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Il Pallone d’oro sudamericano: il ’97 di Marcelo Salas

Uno dei centravanti più importanti della fine degli anni ’90, un cannoniere implacabile che è riuscito a ridare lustro e gloria a un Cile che per troppo tempo era rimasto ai confini del grande calcio. Marcelo Salas è stato un vero e proprio mito per il suo Paese d’origine e non solo in Sud America è riuscito a essere grande, ma ha ottenuto grandi conferme e successi anche in Europa.

Nacque a Temuco, nella regione dell’Araucanía, e iniziò a giocare proprio tra i ragazzi del Santos, la squadra cittadina. A diciassette anni però si accorsero di lui anche nella Capitale e così venne portato a Santiago nel 1991 per entrare a far parte dell’Universidad de Chile. Debuttò in prima squadra due anni dopo, ma nel 1993 fu soltanto una comparsa prima di diventare una colonna della squadra già dalla stagione successiva. Segnò l’impressionante numero di ventisette gol, il suo record personale in carriera, e contribuì così alla vittoria del titolo a termine di uno spettacolare testa a testa con l’Universidad Católica, chiusa a favore degli Azules grazie a un solo punto di vantaggio. Pur segnando con molta meno frequenza rispetto alla stagione precedente, si fermò a quota diciassette, risultò ancora determinante per il secondo successo consecutivo della squadra e ormai il campionato cileno iniziava a stargli stretto. Nel 1996 giocò le sue ultime partite a Santiago prima di passare il confine e entrare in Argentina per indossare la maglia del River Plate. La squadra di Ramón Díaz era dotata di grandissima fantasia con gente del calibro di Ortega, Francescoli e un giovane Solari e Salas risultava essere così il centravanti perfetto. Il suo sinistro iniziò subito a incantare il Monumental anche se di lui venne apprezzata la grande duttilità e la capacità di dialogare con i compagni. Divenne molto meno uomo gol rispetto a quando era in Cile, ma i Millonarios iniziarono a volare e vissero un 1997 da sogno. In Argentina non ci furono discussioni e dopo il successo nella Clausura di quell’anno, arrivando a ben sei punti di vantaggio sul Colón secondo, arrivò anche il trionfo in Apertura. Questa volta il primo posto fu molto più sudato e venne conquistato solo a seguito di un’emozionatissima sfida con il Boca Juniors che venne vinta dai biancorossi solo grazie a un punto di vantaggio. Non di soli titoli locali però viveva il River con la gloria continentale che doveva essere accresciuta. La Supercopa Sudamericana era un titolo ambito, dato che raggruppava tutte le squadre in grado di vincere la Copa Libertadores in passato, e El Matador fu il grande trascinatore della squadra. Nel girone iniziale vennero spazzate via Vasco da Gama, Santos e Racing de Avellaneda e con l’approdo in semifinale si scatenò la furia cilena. Nella semifinale di andata contro i colombiani dell’Atlético Nacional fu autore di una favolosa doppietta. Prima deviò di sinistro un bel cross di Gallardo, ma il meglio se lo era ancora tenuto in serbo. Su una palla rimbalzante dalla trequarti fece partire uno spettacolare collo sinistro a palombella che trovò fuori dai pali il portiere realizzando così uno spettacolare 2-0 che avvicinò sensibilmente la squadra di Buenos Aires alla finale. L’ultimo atto fu contro i brasiliani del San Paolo e ancora una volta fu Salas a decidere la sfida. Lo 0-0 del Morumbi diede molte speranze per il ritorno al Monumental dove scattò la grande festa. Francescoli si fece parare nel primo tempo un calcio di rigore, ma si riscattò nella ripresa quando servì un perfetto cross basso a Marcelo che anticipò tutti e appoggiò in rete per l’1-0. Dodô riuscì a trovare il pareggio, ma fu un fuoco di paglia perché l’ex Universidad compì una vera e propria magia quando agganciò al volo di sinistro un lancio dalla trequarti e così facendo riuscì a saltare Edmílson, scartò in velocità anche Álvaro e da terra calciò di destro battendo Rogério Ceni per il definitivo 2-1. Il River era riuscito a vincere la Supercopa Sudamericana e il numero sette era stato l’uomo in più per il successo finale. Prestazioni del genere non lasciarono dubbi e a fine anno venne giustamente nominato miglior calciatore sudamericano dell’anno con ben ottantasette voti contro i trentanove del compagno di squadra peruviano Solano e i trentasette del paraguaiano Chilavert.

La grande annata convinse l’ambiziosa Lazio di Cragnotti a portarlo in Italia nell’estate del 1998, a seguito anche di un favoloso Mondiale con il Cile, e con Vieri e Mancini formò una tridente di rara classe e potenza. Nella prima annata segnò quindici gol, il suo record in Serie A, ma lo Scudetto non arrivò causa un ritorno deludente, anche se in quella stagione si potè alzare al cielo la Coppa delle Coppe. Una sua rete a Montecarlo permise ai biancocelesti di vincere anche la Supercoppa Europea contro il Manchester United e fu tra gli artefici principali nella vittoria del campionato 1999-00. Gli infortuni però iniziarono a fermarlo sempre più spesso e nel 2001 venne ceduto alla Juventus dove però si ruppe legamento del crociato anteriore. Nelle due stagioni a Torino fu più il tempo che passò in infermeria rispetto a quello che trascorse in campo e così nel 2003 tornò al suo amato River. Anche in Argentina però venne bersagliato dagli infortuni e non riuscì più a ripetere le sue straordinarie statistiche, ma nel 2004 vinse un’altra Clausura. L’anno seguente tornò all’Universidad de Chile dove tutto era iniziato, ma i successi non arrivarono più e nel 2007 segnò i suoi ultimo gol in nazionale contro l’Uruguay prima di lasciare pochi giorni dopo contro il Paraguay a Santiago. I problemi fisici furono sempre più critici e così nel 2008 lasciò il calcio a trentaquattro anni.

Francesco Domenighini

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