esterofilia
e·ste·ro·fi·lì·a/
sostantivo femminile
Esagerata simpatia o preferenza per tutto ciò che si fa o si pensa all’estero, o che da questo proviene.
Mi viene in soccorso il dizionario. Che ci fa un pezzo di Serie A su Footbola? I più attenti di voi lettori avranno certamente gridato allo scandalo, all’oltraggio, alla frode. Eppure, vi invito a sospendere il vostro giudizio riprendendolo a fine pezzo. Questo Genoa-Torino che il sottoscritto si è recato a vedere dalla tribuna stampa, grazie all’accredito di Footbola, è una miriade di spunti fruibili da una piattaforma sempre aperta e in costante aggiornamento sul calcio estero come la nostra, la vostra, insomma avete capito. Dopo aver goduto per la vittoria rossoblù, non ho mai fatto mistero del mio tifo, eccomi a buttar già qualche riga su tutto quello che Footbola può evidenziare da un match di campionato italiano. Ogni zona del mondo presa in esame possiede un paragrafo a sé stante, buona lettura.
Inghilterra
Il lato british è certamente quello più evidente ogni qual volta si mette piede al Ferraris. Siamo a Genova, la culla del calcio italiano, in cui una nidiata di inglesi decise un bel giorno (7 settembre 1893, presso il consolato in via Palestro) di mettere per iscritto l’atto di fondazione del Genoa Cricket and Football Club. Tra di loro, il baronetto Charles Alfred Payton. Loro hanno messo la firma sul documento, ma in campo il merito è stato di Sir James Richardson Spensley. I colori stessi del Genoa, quel rosso fiammeggiante di passione e quel flebile blu assimilabile al mare che bagna la città, sono ispirati alla Union Jack britannica. Quello che poi forse non sapete è che Frank Sinatra fosse tifoso genoano e che per il suo funerale abbia voluto una cravatta rossoblù, o che il cuore di un altro cantautore inglese (Jack Savoretti) sia dichiaratamente palpitante di Genoa. Ogni qualvolta Jack si esibisce a Genova porta indosso una maglia del Grifone o una sciarpa con quei colori inconfondibili. E il legame del Genoa con lo UK si vede anche sulla figura di Sergio Pizzorno, leader dei Kasabian e notissimo genoano (a tal punto che dopo l’alluvione del 2011 mise in vendita la sua chitarra per raccogliere fondi per Genova). Ma non finisce qui: ieri, in sala stampa, a Juric hanno chiesto se fosse stato il Ferraris o l’Old Trafford. Il legame col Teatro dei Sogni è evincibile dal tifo, caldissimo come solo nelle più focose piazze british. Cori da stadio, bandiere, e poi quel “You’ll Never Walk Alone” che storicamente campeggia nel cuore della Gradinata Nord: Liverpool già, dove questa fu la prima squadra italiana a profanare Anfield. Le note di Savoretti, “Home“, hanno dato il benvenuto a oltre 26mila anime: tutti piccoli ingranaggi di un meccanismo che ha restituito l’immagine di una bolgia. Il video di “Home”, inoltre, fu girato proprio sugli spalti del Ferraris dopo Genoa-Juventus di mercoledì 29 ottobre 2014, quando l’angelo del fango Antonini decise la contesa. Ieri, in campo, la fazione inglese era rappresentata dal solo Joe Hart: il classe ’87 di Shrewsbury, come da copione, è stato tutto fuorchè rassicurante per i compagni. Quando al minuto 8 ha rischiato la papera su una punizione telefonata di Veloso, la Nord aveva pregustato già il gol. Più in generale, anche ieri non ha offerto una prova degna di un portiere del suo calibro: poca sicurezza, specie la comunicazione con Avelar è stata rivedibile: Rigoni ha realizzato in quella zona, Simeone idem con patate. E per ultimo, concludendo il lato british del pomeriggio, come non notare il #WelcomeHome che, oltre ad esser il motto della campagna abbonamenti, rappresenta l’ideologia decine di migliaia di genoani che ogni qualvolta il Grifo gioca in casa si recano al Tempio?
Balcani
Questa è facile. Intanto, era Ivan Jurić contro Siniša Mihajlović: un croato di Spalato contro un serbo di Vukovar. Uno genoano fino alle viscere, l’altro (tra le altre cose) doriano. Uno ieri era in panchina, l’altro no (squalificato, spazio al vice Lombardo. Entrambi, però, certamente accomunati dall’origine balcanica, dalla passione, dal furore agonistico, dalla tenacia e dalla grinta disumana. Le prove sono queste: Ivan era come al solito incontenibile, quasi come un leone chiuso in gabbia, mentre si trovava limitato nell’area tecnica e il suo spirto guerrier voleva correre per il campo. Siniša, al termine del match, ha tenuto i suoi per un’ora e un quarto a colloquio. Vi garantisco che le urla si sentivano dall’altra parte del muro, nei pressi della mixed zone. Tutto questo on the bench: ma in campo, c’è stata comunque una buona rappresentanza. Prima i serbi: Darko Lazović ha fatto il bello e il cattivo tempo sulla sua corsia di competenza, la destra, facendo ammattire Avelar e ispirando i due gol: il primo perchè la punizione poi calciata da Veloso e deviata da Rigoni se l’è procurata lui, il secondo in quanto una sua folata è culminata col cross forte e teso per Simeone. Adem Ljajić da Novi Pazar ha combinato ben poco, inoltre la sua rete è arrivata da calcio piazzato sfortunatamente deviato da Miguel Veloso: prova altamente abulica e nettamente insufficiente, pur se non tra i peggiori del Toro. Saša Lukić, buttato nella mischia dopo l’infortunio di Baselli, ha subito una durissima lezione: sul piano tecnico Veloso aveva un altro passo, su quello fisico Cofie ha fatto quel che voleva, non ha trovato terreno facile e non ha fatto vedere una gran personalità. Spazio finale per Nikola Ninković: il 22enne “Dzigi” da Bogatić è restato in panchina per tutto il tempo, ma nel riscaldamento prematch e nell’intervallo ha mostrato al Ferraris la sua chioma raccolta. A chiudere la carrellata balcanica, Goran Pandev da Strumica. Il macedone, che ha pure fondato l’Akademija Pandev per contribuire allo sviluppo del calcio nella sua terra natia (e attualmente è in seconda divisione), è entrato al posto di Simeone. Per lui, una performance senza infamia e senza lode: ha fatto bene il suo lavoro, si trattava solo di gestire e l’eroe di Genoa-Inter l’ha fatto. Non ha segnato, e questa è una notizia in virtù del suo recente ottimo score, ma ha sbagliato qualche appoggio in profondità.
Argentina
C’era una volta la nutritissima colonia argentina a Catania: Genova tuttavia non è da meno, specie la Genova rossoblù. Negli anni terra di centravanti col fiuto (Diego Alberto Milito, “El Principe de Bernal”, ma anche Rodrigo Sebastián Palacio, “El Trenza” di Bahía Blanca), quest’anno è toccato al numero 9, il Cholito. Giovanni Simeone, classe ’95 da Baires, ripudia il soprannome affibbiatogli (“Chiamatemi Gio”) ma in compenso continua a segnare. Direi che un compromesso lo si può trovare, no? E comunque in Serie A siamo a quota 12 eh. A ritroso, il lato albiceleste di Genoa-Toro lo si trova poi in tre quarti di difesa rossoblù (Santiago Gentiletti da Gödeken, Nicolás Andrés Burdisso dalla provincia di Córdoba, Ezequiel Matías Muñoz da Pergamino): il primo è stato il peggiore dei migliori, nel senso che la retroguardia genoana ha retto egregiamente ma El Chueco è stato il meno solido del trio iniziale, con Biraschi e il capitano. Per l’appunto El León, contestato dalla Nord che a tratti lo chiamava e lo fischiava (“Guillermo, Guillermo!”), ha comandato ottimamente i colleghi, dirigendo le operazioni in una serata abbastanza tranquilla eccezion fatta per l’assalto finale. Ma la rete di Ljajic non è colpa sua, così come nemmeno dell’ex Palermo e Sampdoria: El niño de Pergamino è entrato al posto di Rigoni quando c’era bisogno di arretrare il raggio d’azione e alzare la trincea dinanzi a Lamanna. Ecco il 5-2-3, in cui “El Chiquito” prima ha agito da centrale di destra, poi forse da esterno di destra (rigorosamente molto basso, a livello di baricentro), infine più dietro che potesse. Nomino Orbán solo perchè le formazioni ufficiali lo ricordano alla voce sui calciatori in diffida, in realtà l’ex Valencia ha rescisso da tempo. Il lato albiceleste del Toro è più triste e Lucas Boyé ha toppato. Lo chiamano El Tanque per il suo fisico, lo chiamano El Toro per la sua possenza nella corsa, ieri sarebbe stato più corretto paragonarlo ad un docile mite agnellino. El Toro al Toro ha fatto male, così come si sa che in un pollaio non vanno messi due galli. Lombardo (Miha era squalificato, ricordo) si potrebbe giustificare dicendo questo: mentre Belotti è il Gallo, Maximiliano Gastón López è una Galina. Quindi, nessun problema a livello teorico: sul piano pratico, tutta un’altra storia. Fischiatissimo per i suoi trascorsi al Doria, con cui si era concesso il lusso di decidere anche un derby, La gallina de oro è apparsa sovrappeso e assai poso pericolosa per la difesa genoana. Tanto fumo, poco arrosto: la mossa della disperazione non ha portato alcun frutto. Chiosa finale per Juan Manuel Iturbe, che metto con gli argentini in quanto nato a Buenos Aires ma sarebbe meglio iscriverlo nella categoria paraguaiana perchè in fondo vien convocato dall’Albirroja. Vi dico solo che si è visto solo quando Iago Falqué lo ha sostituito. Prima, il suo 19 è parso totalmente inosservato.
Brasile
Ah, la saudade, la nostalgia. Rubens Fernando Moedim, alias Rubinho, alla sua seconda parentesi di carriera a Genova, ha scelto di nuovo l’83: ieri, dalla mixed zone, si è concesso per un autografo e ha declinato in modo molto cortese la mia richiesta di porgli qualche domanda. Direttamente dallo stato di San Paolo, precisamente Guarulhos, l’estremo difensore è restato però in panca per tutto il tempo (dopo che Mandorlini, in questa stagione, l’aveva a tratti preferito a Lamanna). Ma non è stagione per brasiliani a Genova, tant’è vero che il buon Edenílson da Porto Alegre aveva rescisso pure lui anzitempo il contratto che lo legava al Grifone. E se alla corte di Juric non si festeggia, non che dalla sponda di Mihajlovic il clima sia diverso. Danilo Avelar ha ballato ieri la samba a ritmi vertiginosi, finendo per concludere la sua partita con mal di testa e grosse responsabilità su entrambi i gol. Lento ed impacciato, prima non andando in diagonale difensiva su Rigoni, poi non chiudendo la linea di passaggio che ha consentito a Lazovic di volare. Può darsi che l’aria di mare gli abbia fatto male: in fondo il suo luogo natale, Paranavaí, si trova assai lontano dalla costa. Solo panchina per altri due difensori brasileiri, Leandro Castán e Carlos Roberto da Cruz Júnior (aka Carlão). Entrambi grossomodo originari dello stato di São Paulo, il primo di Jaú, il secondo del centro città paulista, hanno assistito impotenti alla sconfitta del loro équipe.
Altre dal Sudamerica
Diego Sebastián Laxalt Suárez lo riconosci da due peculiarità. Per chi è miope, il numero 93 lo si nota per la particolare corsa. Insomma, se vedete un puntino che parte dal limite della sua area e percorre tre quarti di campo con la stessa scioltezza che utilizzerebbe se se fossero pochi metri, ebbene, quello è lui. Se invece soffrire di ipermetropia e allora vi focalizzare sui dettagli, qualora vi accorgiate di un tizio un po’ esile con delle vistosissime treccine, benissimo, quello è lui. In ogni caso vi sarete accorti della sua presenza. Scherzi a parte, l’uruguagio di Montevideo ha offerto l’ennesima prova generosa dal punto di vista difensivo, offensivo e soprattutto polmonare. Una continua saetta sulla sinistra: basti pensare come Boyé (uno che non si è dannato dal correre) non sia riuscito a prenderlo neppure al minuto 80′, essendo pertanto costretto a fermarlo con le cattive (e una manata in faccia, in quella situazione, in quella posizione del campo e in quel contesto, secondo chi vi scrive sarebbe stata punibile col rosso). Detto in parole spicce: motorino inesauribile. Sorte triste, quella riservata a Mauricio Pinilla: il puntero di Santiago de Chile è stato relegato in panca, il suo 51 è restato per 94 e più minuti ad appassire tristemente su un seggiolino. Come un fiore a cui viene negata l’acqua, a Pinigol è negato spazio. Ma è comprensibile, dopo mesi in cui si è distinto più per nervosismo che altro.
Microparagrafo 2 – Africa
Cofie, Acquah, Obi: la zona mediana è stata dominata da un solo continente. Il primo, Isaac, ghanese di Accra formato nelle giovanili del Genoa e sempre legato al club di cui è tifoso, ha fatto un partidazo: i numerosi prestiti avevano fornito un’immagine negativa del mediano classe ’91. E invece, da malvoluto cavallo di ritorno, il 4 si è rivelato autore di buone performances. Dopo la partenza di Rincon, se possibile, molto di più: la sua fisicità è stata letale, ha stradominato vincendo duello su duello e rendendosi protagonista di ottimi disimpegni (non tutti semplici, garantisco io). Prova sontuosa, tant’è che qui in Liguria qualche giornale lo segnala come migliore in campo. Sul fronte granata il connazionale di Cofie, Afriyie Acquah (nato pure lui nella capitale), non ha tenuto fede alla sua investitura di “nuovo Essien”. La solita prova di fisicità e quantità è terminata dopo 15′, quando cioè l’infortunio di Baselli ha privato il 6 del miglior compagno di reparti possibile. In una mediana a due, senza l’ex atalantino ma con Lukic è stata tutta un’altra cosa. E Acquah l’ha patito abbastanza. Solo panchina per Joel Obi, nigeriano classe ’91 di Lagos.
Microparagrafo 3 – Svezia
Il continente scandinavo, negli anni, qui a Genova è stato poco rappresentato: solo nella storia recente del Grifone si contano esponenti di duplice utilità. C’è stato l’ottimo Granqvist, ma anche il fumoso Hallenius. Oscar Hiljemark, ieri tutto il tempo seduto, per ora fa parte della seconda tipologia: ma il tempo potrebbe regalarci sorprese, chissà. In fondo, sulla riva del Bisagno che bagna anche il punto vendita Ikea di Genova Campi, era approdato nel giugno 2011 un armadio svedese:Andreas Granqvist, da Helsinborg. Prima di lui, toccò al “nuovo Ibra” Linus Hallenius. Ma il classe ’91 di Sundsvall, dopo due prestiti a Lugano e Padova, verrà ceduto definitivamente all’Aarau (e pensare che sarebbe potuto/dovuto essere il nuovo Milito). Comunque, Hiljemark ora è a Genova: le sue prime parole sono state “Granqvist mi ha consigliato di venire qui”. Nelle fila granata, lo svedese Samuel Gustafson ha pure lui guardato il match da posizione privilegiata: evidentemente il tecnico Lombardo non ha preso in considerazione l’ipotesi di utilizzarlo.
Microparagrafo 4 – Francia, Spagna, Repubblica Ceca
Questo microparagrafo meriterebbe un pezzo a sé, ma ad un certo punto comprimo e faccio stare tutto qui sotto. Comincio dallo zero nella casella “minuti giocati” messo a referto dal ceco Lukáš Zima (promettente portiere classe ’94, nato a Hradec Králové). Mi rimangono Jules Olivier Ntcham e Iago Falqué. Sul primo potrei parlarvi di tutte le castronerie combinate in questa stagione mixate a gol incredibili (contro il Cagliari nella prima giornata, ai danni di Bologna ed Empoli in due turni consecutivi) o errori da doppio circoletto rosso, blu e nero (quello che ha regalato il gol decisivo a Muriel nel derby di ritorno, ad esempio). Ieri il numero 10 è subentrato tra i patemi d’animo della Gradinata Nord, ma non ha fatto poi così male: segnalo una veronica a metà campo che ha elettrizzato l’intero Ferraris e un paio di palloni persi dopo essersi intestardito nel voler a tutti costi spaccare il mondo. E poi, il motivo per cui la Diez sia passata dalle spalle di Perotti alle sue rimane un mistero. Già che ho nominato Perotti, sale la nostalgia: oltre a Diego, El Monito, in quel Genoa che nel 2014-15 toccò con un dito l’Europa League poi svanita nelle aule di tribunale c’era anche lui: Iago Falqué. Ma cosa dico, in realtà è principalmente grazie a Ia-gol che quel Grifone ebbe la possibilità di veleggiare a quelle vertiginose quote. Le sue 13 reti in Serie A contribuirono a fruttare 21 punti del 59 ottenuti dal Genoa: ieri Falqué è tornato al Ferraris in cui tra l’altro fece cadere il Torino di Ventura per 5-1. Lo spagnolo, col 24 sulle spalle allora, ma ieri il 14, ieri è subentrato a Iturbe. Non era al meglio, ma Lombardo ha provato comunque a cambiare le sorti del match affidandosi a lui. Ha fatto poco, il 27enne di Vigo, che di Aspas non ha solo la comune origine galiziana e il nome ma anche alcune movenze e una certa dote sottoporta: non era in condizioni fisiche perfette. Ma sono sicuro che in qualche piccola zona del suo cuore, sarà stato felice per la vittoria del Grifone. Direttamente dal Ferraris, o meglio, da tribuna stampa e mixed zone dello stadio, io e il mio bellissimo pass con lo sfondo blu vi salutiamo. E che sia un’arrivederci, magari alla prossima stagione!