Uno dei ragazzi più promettenti della scuola argentina dei primi anni del nuovo millennio, uno di quei giocatori in grado d ribaltare la partita solamente con una giocata. Sembrava destinato a un futuro radioso, pronto a rinverdire i fasti di altri grandi campioni dell’Albiceleste del passato, ma Andrés D’Alessandro è stato un enorme punto interrogativo in una carriera che non si è mai pienamente concretizzata.
Nacque a Buenos Aires, nel quartiere La Paternal, e fin dalla più giovane età venne portato all’interno delle giovanili del River Plate. Con i Millionarios riuscì a mettersi in luce fin da subito debuttando in prima squadra a soli diciotto nel 2000 contro l’Estudiantes. L’Argentina sembrava avere al proprio interno una generazione di enorme talento e a conferma del tutto ci fu la straordinaria vittoria nel Mondiale Under 20 del 2001 dove Saviola fu un cannoniere implacabile e D’Alessandro il suo perfetto uomo assist. Intanto con i biancorossi si guadagnò il posto da titolare e iniziò a vincere svariati campionati e nel 2002 fecero discutere le dichiarazioni di un cuore Boca e simbolo della nazione come Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro lo definì come il giocatore più simile a lui per caratteristiche e l’unico in grado di farlo realmente divertire. Nonostante questo il tecnico Bielsa non lo convocó per il Mondiale in Corea del Sud e Giappone e nel 2003 decise di approdare in Europa, direzione Wolfsburg. In Germania però il suo talento fu visto solo a tratti e i biancoverdi aspettarono ben tre anni il suo inserimento, ma in Bundesliga fu un fiasco. Lasciò il timbro solo per una rete contro l’Hannover che risulta essere la numero quattromila nella storia del campionato tedesco. Provò a non perdere il suo secondo Mondiale passando al Portsmouth, ma anche l’Inghilterra non lo aiutò a riprendere una carriera che si stava lentamente arenando. In estate fece l’ultimo disperato tentativo andando in Spagna al Saragozza e come spalla di Diego Milito riuscì a far vedere qualcosa di positivo nel primo anno contribuendo così a un grande sesto posto finale, ma fu un fuoco di paglia. I Leones non riuscirono a ripetersi, tanto da retrocedere l’anno seguente, con Andrés che a febbraio era già tornato in Patria per vestire la maglia del San Lorenzo. Fu una breve e fugace apparizione prima di trovare la sua vera dimensione e consacrazione all’Internacional di Porto Alegre. In Brasile visse anni memorabili dove vinse tutto quello che c’era da vincere e l’apice lo raggiunse nel 2010. A termine di una meravigliosa cavalcata i biancorossi riuscirono a vincere la seconda Copa Libertadores della loro storia e El Cabezón fu grande protagonista. Pur non andando mai in gol si rivelò il decisivo uomo assist della competizione e il dribbling che lo rese celebre, la Boba, divenne il marchio di fabbrica per eccelleza facendo impazzire i tifosi del Colorado. La vittoria in finale contro i messicani del Guadalajara fu prorompente e netta e Andrés tornó finalmente a far parlare di sé in positivo. A dicembre si disputò il Mondiale per Club, ma i brasiliani vennero incredibilmente eliminati in semifinale dal Mazembe e non riuscirono a disputare una finale tra l’Inter di Porto Alegre e l’Inter di Milano. D’Alessandro però fu uno dei pochi a salvarsi e trovò il gol nella finalina di consolazione per il terzo posto contro i sudcoreani del Seongnam e a fine torneo riuscì a essere nominato terzo giocatore della competizione. Il ritorno ai vertici di quella che era una giovane promessa, fece sì che nel 2010 la giuria sudamericana decise di premiarlo come miglior giocatore continentale con sessantun voti contro i cinquantuno di Verón secondo e i quarantasette di Neymar terzo.
Un riconoscimento meritato, ma allo stesso inatteso per un ragazzo che ha dimostrato di sapersi ritagliare una seconda carriera. Riuscì anche a tornare in nazionale, anche se non partecipò né al Mondiale in Sudafrica nel 2010 e nè alla Copa América casalinga del 2011. Continuò ancora per tanti anni con i biancorossi, non riuscendo però più a raggiungere i suoi picchi e nel 2016 provò a tornare a casa nel suo River Plate, ma si accorse che ormai era tardi. Rimase solo sei mesi, prima di fare ritorno a Porto Alegre dove ancora oggi a trentotto non è stanco di giocare per l’ormai suo Internacional.
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