Uno dei più grandi registi del calcio argentino e sudamericano in generale, un vero e proprio architetto della palla capace di creare azioni con passaggi corti o lanci millimetrici. Juan Sebastián Verón è stato un autentica icona nel suo ruolo e dell’Albiceleste e da buona Brujita, streghetta, qual era aveva la capacità di inventare magie sopraffine dal nulla incantando gli appassionati di tutto il mondo.
Nacque a La Plata nel 1975 dal padre anch’egli calciatore, Juan Ramón Verón. Disputó una buona carriera, diventando una colonna dell’Estudiantes, la squadra cittadina che divenne ben presto anche la casa del figlio Juan Sebastián. A soli diciannove anni esordì in prima squadra diventando un elemento importantissimo per la promozione della squadra in Primera División. Iniziò a creare una grande sintonia con Martín Palermo e dopo le cinque reti del suo primo anno tra i grandi divenne uno dei giocatori più contesi della nazione. Nel marzo 1996 fu il Boca Juniors ad acquistarlo, ma fu solo di passaggio perché per lui si erano già aperte le porte dell’Europa. La Serie A divenne la sua seconda casa per tanti anni e la prima ad accorgersi del suo talento fu la Sampdoria. I suoi esordi furono più che positivi, tanto da trovare subito una facile intesa con il numero dieci blucerchiato Roberto Mancini e nei suoi due anni a Genova la squadra riuscì sempre a entrare nelle Coppe internazionali. Qui si guadagnò anche il posto da titolare in nazionale e fu tra i migliori nel Mondiale in Francia del 1998. Era dunque pronto per il salto di qualità anche nel Belpaese e alla fine del massimo trofeo per nazioni fu l’ambizioso Parma di Tanzi ad acquistarlo, ma in Emilia le cose non andarono nella maniera desiderata. Vi rimase solo un anno e fu una stagione di molte ombre e poche luci, ma ad acquistarlo in estate fu la Lazio. Nella Capitale ritrovò lo spirito che lo aveva contraddistinto in passato e fu tra i grandi protagonisti del successo biancoceleste nello storico Scudetto del 2000, il primo in carriera per la Brujita. In quella stagione si trasformò anche in grande goleador segnando ben otto reti, record per lui in carriera, ma i problemi finanziari di Cragnotti erano dietro l’angolo. Nel 2001 venne ceduto per fare cassa e passò in Inghilterra al Manchester United. La Premier League risultò un calcio probabilmente eccessivamente dinamico per lui e, nonostante dimostrasse continuamente la sua grande classe, non riuscì a entrare mai in pianta stabile nell’undici di Sir Alex Ferguson. Dopo aver vinto il titolo nel 2003 passò al Chelsea, ma dove avrebbe dovuto essere un leader fallì miseramente e l’anno seguente tornò in Italia, questa volta all’Inter. Fu il suo ex compagno di squadra Roberto Mancini, diventato tecnico dei meneghini, a volerlo fortemente e in nerazzurro ripagò la fiducia del tecnico. Memorabile fu la rete con la quale stese Chimenti e la Juventus al Delle Alpi in occasione della Supercoppa Italiana. Furono due anni ricchi di soddisfazione, ma a trentadue anni voleva tornare a casa e così, smaltita la delusione per la non convocazione al Mondiale 2006, tornò nella sua La Plata per rivestire ancora la maglia dell’Estudiantes. Venne accolto come un eroe e si catapultò nella nuova esperienza con l’entusiasmo di un ragazzino e tale fu la voglia di vincere con la squadra del suo cuore che si scrisse immediatamente la storia. Ventitre anni dopo l’ultima volta i Pincharratas riuscirono a vincere l’Apertura dopo un pazzesco testa a testa con il Boca Juniors. Le squadre finirono per concludere a pari punti la stagione e solo lo spareggio finale determinò la vittoria decisiva dei biancorossi. Verón era stato il grande leader della squadra ed era solo l’inizio. Nel 2008 fu il trascinatore della squadra verso una splendida cavalcata in Copa Sudamericana che finalmente riportò l’Estudiantes ai vertici del calcio continentale. La Brujita fu lo splendido direttore d’orchestra di una squadra ricca di giovani volenterosi, come l’attaccante Boselli che divenne uno spietato killer dell’area di rigore. L’ex Serie A si mise in proprio nei quarti di finale contro i brasiliani del Botafogo e fu l’uomo in più per la qualificazione. Al Ciudad de La Plata la partita si concluse per 2-0 e il raddoppio fu un autentico capolavoro. Il numero undici prese palla a seguito di una corta punizione dalla sinistra e da posizione molto decentrata fece partire una sassata di destro che trafisse il portiere mandando così gli argentini in semifinale contro i connazionali dell’Argentinos Juniors. Ancora una volta furono Verón e compagni a passare il turno, ma in finale ci fu la durissima botta contro l’Intrnacional. I brasiliani vinsero 0-1 a La Plata, ma una rete di Alayes riuscì a portare la sfida di Porto Alegre ai supplementari. Si era ormai pronti per i calci di rigore, ma a due minuti dal termine fu Nilmar a segnare la rete dell’1-1 e della vittoria. La delusione fu enorme, ma a trentaquattro anni la Brujita era ancora in grado di incantare e venne nominato miglior giocatore sudamericano dell’anno. Fu uno scontro all’ultimo voto con Riquelme, ma i suoi sessantasei voti bastarono per staccare il connazionale fermo a sessantatre con Cabañas terzo a quarantasette.
Sembrava ormai giunto il canto del cigno per questo fantastico giocatore, ma le streghette si sa che sono piene di sorprese e il meglio se lo era ancora tenuto nascosto. L’Estudiantes era stato una squadra leggendaria alla fine degli anni ’60, quando vinse per tre volte consecutive la Copa Libertadores, ma da allora non era più riuscita a ritagliarsi un ruolo importante nel calcio continentale e la finale di Copa Sudamericana dell’anno precedente sembrò già un grande traguardo. Nessuno però poteva aspettarsi un simile andamento nella più importante Coppa come nel 2009. Il cammino fu praticamente perfetto con la squadra che non perse nemmeno un incontro in tutta la fase a eliminazione diretta, facendo fuori prima i paraguaiani del Libertad, poi gli uruguaiani del Defensor e del Nacional prima di approdare in una doppia magica finale contro i brasiliani del Cruzeiro. Furono due grandi partite, con la sfida di La Plata che finì con un nulla di fatto per 0-0 dando l’impressione che tutto sarebbe ancora una volta sfumato sul più bello. A Belo Horizonte, dopo l’iniziale vantaggio di Henrique, i biancorossi divennero una furia e dopo poco pareggiarono con Gastón Fernández prima che il solito Boselli segasse la rete del trionfo. Verón fu splendido artista per tutti i novanta minuti e dal suo piede fatato derivarono le reti, prima con una dolce lancio a iniziare l’azione e poi con un perfetto calcio d’angolo per la testa del compagno. L’Estudiantes era tornato in vetta al Sud America trentanove anni dopo l’ultima volta e gran parte del merito era dovuto al suo grande Capitano e questa volta non vi erano dubbi su chi fosse il migliore del Continente. Con centonove voti spazzò via la concorrenza dell’ecuadoregno Édison Méndez e del cileno Humberto Suazo fermi a sessantaquattro.
Le sue grandi prestazioni e l’arrivo di Maradona in panchina lo fecero rientrare anche in nazionale dove giocò il Mondiale in Sudafrica nel 2010, ma i trentasei anni iniziarono a farsi sentire. Riuscì però a vincere ancora un’Apertura nel 2010 prima di lasciare tra le lacrime nel 2012. Non riusciva però a smettere di giocare e così, dopo un’esperienza nelle serie minori con il Coronel, tornó all’Estudiantes con il quale chiuse la carriera nel 2017.
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