Ancora una volta ai quarti di finale, ancora una volta contro il Brasile è Thierry Henry ad avere la meglio e i grandi risultati, fopo averli ottenuti da calciatore, li sta ottenendo anche da assistente del c.t. del Belgio Martínez.
Titì nacque a Les Ulis, nel nord della Francia, il 17 agosto 1977 e fin dalla giovane età si notarono le qualità di un ragazzo decisamente superiore alla media. A 15 anni arrivò la prima grande opportunità e dovette attraversare tutta la Francia per arrivare nel Principato di Monaco e poter giocare con una delle squadre più forti dell’epoca. Con i monegaschi non ci mise molto ad approdare in prima squadra e a diventarne un titolare inamovibile. Arsène Wenger all’inzio visse il dubbio avrebbero avuto anche altri allenatori: dove poterlo schierare. Iniziò come ala sinistra per sfruttare le sue grandi falcate, ma l’attaccante puro doveva essere il suo ruolo. Eletto miglior giovane della Ligue 1 nel 1996 fu decisivo l’anno seguente per la vittoria del titolo e nel 1998 si guadagnò a suon di gol in Champions League, ben sette, la convocazione al Mondiale. Partì da titolare segnando tre gol tra Sudafrica e Arabia Saudita, ma Aimé Jacquet aveva in mente altri piani per lui. Non fu tra i titolari della finale ma entrò comunque a far parte dei magnifici ventitre che vinsero la Coppa. Era dunque arrivato il momento di lasciare la Francia e il Monaco e la chiamata della Juventus suonò come la grande occasione da non fallire. Eppure a Torino Henry non dimostrò molto, spesso schierato da Carlo Ancelotti in fascia, deluse le aspettative e quando sei mesi dopo arrivò l’offerta dell’Arsenal nessuno tra i bianconeri impedì l’operazione. In maglia “Gunners” però Titì ritrovò il suo maestro Wenger e diventò il più grande giocatore di sempre nella storia del club londinese. Le perle e le magie si sprecarono e l’Arsenal visse uno dei momenti migliori di tutta la storia e Henry nel 2000 si laureò anche Campione d’Europa con la Francia.
Le fortune con il club però erano in contrasto con le future delusioni in nazionale e nel 2002 fu tra gli accusati per l’inattesa eliminazione ai gironi dove venne espulso dopo pochi minuti nella gara contro l’Uruguay.
Il 2006 fu forse l’anno migliore per il campione di Les Ulis, ma le delusioni a livello di titoli si susseguirono. L’Arsenal, dopo una stagione deludente, fu trascinata dal suo capitano fino alla finale di Champions League dove Thierry fu protagonista in negativo sbagliando due facili occasioni davanti a Víctor Valdés e il Barcellona alzò la coppa al cielo. Al Mondiale invece fu decisivo già nella difficile fase a gironi e poi realizzò da pochi passi da Dida la rete che condannò il Brasile all’eliminazione. Nella finale contro l’Italia fu tra i migliori, ma questo non bastò e ai rigori furono gli Azzurri a vincere.
Il suo periodo d’oro stava per concludersi e nel 2007 andò al Barcellona dove, dopo un inizio difficile, riuscì a formare un grandissimo tridente con Messi e Eto’o e nel 2009 riuscì finalmente a vincere la Champions League. In quello stesso anno fu decisivo anche per la qualificazione della Francia a Sudafrica 2010, ma contro l’Irlanda si macchiò di un’orrenda condotta antisportiva aggiustandosi per ben due volte la palla con la mano prima di servire a Gallas il gol che valeva il Mondiale. Fu la sua quarta e ultima Coppa del Mondo e come tutta la sua nazionale non riuscì a lasciare il segno. Chiuse la carriera negli Stati Uniti nel New York Red Bulls, con un breve e romantico ritorno all’Arsenal per pochi mesi.
Tra i più grandi giocatori francesi di sempre Thierry Henry ha iniziato nel 2016 la carriera da assistente di Roberto Martínez nella nazionale belga e dopo aver eliminato il Brasile dovrà ora vedersela con la sua Francia, ma l’obbiettivo finale è troppo vicino per potersi lasciare intrappolare in facili sentimentalismi.