Da 2-0 a 2-2 con il Parma: il primo campanello d’allarme serio. E se Inzaghi non fosse così vincente come pensiamo?
C’è un momento in ogni grande stagione in cui l’euforia si ferma e lascia spazio alla riflessione. Per l’Inter, quel momento è arrivato a Parma. Un 2-2 che fa male non tanto per il risultato, quanto per come è maturato. Perché l’Inter era avanti 2-0, padrona del campo e della gara, e si è lasciata rimontare da una squadra volenterosa ma inferiore. Non era una partita da perdere punti, non in questa fase del campionato, non con il Napoli che ringhia dietro, pronto a riportarsi a -1 in classifica in caso di vittoria sul Bologna.
È stata l’illusione del controllo. Quel difetto sottile e subdolo che l’Inter si porta dietro da inizio stagione: dominare senza uccidere, gestire senza chiudere, cambiare senza migliorare. A Parma, la macchina perfetta ha perso un pezzo. E il problema non è tanto il singolo episodio, ma la sensazione che qualcosa stia scricchiolando.
Simone Inzaghi è il miglior allenatore che l’Inter abbia avuto dai tempi di Mourinho. Nessuno lo mette in discussione quando si tratta di costruire gioco, gestire lo spogliatoio, valorizzare la rosa. Ma oggi una domanda va fatta, e Matteo Ferrante non ha paura di farla: e se Inzaghi avesse perso più di quanto abbia vinto in questi anni?
Una Coppa Italia e due Supercoppe sono belle vetrine, ma restano comunque trofei di contorno. L’aver perso uno scudetto già vinto nel 2022, la finale di Champions nel 2023, e ora il rischio di dilapidare un altro vantaggio importante nel 2025, impongono una riflessione. Non una sentenza, ma una pausa di serietà. Perché se la rosa è la più forte della Serie A, e se l’Inter gioca il miglior calcio d’Italia, allora non ci possono essere scuse. I cambi a Parma sono stati tardivi e sbagliati, l’atteggiamento nel secondo tempo è stato molle, e la reazione al pari del Parma non è mai realmente arrivata.
La partita con il Parma non è un fulmine a ciel sereno. È l’ultimo indizio in una serie di piccole avvisaglie. Il calo atletico visto contro l’Udinese, il blackout nel derby, la gestione sbadata in alcune fasi contro il Parma. Tre indizi, si dice, fanno una prova. E forse siamo davanti al primo vero principio di fragilità di questa Inter.
Non è panico, né processo. Ma è il momento di chiedersi se basti l’organizzazione tattica per arrivare in fondo a un campionato che, oggi più che mai, sembra aperto. Il Napoli non è l’armata dell’ultimo scudetto, ma ha ritrovato smalto. E il calendario offre più di una trappola. L’Inter deve fare attenzione a non perdere lo scudetto che sembrava già in tasca.
Matteo Ferrante non si smarca dall’interismo che lo ha sempre definito. Ma l’amore, quello vero, è anche onestà. E allora sì, diciamolo: questa Inter ha dato troppo per scontato, e Inzaghi ha peccato di presunzione. Certe scelte (i cambi, la gestione dei big, il minutaggio dei titolari) sembrano più frutto di automatismi che di lettura della gara.
C’è ancora tempo, ed è giusto ricordarlo. Ma il tempo, nel calcio, non perdona i rilassamenti. Lo sapeva bene un altro allenatore, quel Giovanni Trapattoni che diceva: “Nel calcio non vince chi è più forte, ma chi lo dimostra ogni domenica.” E allora forza Simone, forza Inter: dimostratelo. Ogni domenica. Anche — e soprattutto — quando è più difficile.
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