Così fa male. Siamo d’accordo, ma in fondo nell’intera serata di Cardiff di nuovo c’è ben poco. Tutte scene riviste, straviste, magari leggermente cambiate al fine di non plagiar nulla ma sostanzialmente identiche. Non ha fatto eccezione questa finale, in cui la Juventus si è trovata a soccombere dinanzi ad un equipo veramente galacticos e non solo nel soprannome. Non è un disonore perdere contro i più forti, forse: ma le immagini che Mediaset fa scorrere coi Muse in sottofondo (“Dig down”) parlano dell’ennesima finale persa, la 5° consecutiva. Se non è Guttman poco ci manca. E poi, se in tutta la Road to Cardiff la tua difesa subisce tre reti e nella finale ne incassa quattro, è ovvio che c’è stato un black-out. Sarà ricordata come la stagione della duodecima in casa blanca, perchè così come a Berlino una spagnola ha fatto inchinare davanti a sé la Juventus. E comunque, privato del peso di Higuain, il Real Madrid ha vinto tre coppe in quattro anni. E comunque Mandzukic si trova in una strana serie di coincidenze per cui una squadra che perde la finale di Champions lo acquista la stagione successiva. E comunque CR7 è per la 5° volta capocannoniere della manifestazione.
Nel 2014 andò in scena il derby madrileno. Dal Da Luz a Cardiff il passo è lungo, eppure qualche segnale che ci permette di accomunare le due finali c’è eccome. Intanto il punteggio: allora fu un sonoro 4-1 con cui le merengues ebbero ragione sui cugini colchoneros, ieri è stato un 1-4 che ribalta tutto fuorchè la sostanza. Solo la sfera temporale è meno dilatata, già che le reti sono arrivate in un lasso di tempo decisamente più breve dei 120′ lusitani. Di quell’undici di allora, sei blancos erano in campo pure a Cardiff (più Marcelo, Morata e Isco subentrati). E Khedira, allora solo merengue mentre ieri aveva aggiunto il nero al bianco. Altro elemento che lega il Galles al Portogallo è l’incrocio di sfere d’influenza tra i due membri certamente più altisonanti della BBC madrilena. Se nel 2014 toccò a Bale indirizzare la sfida nella terra di Cristiano (ricordate il colpo di testa su assist di Di Maria con annesso Alderweireld sovrastato?), nel paese di Gareth è stato Ronaldo a prendersi la copertina. L’asso di Madeira nella sua Lisbona riuscì solo a segnare su rigore, mentre ieri ha dato prova di quanto devastante possa essere: rasoiata a dare il vantaggio al Real, poi colpo del ko assestato ad una Vecchia Signora incerta e traballante mentre il collega col numero 11 è entrato solo per godersi l’applauso del suo pubblico. Era la finale dell’ex Tottenham, del resto, così come tre anni fa lo fu di Cristiano.
Tra esattamente tre giorni si “festeggerà” il secondo anniversario dalla finale di Berlino. L’Olympiastadion che a noi Azzurri aveva portato bene è stato però letale alla Juventus. I numi avevano favorito i marziani del Barcellona: ma se come detto la spina dorsale del Real rispetto al 2014 era grossomodo la stessa ieri a Cardiff, il discorso applicato ai bianconeri non regge. Buffon, Barzagli, Bonucci: Chiellini era indisponibile, il resto dei giocatori ha lasciato Vinovo da più o meno tempo (e Marchisio è entrato a gara compromessa). Della finale 2015, quella di quest’anno pareva aver il punteggio se non Asensio non vi si fosse messo in mezzo. Ma non solo, perchè il comune denominatore ci fornisce una squadra che, in balia dell’avversaria spagnola (allora segnò Rakitic, ieri Ronaldo), era riuscita a rispondere al colpo (allora con Morata, ieri con la strepitosa acrobazia di Mandzukic) e a tener il pallino del gioco per un periodo di tempo minimo ma continuo. Se a Berlino questo periodo durò poco, giusto il tempo di protestare per un presunto rigore su Pogba e sulla ripartenza Suárez morse Buffon in modo letale, ieri l’impressione è che la Juve avesse messo alle corde il Madrid. L’ha detto pure Buffon ai microfoni postpartita, parlando di una prima frazione strepitosa, e in effetti i ragazzi di Allegri hanno difeso in modo egregio concedendo poco e chiudendo i varchi ai blancos. Poi però ci si è sciolti come neve al sole. E se al 45′ la Juve primeggiava per numero di tiri in porta (8 a 5, nel secondo tempo il confronto sarà impietoso: 1 a 9), alla ripresa delle ostilità si è sciolta come neve al sole.
Tanti, tantissimi passaggi sbagliati. Errori individuali a non finire, al pari di quello di Antoine Griezmann dal dischetto a Milano, lo scorso anno. Perchè c’è anche qualcosa di Milano in questa Cardiff. E’ la cosa più banale di una finale, di qualunque sport, in qualunque categoria, a qualunque latitudine del mondo. La sofferenza, la disperazione, il vedersi scappare un trofeo tanto agognato e che mai come questa volta si poteva finalmente portare a casa. Ecco perché l’ardito paragone che sto per fare accomuna la Juventus all’Atlético: sarebbe potuta esser la finale se fosse riuscita la remuntada (se Benzema/Isco non si fossero opposti alla furia rojiblanca), ora è invece un comune urlo di sofferenza. Questa Juventus, così come la truppa di Simeone lo scorso anno, aveva tutto per far bene. Eppure è stata la sfortuna, unita a qualche decisione arbitrale discutibile, unita a qualche deviazione sfortunatissima (le prime due reti del Real sono arrivate così…), a far crollare i sogni. C’è una sottilissima striscia che separa e collega allo stesso tempo quei 3′ in cui prima il bolide di Casemiro poi la staffilata di Ronaldo hanno messo ko Buffon e compagni: è la stessa provata sulla schiena nel momento in cui tale Juanfran sbagliò il rigore decisivo. E poi, come lo scorso anno, sono mancate le stelle: Griezmann come detto spedì sulla traversa il rigore, Dybala e Higuain ieri sono stati ectoplasmatici e in particolar modo la Joya, invisibile e così stupefacentemente negativa a livello di performance. Allo stesso tempo, ad alimentare la fiammella sono stati due esterni: il belga Ferreira Carrasco con la sua zampata a pochi passi da Navas, così come la rete fantastica della prima punta riconvertita ad ala Mario Mandzukic. Un peccato siano servite a poco entrambe. Perchè poi la Juve è crollata: non ai rigori, ma decisamente prima. In Spagna l’avrebbero definito un fracaso inexplicable.
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