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Il Pallone d’oro sudamericano: l’84 e il ’95 di Enzo Francescoli

La sua classe e la sua abilità palla al piede sono state fonte di ispirazione per grandissimi campioni che lo hanno succeduto. In tutto il Sud America è stato un mito di eleganza e tecnica, capace di ridare lustro a una scuola uruguaiana ormai scarna di talenti da troppi anni. Perché Enzo Francescoli ha segnato un decennio, e anche oltre, riuscendo a far innamorare di sè perfino la dura e critica platea europea.
Nacque a Montevideo all’inizio degli anni ’60 e stranamente da giovane non riuscì a farsi notare dai grandi club nazionali. Fu infatti il piccolo Wanderers ad acquistarlo e a farlo esordire in prima squadra nel 1980 e in bianconero visse tre grandiose annate che gli permisero di entrare in pianta stabile nella Celeste. Intanto la sua fama di ragazzo prodigio era andata oltre i confini uruguagi e nel 1983 venne acquistato dagli argentini del River Plate. Con i Millionarios ebbe subito un impatto importante e in quell’anno vinse da protagonista anche la Copa América segnando con uno splendido piatto destro un gol nella finale di andata contro il Brasile. Il cambiamento decisivo avvenne però l’anno seguente dove il tecnico Cubilla decise di avanzarlo da fantasista a centravanti e la soluzione piacque parecchio al Principe. Sfortunatamente a fine arrivò solo un secondo posto dietro al Ferro Carril Este, ma Francescoli andò a segno come mai più farà in carriera. Furono ben ventinove le realizzazioni a fine stagione, vivendo così un’annata sensazionale dove abbinò la classe che lo contraddistingueva alla spietatezza del bomber d’area di rigore. A fine anno venne eletto miglior giocatore del Sud America arrivando davanti agli argentini Fillol e Bochini.

A ventire anni Enzo era diventato un mito, ma gli mancavano ancora i titoli che prontamente arrivarono. Nella stagione 1985-86 il River Plate dominò senza discussioni il campionato chiudendo con ben dieci punti di vantaggio sul Newell’s Old Boys secondo e Francescoli realizzò ben venticinque reti laureandosi così capocannoniere della Primera División. L’Europa intanto stava chiamando, ma a sorpresa accettò la proposta del piccolo Racing Parigi. Una decisione che lasciò tutti di stucco, perché l’uruguaiano era molto quotato anche nel Vecchio Continente e l’approdo in una squadra di così basso rango fece scalpore. Nella Capitale francese però buttò anima e corpo nel progetto e in tre anni si rivelò sempre il migliore della squadra ottenendo sempre la salvezza, con uno storico settimo posto al secondo anno. Intanto nel 1987 vinse in Argentina la sua seconda Copa América, ma la nazione transalpina lo voleva veder lottare al vertice e così nel 1989 fu il Marsiglia ad acquistarlo. Fu un anno magnifico dove con le sue undici reti contribuì alla vittoria del campionato e con Papin formò un duo d’attacco strepitoso riuscendo a portare l’OM fino alla semifinale di Coppa dei Campioni. Quello fu anche l’anno del Mondiale in Italia e fu proprio il Belpaese ad apprezzare le sue qualità. Dopo un solo anno al Velódrome venne acquistato dal Cagliari e in Sardegna divenne un mito. Fu probabilmente il miglior giocatore straniero mai passato in rossoblu e per tre anni si fece amare dal pubblico del Sant’Elia. Arretrò di molto la sua posizione finendo per essere un interno di centrocampo,  quasi regista, e questo nuovo ruolo ne limitò molto la sua pericolosità in zona gol. Nonostante questo, dopo due salvezze sudate, nella terza stagione la squadra di Mazzone volò verso un incredibile sesto posto guidata dal proprio Principe che a trentadue anni visse una seconda giovinezza e rimase nella storia una sua tripletta in Coppa Italia al grande Milan di Capello. Non riuscì però a giocare in Europa con i sardi perché nel 1993 passò al Torino con il quale visse una stagione di luci e ombre capendo che era giunto il momento di far ritorno in Sud America e al suo River Plate. Sembrava un ritorno nostalgico e senza grosse pretese, ma Enzo non aveva assolutamente intenzione di fare la comparsa. Al suo ritorno vinse subito l’Apertura 1994 e l’anno seguente fu leggendario quando trascinò l’Uruguay alla vittoria dell’ennesima Copa América. Il torneo si disputó proprio tra Montevideo e dintorni e Capitan Francescoli non poteva deludere. Dopo il rigore contro il Venezuela al debutto segnò una rete da fenomeno per il decisivo 1-0 sul Paraguay. Da un cross dalla sinistra di Fonseca fu il Principe a stoppare di petto e in immediata girata di sinistro freddò un immobile Ruiz. Fu l’inizio di una meravigliosa cavalcata che portò la Celeste fino alla finale al Centenario contro il Brasile e a decidere la sfida furono i rigori. Il Capitano calciò il primo tiro in maniera perfetta all’angolino dove Taffarel non poté arrivare, ma l’eroe fu il portiere Álvez che parò la conclusione di Túlio. I ragazzi di Núñez ce l’avevano fatta ed erano i campioni del Continente e il loro numero dieci era stato eletto miglior giocatore della competizione. Il successo però non fu isolato perché a distanza di undici anni arrivò il secondo riconoscimento sudamericano. Fu un’edizione di veterani, infatti El Principe arrivò primo con trentaquattro voti davanti a Diego Armando Maradona fermo a ventotto e a Edmundo staccato a ventitre.

A trentaquattro anni avrebbe potuto ritirarsi, ma alla sua bacheca mancava ancora il trofeo più importante che riuscì a ottenere da protagonista l’anno seguente. In Copa Libertadores il River fu un rullo compressore, spinto anche da giovani campioni del futuro come Ortega, Almeyda e Crespo, e Francescoli fu la sua guida. Riuscì anche a segnare una fantastica rete dai venticinque metri nella semifinale di andata a Santiago contro l’Universidad de Chile e nella finale del Monumental il 2-0 all’América de Calì elevò i Millionarios in vetta al Continente. Rimase ancora un anno, vincendo anche la Supercoppa Sudamericana, e a trentasei anni, nel 1997, si ritirò uno dei grandi miti del calcio uruguaiano.

Francesco Domenighini

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