L’Italia cede il passo alla Spagna. A fine Europeo, tracciando un bilancio, il presidente federale Gabriele Gravina ha elogiato, il modello di calcio spagnolo e posto l’accento sulla forza e la voglia di puntare sui giovani, anche senza esperienza, per costruire qualcosa di importante. Esattamente quello che ha saputo fare De La Fuente.
Il modello Spagna si basa sul coraggio di lanciare i giovani, anche senza esperienza. I numeri parlano chiaro. Quella che oggi è una squadra di stelle, un anno fa era senza arte né parte. Nell’estate del 2023, Lamine Yamal aveva giocato sette minuti con il Barça, contro il Betis, ancora quindicenne. Nico Williams era un calciatore del Bilbao e due anni fa aveva giocato solo 14 partite da titolare nella prima squadra del rojiblanco. Marc Cucurella ha giocato solo otto minuti per il Barça in una partita di coppa contro il Murcia e alla fine è stato ceduto al Getafe per meno di dodici milioni. Dani Olmo ha anticipato tutti, lasciando il club catalano all’età di 16 anni intuendo che avrebbe trovato migliori opportunità altrove. L‘Osasuna ha venduto Merino al Dortmund per 3,7 milioni, dieci volte meno di quanto André Gomes costò al Barça. Nell’ultimo aggiornamento di mercato la rosa della Spagna era valutata 965 milioni. L’Inghilterra, 1520, la Francia, 1230. I soldi però non scendono in campo.
Luis de la Fuente ha avuto il merito di credere nei calciatori funzionali. Ed è passato alla cassa con gli interessi. Le premesse non erano incoraggianti. Semplicemente, non c’erano. Il CT campione d’Europa non aveva mai allenato una squadra né di Prima né di Seconda Divisione prima di mettersi alla guida della Roja. E anche le sue scelte erano apparse discutibili. Grimaldo aveva lasciato la Masia a 18 anni ed è andato a parametro zero al Leverkusen nel 2023. Nacho ha iniziato la stagione come quarto difensore centrale del Real Madrid. Laporte puntava al pensionamento anticipato in Arabia. Con queste premesse, il gruppo ispirava una logica diffidenza: giocatori scartati, poca esperienza nei grandi eventi. Eppure, la squadra ha messo in campo una personalità straordinaria e ha vinto ciascuna delle sette partite senza rinunciare ad uno stile preciso: giocare al calcio. Ha accettato momenti di sofferenza, ma non ha mai perso il controllo nonostante la metà dei suoi giocatori non avesse raggiunto le venti partite internazionali e in cui solo Rodri era stato tra i trenta finalisti dell’ultimo Pallone d’Oro. Nel calcio i miracoli non esistono, si chiama programmazione.
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