19 anni, ero sulle ali dell’entusiasmo, avrei dovuto ascoltare i fisioterapisti? Certo. Ma non è così semplice. Loro mi dissero di riposarmi ancora, io volevo giocare, volevo spaccare.”
E non è semplice prendere atto di tutto ciò, certo. L’amarezza in questi casi è forte, soprattutto quando a 29 anni il ritiro è una scelta palpabile. È soprattutto frustrante quando i tuoi figli ti chiedono come mai tu non riesca più a giocare. Però Wilshere non si è mai buttato giù, come ha rivelato lui più volte: “I never lost faith, never tought”. Ora jack passa il tempo ad allenarsi e ad aspettare un club, e guarda tanto calcio: “Amo questa generazione della Nazionale. Foden è come me, lo notai sin da subito. Altri giocatori che vedo con piacere sono grealish e Maddison, hanno grandi qualità, spero che possano fare grandi cose”.
Proprio l’altro giorno ho ritrovato quel giornale sportivo del 2010 e tra i tanti talenti azzeccati, il nome di Wilshere mi ha fatto pensare tanto, mi ha dato quasi un sentimento di tristezza, un uomo che purtroppo ha avuto rimpianti, una cronaca di un giocatore quasi ossimorico, compatibile ma allo stesso inconciliabile con lo sport del calcio
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