La strada che ha portato la nazionale argentina al Mondiale di Sudafrica 2010 è una delle più difficili della storia del calcio albiceleste ma cominciò con una grande vittoria ai danni del Cile nel segno di Juan Román Riquelme.
In panchina per l’Argentina c’è Alfredo (per gli argentini sarà sempre Alfio) Basile, detto El Coco. Il tridente è composto dall’Último Diez che spalleggia Tevez e un giovane Messi che però già ha fatto vedere tanto nei primi due anni di Barcellona.
Non un periodo facilissimo però per Riquelme. I problemi di comunicazione con società e allenatore al Villarreal impedirono nell’estate del 2007 un suo ritorno al Boca Juniors e Román fu costretto a rimanere in Spagna di fatto fuori rosa. Riquelme tornerà al Boca Juniors in quello stesso anno ma solamente nel finale di novembre tanto che per il ritardo del trasferimento non potrà giocare il Mondiale per Club 2007 che il Boca Juniors si era guadagnato proprio grazie alle sue magie e che perderà in finale contro il Milan di Ancelotti.
In mezzo però ci sono delle partite della nazionale e lui viene inserito nonostante tutto non solo nella lista dei 23 convocati ma anche nell’undici titolare. Riquelme in quel momento è il volto dell’Argentina: non serve necessariamente che stia bene, l’importante è che cervello e occhi funzionino, al resto pensano i suoi piedi.
E in quella partita contro il Cile andò proprio così. Pochissimi allenamenti nelle gambe, condizione fisica precaria eppure il grande protagonista di giornata è lui. La cornice è quella del Monumental, non proprio lo stadio che lo ama di più ma quando in quel di Nuñez scende in campo la Selección il pubblico (in questi casi ovviamente non tutto di fede River) dimentica i colori di appartenenza dei club.
Bisogna trovare un riquadro di partita dove lasciare il segno perché contro il Cile di allora vincere in casa è più un obbligo che un grande risultato. Le gambe però non vanno come vorrebbe lui e quindi i modi per essere protagonisti sono due: o mandare in porta uno dei due compagni di reparto o risolvere la gara con un calcio da fermo.
Quella però è ancora l’Argentina di Riquelme e non ancora quella di Lionel Messi. E allora Román si prende la squadra sulle spalle e ci pensa lui. La prima punizione è defilata sulla sinistra, l’ideale per il suo destro: dall’altra parte della barriera c’è un giovane Claudio Bravo che non sa ancora cosa aspettarsi, o forse sì. La palla supera i quattro uomini cileni a velocità supersonica e si insacca sotto l’incrocio opposto per un gol strepitoso.
Poi nel finale di primo tempo c’è un’altra punizione, stavolta più centrale, forse più adatta ad un sinistro. C’è un timido Messi sul pallone ma in quel momento Messi è semplicemente la Pulga e non ha le spalle sufficientemente larghe per togliere una punizione a Riquelme. Batte ancora il 10, palla ancora lì, sullo stesso palo, alla stessa velocità, con la stessa bellezza.
La partita finirà 2-0, il Monumental applaudirà un campione e la sua magia. Quella partita ha dimostrato quanto per certi calciatori la condizione fisica non faccia la differenza, a quella ci pensano la classe e i piedi. E in un pomeriggio di ottobre del 2007 Juan Román Riquelme stese il Cile da fermo.
Qui vi riproponiamo il video delle sue due magie.
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