Inter, Inzaghi deciditi: zero alibi o lamentele perenni?

La formula del tecnico nerazzurro, a metà tra il rifiuto delle scuse e la reiterazione delle proteste, appare sempre più come un paradosso comunicativo

Simone Inzaghi
Ansa foto

Negli ultimi mesi, Simone Inzaghi ha trasformato le conferenze post-partita in un vero e proprio tribunale sportivo. Da settembre 2024 a gennaio 2025, il tecnico dell’Inter ha sollevato un polverone mediatico con le sue ripetute denunce contro le decisioni arbitrali, lamentando un trattamento penalizzante per la sua squadra. “Non vogliamo alibi, ma certi episodi ci condizionano“, ha dichiarato più volte. Eppure, questa formula a metà tra il rifiuto delle scuse e la reiterazione delle proteste appare sempre più come un paradosso comunicativo.

Un doppio binario pericoloso

L’allenatore nerazzurro si trova a gestire una contraddizione evidente: da un lato predica la necessità di autocritica, dall’altro rimarca costantemente il peso degli arbitri sui risultati. Un atteggiamento che rischia di minare la credibilità del suo messaggio e, cosa ancor più grave, di influenzare negativamente la mentalità della sua squadra.

Le sue dichiarazioni più recenti ne sono un esempio lampante: dopo il pareggio contro il Bologna del 15 gennaio 2025, Inzaghi ha parlato di “errori che pesano sul campionato” e di “situazioni che si ripetono troppo spesso“, salvo poi aggiungere che “l’Inter deve pensare solo a se stessa“. Ma può davvero un gruppo crescere e migliorare se il suo leader alimenta una narrazione in cui il destino della squadra è in balia di fattori esterni?

Il riflesso sulla squadra e sulla piazza

Se il tecnico continua su questa linea, il rischio è duplice. Primo, i giocatori potrebbero sentirsi autorizzati a cercare alibi anziché focalizzarsi sulle aree di miglioramento. Secondo, il messaggio trasmesso ai tifosi è altrettanto problematico: il lamento sistematico sugli arbitri sposta l’attenzione dai problemi tecnici e tattici, alimentando una mentalità vittimistica che non appartiene alla storia dell’Inter.

Ed è qui che il confronto con il passato recente diventa inevitabile. Antonio Conte, pur non essendo certo immune da sfoghi mediatici, aveva impostato la sua Inter su un principio chiaro: “Nessuno ci regala niente, quindi dobbiamo essere più forti di tutto e di tutti”. Il risultato? Un cambio di mentalità che ha portato allo scudetto del 2021. Oggi, invece, l’Inter di Inzaghi, pur essendo una squadra solida e competitiva, rischia di perdere quel senso di superiorità agonistica che dovrebbe caratterizzare un gruppo di vertice.

Il nodo valoriale

Ma al di là delle conseguenze dirette sui risultati, c’è una riflessione più ampia da fare sul valore di questo atteggiamento. In un calcio già profondamente condizionato da polemiche, dietrologie e tensioni arbitrali, la narrazione costruita da Inzaghi rischia di rafforzare un modello in cui la responsabilità sportiva viene sistematicamente diluita in fattori esterni. È davvero questo il messaggio che un allenatore di alto livello dovrebbe trasmettere?

Se la vera ambizione dell’Inter è competere ad armi pari con le big europee, la mentalità deve essere quella di chi accetta gli episodi sfavorevoli come parte del gioco e non come una congiura sistematica. Altrimenti, più che una squadra da scudetto, l’Inter rischia di diventare una squadra da processi post-partita.

L’auspicio è che Inzaghi, nel prosieguo della stagione, scelga finalmente una linea chiara: zero alibi o lamentele perenni. Perché in fondo, il calcio premia chi guarda avanti, non chi si guarda indietro.

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