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Il ritorno della Serbia

La colonia ortodossa si espande. In attesa del possibile en plein, che passa per la qualificazione della Grecia ai playoff, desta grande interesse il ritorno della Serbia ad un Mondiale: assente dal Sudafrica, dove uscì al primo turno riuscendo comunque nell’impresa di battere la Germania per 1-0, la nazionale balcanica ha chiuso in testa il gruppo D davanti a Irlanda, Galles, Austria (tutte e 3 qualificate allo scorso europeo), Georgia e Moldavia. Ben 6 vittorie su 10 partite, con 20 gol fatti e 10 subiti: passi giganteschi rispetto a tutto ciò avvenuto negli ultimi 7 anni, con una continua parabola discendente che sembrava indicare che il calcio in Serbia fosse stato dimenticato. Una nuova generazione di talenti, mescolati con elementi più anziani, e soprattutto un ct che ha saputo studiare al meglio i propri uomini e ha trovato le giuste contromisure: Slavoljub Muslin, 65 anni il prossimo giugno, può dare un segno tangibile ad una carriera di cui si sapeva solo della finale di Uefa del suo Bordeaux contro il Bayern Monaco nel 1996. Per il resto, molteplici esoneri avevano fatto dubitare il suo valore e soprattutto, in una situazione già disastrosa, il rischio di un flop totale sarebbe stato una mazzata assoluta per lui ma, soprattutto, per la nazionale serba.

20 posizioni recuperate nel ranking e lo sviluppo di un sistema di gioco, il 3-4-3, su cui tutti si basano e attraverso cui si può creare dell’ottimo calcio. Chiavi di volta sono inevitabilmente le corsie esterne, dove i veterani Antonio Rukavina e Aleksandar Kolarov sono insostituibili. Cuore pulsante Nemanja Matic, che dal passaggio in quel di Manchester ha saputo trarre solo benefici che si stanno ripercuotendo anche in nazionale, con a turno gli inserimenti di Luka Milivojevic e Ljubomir Fejsa, Nemanja Gudelj o il giovanissimo Mijat Gacinovic, titolare inamovibile anche nell’Eintracht. Unico neo è sicuramente la vicenda legata al laziale Sergej Milinkovic-Savic, incredibilmente snobbato in maniera molto simile a ciò che accade fra un giocatore dell’altra sponda del Tevere, Nainggolan, e la sua nazionale. Si dice per incompatibilità col sistema di gioco, ma i valori tecnico-tattici sono indiscutibili. Per giugno comunque c’è tantissimo tempo.

In avanti, Aleksandar Mitrovic sembra tutt’altra cosa rispetto a quel che si vede a Newcastle (6 gol in 9 partite), e sulle corsie esterne i vari Tadic, Ljajic e Kostic si danno da fare. Motivi per sbilanciarsi in avanti potrebbero esserci tutti, ma a portare centimetri e, soprattutto, esperienza c’è capitan Branislav Ivanovic, in forza allo Zenit. Leader nello spogliatoio e difensore dalla grandissima esperienza, nonostante gli anni resta un ruolo e un giocatore cruciale,  specialmente quando sei chiamato a giocare partite pesanti. Dove la bravura da sola molto spesso non basta. Dopo poco più di un anno di lavoro, tantissime risposte più che positive sono arrivate e fanno pensare che la giusta via sia stata intrapresa. L’urna potrebbe essere la più bassa, ma le altre se potessero fare  a meno di vedersela con la Serbia acconsentirebbero tranquillamente. Anche perché, al di là del blocco principale, ci sono tantissimi giovani da svezzare e sa poter utilizzare, reduci anche dallo scorso europeo o da euro under 19 del 2015. Sino ad ora troppi esperimenti non son venuti fuori, ma in futuro si potrà aver il polso della situazione con un gruppo più folto e numeroso, che per ovvi motivi ti fa diventare la mina vagante del torneo. E, a diversi mesi dall’inizio, il mondo del calcio si sta ricordando anche della nazionale serba: ritorno gradito a cui stare attenti, perché le sorprese sono dietro l’angolo. La Stella Rossa in questa Europa League l’ha ampiamente dimostrato.

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