
EPA/STR
L’Inter si prepara a respingere il Bayern e a proiettarsi verso il derby europeo e uno scudetto che profuma di leggenda. Matteo Ferrante: “Inzaghi è il nostro Ferguson. E il futuro è già iniziato”
La storia non bussa, entra. E domani sera, San Siro si trasforma nel palcoscenico di un sogno che si fa sempre più reale. Dopo la vittoria all’Allianz Arena per 2-1 — una prova da squadra matura, feroce, costruita per dominare — l’Inter ha la possibilità di completare l’opera davanti al proprio pubblico. Non c’è più spazio per i dubbi, per le paure, per i pareggi come a Parma: è il tempo del coraggio.
Il Bayern resta una macchina pesante, tedesca, precisissima nel colpire quando ti scopri. Ma questa Inter ha imparato a difendere il proprio destino con i denti, e ad attaccarlo quando serve. La solidità mentale vista in Baviera, quella gestione dei momenti chiave, il sangue freddo dopo il pari di Müller e la zampata di Frattesi all’89’, raccontano di una squadra che non vuole più essere una comparsa in Europa. Vuole essere padrona. E lo sta dimostrando.
Simone, il nostro architetto
Sì, a Parma ha sbagliato. Sì, ogni tanto i cambi lasciano perplessi. Ma Simone Inzaghi oggi è l’allenatore più importante dell’Inter post-Mourinho. Lo dicono i numeri, lo dicono i trofei, ma soprattutto lo dice la crescita esponenziale della squadra. Ha preso in mano un gruppo ferito, e lo ha trasformato in una macchina da guerra.
E adesso, mentre prepara la partita più importante della stagione, è pronto a rinnovare. Una firma che non è un atto burocratico, ma una dichiarazione d’intenti. Inzaghi può essere il nostro Ferguson: continuità, visione, appartenenza. Niente rivoluzioni, solo evoluzioni. E io lo dico chiaro e tondo: “Se questo è l’inizio di un ciclo, allora sediamoci comodi. Perché sarà spettacolare.”
La sfida nella sfida: guardare avanti senza distrarsi
Dopo il Bayern, c’è il campionato. Dopo il campionato, c’è il derby di Coppa Italia. E poi Bologna, poi i “cugini”. Otto giorni che valgono una stagione, otto giorni che possono valere una vita. Ma la forza dell’Inter, oggi, è quella di vivere il presente con la testa lucida. Una partita alla volta. Un passo dopo l’altro. Perché non serve guardare troppo avanti se inciampi nel primo gradino.
L’idea che ci si possa ritrovare a giocarsi un’altra semifinale contro il Milan è suggestiva. Ma prima c’è da chiudere il cerchio con il Bayern. Con ordine, con calma, con fame. Come direbbe Sun Tzu: “Il guerriero vince prima di combattere.” E quest’Inter, almeno mentalmente, ha già vinto il primo round.
L’Inter è tornata. Ma non è mai andata via
Chi oggi si sorprende dell’Inter in corsa su tre fronti ha solo una colpa: non aver guardato bene. Perché questa squadra è da un anno e mezzo che dà segnali. A qualcuno non bastavano le Supercoppe, le finali di Coppa Italia, la finale di Champions. Bene, adesso c’è anche il primo posto in campionato, il quarto di ritorno di Champions, e una curva che canta con la voce piena di futuro.
Il Triplete non è un’ossessione. È un’idea. Un’ambizione da coltivare, passo dopo passo. Ma se c’è una squadra in Europa che può pensarci senza sembrare folle, è questa. Perché ha equilibrio, profondità, fame. Ha un’identità. E ha un condottiero che, se continua così, fra vent’anni racconteremo ai nostri figli con le stesse parole con cui oggi nominiamo Ferguson o Herrera.
E allora avanti, Simone. Avanti, Inter. Il bello, forse, deve ancora venire.