1981, essere la persona giusta nel momento sbagliato. Chi vive di Formula 1, o chi si è approcciato in passato ai motori nel territorio belga, avrà un sussulto a leggere quei quattro numeri che indicano la data in cui il sipario calò sul XXXIX Grote Prijs van Belgie, quel 17 maggio in cui morirono due meccanici a causa di disattenzioni da parte dei giudici di gara. Solo pochi mesi prima, in un piccolo villaggio a 34 km da Gent, nel quartiere di Sint Job (Uccle), nasce il biondo Olivier Deschacht.
La sua è una tipica storia della industry age belga protratta dal 1950 fino ai primi anni ’90, con il padre operaio e con la madre impegnata a far crescere lui e suo fratello Xavier (di 5 anni più giovane). Lo sport è ciò che avvicina i due fratelli, un’eterna sfida che si svilupperà anche nei ruoli calcistici futuri: da una parte Olivier difensore centrale adattabile anche da terzino grazie al suo sinistro molto educato, dall’altra il meno talentuoso Xavier che di ruolo fa l’attaccante ma vedrà la porta solo 18 volte in 9 anni di calcio professionistico. Olivieir viene notato subito dagli osservatori del Begonia, a causa di un fisico già formato (a 17 anni si imponeva già con i suoi 187 cm) e da un abilità tattica raffinata, grazie ad un intelligenza difensiva superiore.
Proprio grazie alle sue prestazione nella Reserve Pro League contro le giovanili dell’Anderlecht, Deschacht viene opzionato dalla stessa diventando a 20 anni uno dei perni fondamentali della squadra che vinse quell’anno il campionato riserve. Un difensore centrale così solido non si vedeva nella provincia belga da anni, e lo stesso allenatore Aad de Mos non poté rinunciare al suo talento quando compose la rosa 2002/03, preannunciando ciò che tutti immaginavano da tempo: lui è capitan futuro, l’unico in grado di potersi prendere la squadra sulle spalle quando gli avversari sarebbero arrivati al limite della sua area di rigore.
Dopo due anni di assestamento in cui riusci a giocare solo 30 partite (di cui 12 in Champions League), la stagione 2005/06 diventa quella della consacrazione, riuscendo a finalizzare i suoi obbiettivi massimi: la titolarità nel club del suo cuore e l’esordio in nazionale nel 2003 a 22 anni col numero 15 sulle spalle, e con una pacca di incoraggiamento da parte dell’allenatore Aime Anthuenis. Nello stesso 2005 arrivarono anche i primi 2 gol da professionista con la maglia numero 3 che lo caratterizzerà in tutti i suoi 15 anni di carriera, essendo diventata amuleto per i tifosi allo Stadio Constant Vanden Stock. Una particolarità di questo gigante ci ha colpito maggiormente, la sua estrema correttezza in campo: basti pensare che in 445 partite in carriera con la maglia dell’Anderlecht ha collezionato solamente 2 espulsioni, da cui una derivante da una doppia ammonizione. Questo gli ha permesso di diventare un esempio di lealtà sportiva esportabile anche all’estero, sia con le 36 apparizioni in Champions League che con le 20 con la maglia della nazionale.
Dopo essersi fatto apprezzare per tutta la carriera, e dopo esser diventato la bandiera/capitano di questa squadra, l’ultimo atto d’amore verso la società è stato siglato il 16 febbraio 2016 nell’ufficio del presidente Roger Vanden Stock: il capitano ha voluto firmare l’ultimo contratto in bianco che lo porterà a terminare la sua lunghissima carriera nel giugno 2017, per potersi finalmente dedicare alla famiglia. Immagino che quel giorno Olivieir penserà un po’ a tutto, alle sfide col fratello Xavier, al padre che lavorava per poter permettere alla sua famiglia un vita dignitosa, al suo esordio con la maglia numero 3 e a quello con la maglia numero 15 della nazionale, ai 13 trofei vinti tra cui 7 campionati,1 Beker Cup e 5 Supercoppe: forse dopo tutto la sua vita ci ha dimostrato ancora una volta che dopo ogni “periodo buio”(come il disastro della F1) c’è sempre qualcuno che riesce a far risplendere una luce nuova, come la fantastica carriera di Olivier Deschacht.