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Finisce tutto con un pianto

È un pianto che commuove quello di Buffon, ma di cui non avevamo bisogno. Non ora. È un pianto che ci butta addosso la realtà, quella cruda del fallimento. È un pianto a cui tutti noi ci siamo uniti perché abbiamo capito che era finita ancor prima di aver cominciato.

Tutti gli errori di questi anni pagati in un’unica sera e riassunti nel crollo forse della più grande leggenda italiana del calcio mondiale. Un anno e mezzo fa la scena era la stessa: stessi volti, stessa reazione. Eravamo tutti in lacrime con Buffon ma anche con Barzagli. Solo che in quel momento piangevamo una Nazionale eroica con addosso il senso dell’ingiustizia: l’ingiustizia di essere usciti con una squadra fortissima ma che quella sua forza contro di noi non l’aveva legittimata. L’Italia aveva dato tutto e si è arresa solo ad una lotteria sfortunata.

Questa volta invece è stato diverso. Non volevamo vedere altre lacrime, non così presto, non dopo aver rotto di nuovo quel forte legame che si era creato tra la gente italiana e la Nazionale dopo l’avventura in Francia. Perché questa volta l’obiettivo era più modesto e i nostri meriti davvero minimi. Certo, i rimpianti per non aver sbloccato la partita di San Siro sono tanti, è inevitabile, ma il senso di paura che ci ha attanagliato in questi giorni è l’antitesi di come un italiano deve vivere le sfide della sua squadra.

E quindi siamo fuori. Perdiamo tutto e perdiamo tutti. E l’immagine del pianto di Buffon per quanto commovente nel suo singhiozzare le parole in preda allo sconforto è la peggiore che ci potesse riservare la serata di ieri. Perché ci consegna il volto di un eroe sconfitto, ci consegna la fine di una bellissima era di calcio italiano. Ma soprattutto ci annuncia meglio del fischio finale di Lahoz che non c’è più niente da fare. Ora si può solo ripartire. Con uomini e scelte differenti. Ma per asciugare quelle lacrime non basteranno pochi giorni.

Simone Gamberini

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