Sono ormai passati sei anni dal ritiro di Carles Puyol dal calcio giocato: un saluto forte, commovente, la fine di un’era incredibile per un difensore leggendario. “Puyol mette la faccia dove altri non metterebbero il piede” diceva di lui Franco Baresi, ed è difficile dargli torto, perché Carles Puyol Saforcada è uno di quei giocatori che difficilmente non ti conquista, con un carisma che trascende la realtà e una leadership innata che ti fa capire tutto al primo sguardo.
Ma l’immagine sacrale che abbiamo di questo calciatore è maturata attraverso la sua carriera, con occhi che oggi danno per scontati tutti i suoi successi. Servono dunque venti anni di passi indietro per ritrovarsi in un momento in cui fidarsi di Puyol non era così scontato: tutto diverso da oggi, dal numero di maglia 24 al posto del suo iconico 5, al ruolo di terzino destro, che sembra suonare strano per gli sviluppi che ha avuto la sua carriera.
Così come fece strano che Louis Van Gaal lo promosse come titolare durante la stagione 2000/01, quella della sua svolta. È chiaro che per una grande esplosione è necessaria una grande avversaria e meglio del Real Madrid di quell’anno era davvero difficile trovare: ma non solo perché era uno squadrone che pochi mesi prima aveva vinto la Champions League, ma soprattutto perché era il primo Clásico di Luis Figo con la maglia blanca, dopo il tradimento al Barça.
Puyol era diventato titolare nella stagione precedente con ottimi risultati da terzino, ma veniva usato anche in altri ruoli per la sua bravura nella marcatura a uomo: non era infatti raro vederlo giocare a centrocampo da mediano per esempio. E così al momento di giocare il Clásico della vendetta su Luis Figo Van Gaal optò per metterlo in marcatura fissa sul portoghese, torturato già dai fischi del Camp Nou. “Immaginate cosa vuol dire avere Carles attaccato per tutta la partita” ha detto Iniesta anni dopo per ricordare quell’incontro.
E la marcatura fu perfetta: nel rivedere le immagini di quel Barça-Real in ogni singola inquadratura c’è sempre Puyol dietro a Figo, intimorito dal Camp Nou, annullato dal suo avversario. Era il calciatore più atteso di quella giornata nel suo primo Clásico da ex, ma le telecamere celebrarono il suo compagno di inquadratura, per quella che è stata a tutti gli effetti una laurea calcistica. Finì 2-0 per il Barcellona, ma furono molto più importanti i gol non segnati dal Real che quelli che decisero la partita.
Perché grazie a la rete inviolata il mondo si rese conto che Puyol era molto di più di una giovane promessa: era leader senza saperlo, aveva un tempismo negli interventi che solo un grande campione può possedere. Fino al 2002 ha continuato a ricoprire quel ruolo di terzino, poi dopo il ritorno di Van Gaal e la gestione Antic fu stabilmente spostato in mezzo, nel ruolo che lo ha fatto diventare il più grande difensore spagnolo di sempre.
Gli mancavano l’altezza e un po’ di tecnica individuale, ma la sua carriera ha dimostrato come un campione del livello di Puyol possa raggiungere qualsiasi traguardo semplicemente scegliendo il momento giusto. Lo ha sbagliato poche volte nei suoi contrasti di gioco, lo ha sicuramente ha azzeccato nella sua carriera: perché scegliere un Clásico per rivelarsi al mondo è un biglietto in prima classe verso la storia.
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