Uno dei più grandi esempi dell’attaccante moderno, capace di fare tutto, dal centravanti alla seconda punta, riuscendo sempre a dare un determinante contributo. Il suo carattere ribelle ne ha limitato la carriera e il suo bisogno di sentirsi sempre al centro del progetto hanno fatto in modo che Carlos Tévez avesse qualche battuta, ma sicuramente resta una delle più grandi icone del nuovo millennio.
Nacque a Ciudadela e i suoi primi anni di vita furono un vero calvario. Il padre Carlos Martínez venne assassinato con un colpo d’arma da fuoco e a tre mesi venne abbandonato dalla madre. A dieci mesi gli cadde in faccia un bollitore e per sessanta giorni entrò in terapia intensiva rischiando di non sopravvivere. Riuscì a cavarsela e venne affidato agli zii, i Tévez, che vivevano nel quartiere di Buenos Aires, Nudo 14, un barrio noto a tutti come Fuerte Apache per la sua pericolosità. Nonostante questi grossi problemi iniziali riuscì a iniziare la sua carriera calcistica nelle fila dell’All Boys di approdare a tredici anni nel Boca Juniors. Nelle giovanili risultò essere il giocatore più talentuoso e a soli diciassette anni debuttò in prima squadra con il Talleres. Il suo ingresso con i grandi iniziò a non essere più graduale e così, già dalla stagione successiva, divenne un titolare inamovibile facendo vedere cose eccezionali. Indossava il numero nove sulle spalle, anche se era destinato a svariare per tutto il fronte offensivo. Nel 2003 divenne una vera e propria stella del panorama calcistico sudamericano, quando per prima cosa riuscì a vincere il Campeonato Sudamericano Under 20 in Uruguay e poi contribuì in modo determinante alla semifinale dell’Albiceleste nel Mondiale di categoria. A elevare ancora di più il suo status furono però le imprese con gli Xeneizes. Con le sue otto reti risultò fondamentale per la vittoria dell’Apertura 2003 e in Copa Libertadores si esaltò nei momenti decisivi. Nella semifinale contro l’América di Calí trovò prima uno splendido gol con sinistro a giro alla Bombonera e poi in Colombia chiuse la pratica già nel primo tempo. Una sua doppietta mandò in finale i gialloblu contro i brasiliani del Santos. Delgado fu il grande protagonista della gara di andata ma nel ritorno si scatenò l’Apache. A seguito di una splendida combinazione con Battaglia fu Tévez a concludere a rete con un collo destro forte e imparabile per Fábio Costa. Il Morumbi venne gelato e gli argentini poterono dilagare vincendo la gara in Brasile per 1-3 laureandosi così campioni del Continente. Il giovane Carlos era sulla bocca di tutti e l’anno si concluse con le ultime due enormi soddisfazioni che mancavano. Contro il Milan arrivò una sudatissima vittoria in Coppa Intercontinentale e la sua classe venne talmente apprezzata dalla giuria del Pallone d’oro sudamericano che vinse il premio non ancora ventenne. Il successo fu di quelli netti e indiscutibili con i suoi settantatre voti che lasciarono indietro il paraguiano José Cardozo fermo a trentanove e il brasiliano Diego a trentatre.
Il successo sembrava non dover finire certo ora che era solo iniziato e iniziarono a sprecarsi gli ennesimi paragoni con il grande Maradona. Nell’anno in cui doveva consacrarsi riuscì a far vedere tutto il suo talento nell’agosto del 2004 con l’Argentina in occasione dell’Olimpiade di Atene. Guidata da Bielsa in panchina, la squadra si presentò come grande favorita con Tévez stella assoluta e attaccante in coppia o con il gemello del Boca Delgado o con Javier Saviola. Fu una vera e propria macchina da gol, iniziando subito con una doppietta alla Serbia e Montenegro, prima di punire anche la Tunisia. Rimase a bocca asciutta nella terza e ininfluente gara contro l’Australia prima di scatenarsi nelle sfide a eliminazione diretta. Nei quarti contro il Costa Rica non ci fu mai davvero incontro e, dopo il vantaggio di Delgado, fu la grande giornata dell’Apache. Con una tripletta incanalò la partita sui binari del trionfo andando in rete prima con una splendida spaccata al volo e poi con un uno-due terribile sfruttando la sua enorme rapidità di azione. Non ci fu nulla da fare nemmeno in semifinale per l’Italia con ancora una volta il numero dieci a sbloccare la gara con un destro a mezza altezza imparabile per Pelizzoli. Allo Stadio Olimpico di Atene si tenne la finale per l’oro contro il Paraguay e chi avrebbe potuto decidere la gara se non il solito Carlos. Questa volta si trasformò in centravanti navigato e da un cross dalla destra anticipò sul primo palo il difensore battendo Barreto in uscita. Questa volta l’Argentina non dilagò ma l’1-0 bastò per far vincere il primo storico oro ai sudamericani. Tévez era stato l’assoluto protagonista e aveva accresciuto ancora di più il suo mito e in Copa Sudamericana completando un anno magico. Dopo aver eliminato Cerro Porteño e Internacional, il Boca arrivò in finale contro la sorpresa Bolívar. L’altitudine di La Paz giocò un brutto scherzo ai gialloblu che persero 1-0 la gara di andata, ma alla Bombonera tutto cambiò. Palermo sbloccò il risultato e il decisivo 2-0 per la rimonta venne realizzato dall’Apache con uno splendido piatto destro in corsa appena dentro l’area. Carlos aveva messo la sua impronta decisiva ancora una volta e per il secondo anno consecutivo fu lui il migliore del Sud America, superando con settantasei voti i cinquantasei di Mascherano e i trentasette di Lucho González e Robinho.
Era tempo però di cambiamenti nella vita di Tévez e così il nuovo anno significò il trasferimento a sorpresa ai brasiliani del Corinthians. I tifosi del Timão furono entusiasti del suo tesseramento e l’argentino ripagò immediatamente la loro fiducia. Il Brasileirão vide un emozionantissimo testa a testa tra i bianconeri e l’Internacional di Porto Alegre, ma a risultare decisivo fu il pareggio al Pacaembu che permise di mantenere i tre punti decisivi per la vittoria del titolo. Ad andare in rete in quell’1-1 finale fu proprio Carlitos che concluse l’anno con ben venti gol, a soli due centri dal capocannoniere Romário. Appena arrivato in Brasile si rivelò subito decisivo e l’uomo in più per il trionfo finale. Prese parte anche alla spedizione in Germania per la Confederations Cup, ma fu solo una riserva di lusso. Non arrivarono successi a livello internazionale, ma l’impatto devastante con il nuovo campionato bastarono per eleggerlo per il terzo anno consecutivo migliore di tutti nel Continente. I suoi settantasette voti bastarono per superare i vincitori della Copa Libertadores del San Paolo Diego Lugano, fermo a cinquantaquattro, e Cicinho, a trentasette.
Arrivato a ventun’anni e con tre titoli personali così prestigiosi era destinato a un passaggio in Europa e avvenne nell’estate 2006, alla fine del suo primo Mondiale. Passò al West Ham e, dopo un inizio difficoltoso, fu l’uomo decisivo per la salvezza degli Hammers e dopo un solo anno passò al Manchester United. Con i Red Deviles vinse tutto quello che c’era da vincere, ma dopo due anni preferì cambiare sponda dell’Irwell vestendo la maglia del City. Fu il primo vero grande colpo a effetto degli Sky Blues assieme a Robinho, ma a differenza del brasiliano divenne una colonna della squadra che di lì a poco diventò una potenza del calcio inglese. Nel 2012 arrivò il tanto atteso trionfo in Premier League e un anno dopo decise di cambiare per vincere anche in Italia alla Juventus. In due anni divenne un idolo per i tifosi bianconeri contribuendo a due Scudetti e a una finale di Champions League che però venne persa contro il Barcellona. Dal 2015, una volta lasciata Torino, tornò nel suo amato Boca Juniors, dove ancora oggi gioca, intervallato soltanto da una breve parentesi cinese allo Shanghai Shenhua.