La Nazionale italiana non parteciperà ai Mondiali di calcio per la seconda edizione consecutiva. Questo fallimento assume una dimensione più grande rispetto a quello di quattro anni fa, quando l’Italia era ancora un cantiere aperto che di lì a poco sarebbe stato ricostruito sotto la guida di Roberto Mancini.
Contro un’avversaria decisamente modesta non è bastato lo status di Campioni d’Europa. Abbiamo assistito a una partita tecnicamente povera, tatticamente inconcludente e poco entusiasmante. Il ritmo non è mai arrivato ai livello a cui siamo abituati da quest’estate e nessun giocatore si è preso grosse responsabilità durante la manovra offensiva. Hanno regnato incertezza e tensione per l’Italia, anche da parte di un pubblico piuttosto titubante: lo spettacolo offerto non ha convinto chi si trovava al Renzo Barbera, assuefatto dalla mediocrità della prestazione.
I tifosi della Macedonia del Nord si sono fatti sentire per le strade di Palermo fin dalla mattina e non hanno mai smesso di sostenere la squadra in un’impresa che sembrava impossibile. Dalla parte azzurra invece non c’è stata la reazione d’orgoglio che ci si aspettava, ma solo paura. L’Italia è riuscita a costruire qualche buona occasione, ma sotto la porta è mancata la freddezza giusta per poter sbloccare la partita e mettersi in salvo. Nella notte della delusione tra i giocatori scelti da Mancini spicca soltanto Marco Verratti, padrone del centrocampo che ha predicato in mezzo al deserto, mentre il resto delle prestazioni individuali sono state caratterizzare da diversi errori, da parte di Immobile e Berardi su tutti.
In generale gli undici titolari hanno dato l’impressione di essere mentalmente scollegati, esattamente come accade da settembre. Il dubbio che rimbomba nella testa dei tifosi è se dare fiducia ad alcuni dei giocatori più giovani, schierandoli anche dal primo minuto, avrebbe dato una scossa in più. In questo senso hanno fatto discutere le esclusioni di Scamacca e Zaniolo lasciati in tribuna per alcuni problemi fisici.
Sommariamente, colpisce l’indifferenza e la scarsa attenzione -anche mediatica- che si riserva alla vicenda. Per tutti i tifosi è stata semplicemente la seconda volta. È quindi questo il grande rischio che ci ritroviamo ad affrontare: l’abitudine alle basse pretese. Paradossalmente, chi ha ancora memorie di una Nazionale vincente è più deluso di un qualsiasi ragazzino che si avvicina al calcio da pochi anni. Dodici anni senza Mondiali formeranno una generazione per cui questa competizione rappresenterà un tabù, un torneo in cui l’obiettivo primario è esserci, non vincere, mentre sui nostri quattro trofei poggerà sempre più polvere.