La Roma nella settimana in cui perde allenatore e CEO, vince la sua prima partita in campionato e ritrova incredibilmente, o forse no, gioco, prestazioni e risultato. Qualunque sia la verità, che possono conoscere solo in quel di Trigoria, comincia nel migliore dei modi possibili l’era Juric ma, al netto del risultato, la vera questione è legata alle vicende societarie: i Friedkin, dopo l’ennesimo dirigente che lascia, sono a un bivio.
L’addio del Ceo Lina Souloukou, dimissionaria, è sembrato quasi una inevitabile conseguenza, il finale già scritto di una delle settimane più complicate della storia della Roma: quanto basta per alimentare più di un dubbio anche sulla reale consistenza del progetto: le scelte della proprietà, sinora, sono state dettate più dalla percezione dell’ambiente, spesso volubile a queste latitudini, che a effettive convinzioni.
L’addio di Mourinho è stato addolcito dall’arrivo di Daniele De Rossi, una bandiera amatissima e dunque inattaccabile quanto lo Special One. Il triennale offerto a De Rossi è diventato carta straccia dopo 360’ di campionato e un mercato discutibile per scelte e tempistiche. Il contratto firmato da Juric è, di fatto, un accordo per traghettare la Roma sino a giugno. Il rinnovo è a patto di raggiungere il porto della Champions. Insomma, la sensazione è che le scelte siano figlie della ricerca dell’assenso, che spesso però si rivela la strada migliore per scontentare tutti.
Premesso che le dimissioni della dottoressa Souloukou sono figlie di alcuni errori, anche piuttosto marchiani, di valutazione e sottovalutazione dell’ambiente, la frattura con la città non si sanerà con i tre punti contro l’Udinese, minimo sindacale per una squadra costruita, almeno sulla carta, per competere nella corsa al quarto posto. A Roma ne sono certi: Dan e Ryan Friedkin, fra l’altro in disaccordo anche sull’addio prima a Mourinho e poi a De Rossi, stanno facendo i conti con un elemento che non fa parte della cultura sportiva americana: la passione e l’identità dei tifosi.
Al di là dell’oceano, lo sport è entertainment, e le proprietà sono dei “luxury assets”. In Italia invece l’attaccamento alla squadra è viscerale e nessun tifoso, a nessuna latitudine del bel paese, accetta di veder trattato il club alla stregua di un’azienda o di un bene da vantare come fiore all’occhiello.
Ecco perché a questo punto i Friedkin sono di fronte al bivio: dal di là dell’Oceano arrivano rumors su possibili valutazioni intorno alle prossime mosse strategiche. Tradotto: lasciare o rilanciare. La seconda ipotesi è legata a uno strappo forse impossibile da ricucire e alla costruzione dello stadio per rendere la Roma un asset pregiato. La prima, invece prevede un disimpegno immediato. A oggi, nonostante i tre punti con l’Udinese, il futuro è assai nebuloso, abbastanza da rendere difficile essere assolutamente certi che fra 12 mesi la Roma abbia ancora la stessa proprietà.
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