Il trono di Spagna ha il suo nuovo re. La corona torna nelle mani della squadra reale per eccellenza, eredità meritata di un campionato anomalo ma quantomai legittimo. Torna il regno del Real Madrid, quest’anno vincente in un testa a testa che spesso negli anni passati lo aveva visto che perdere con il Barcellona, quest’anno limitato al ruolo di scarso antagonista.
Non ce ne voglia questa squadra, capace di segnare forse l’era più dominante della storia del calcio spagnolo recente, ma l’annata di quest’anno è fin qui totalmente da dimenticare, e il pensiero che solo la vittoria della Champions possa salvare i blaugrana dal terrore degli zero titoli rende l’idea di quanto l’anno non sia stato sufficiente. Anzi, non rende abbastanza: l’emblema di tutto ciò è che quest’anno sono stati celebrati i numeri di Messi: non all’altezza dei precedenti ma comunque ottimi, soprattutto per gli assist, ma appunto numeri. Cosa che non ha mai celebrato il Messi campione, a cui non servono statistiche, per quanto eccezionali, per dimostrare di essere il migliore: è l’ultimo dei colpevoli di una società allo sbaraglio, peraltro penalizzato anche da qualche assenza di troppo a inizio stagione, ma neanche il suo impatto è bastato a mascherare i drammi di una società allo sbando.
Non è tanto un dramma il secondo posto, quanto la percezione che questo ciclo sia in una crisi difficile da raggirare, tra dubbi sulla guida tecnica e una Champions in cui per la prima volta non ci sono aspettative.
Il regno del Real è già partito dalla giornata 37, ma nella 38 sono arrivate altre sentenze pesanti. Partiamo da quelle da dimenticare: le eliminazioni dalle coppe di Getafe e Valencia. Che al Getafe venga considerato un flop un ottavo posto la dice tutta sulla crescita del club, ma per una squadra che fino alla sosta era stata spesso in zona Champions è clamoroso ritrovarsi una sfilza di risultati negativi così lunga, peraltro con beffa nel finale contro il Levante. L’Inter in tal senso può sorridere.
Non può sorridere invece il Valencia, piazza dove un mancato piazzamento nelle sette è per forza un fallimento. La gestione Lim sta prendendo delle pieghe incommentabili e se davvero dovesse essere fatto fuori Parejo si rischierebbe la rivolta popolare. Con ragione.
C’è anche chi festeggia in queste giornate: il Granada su tutti. Quando si pensava che si potessero accontentare della grande stagione da neopromossa è arrivata la zampata decisiva che ha portato alla prima storica qualificazione in Europa. Un traguardo immenso, che dimostra come si possano raggiungere i risultati costruendo a partire dalle idee di gioco, e non a suon di figurine come chi ha rischiato la retrocessione fino all’ultimo secondo. Insomma, non serve per forza l’investimento milionario (per quanto la proprietà nuova cinese sia decisamente solida) per poter ambire a grandi risultati.
Il riferimento è ovviamente al Celta Vigo, che fino all’ultimo secondo è rimasto in bilico tra la Liga e la Segunda, aiutato solo dal calendario favorevole. Una squadra del genere dovrebbe ambire a piazze di classifica decisamente più alte, ma la mancata costruzione di una squadra attorno a una buona rosa ha fatto precipitare il Celta a ridosso del baratro, per una salvezza che avrebbe meritato di più un martoriato Leganés, che nel corso dell’anno ha perso i suoi due pezzi migliori e ci ha creduto fino in fondo.
Ora ci aspetterà un mese per costruire la nuova Liga, che intanto ha accolto otlre al Cadice anche l’Huesca, ritorno flash dalla Segunda, mentre per i playoff si attenderanno ancora delle settimane. Passiamo dal campo al mercato, dal nuovo regno del Real alle indiscrezioni sui prossimi colpi, per un’estate che finalmente trova il suo relax dopo un ottimo divertimento e un campionato che è stat vivo su ogni fronte fino alla fine.
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