Giovedì 20 maggio scorso, il mondo s’accorse per la prima volta di Håland per via di nove gol suoi nel 12-0 rifilato dalla Norvegia all’Honduras, ultima gara del girone del Mondiale U20 di Polonia. Il giovane scandinavo ruppe il record dell’ex Genoa e Bologna Adaílton – che nel 1997 segnò sei reti alla Corea del Sud – ed è curioso che entrambi avessero segnato quattro volte nei primi 45’. A differenza del brasiliano, però, Håland non si fermò: «Avrei potuto avere altri cinque goal, guardando le mie capacità» disse con apparente insolenza, spiegata dal connazionale Leo Skiri Østigård: «Ora si vede cosa ha dentro».
S’era sfogato così, segnando a raffica e facendo aprire un fascicolo alla Federcalcio honduregna per possibile manipolazione del risultato. Sorprendente, per una Norvegia meritatamente sconfitta da Uruguay (3-1) e Nuova Zelanda (0-2). Della squadra allenata da Pål Arne “Paco” Johansen, oltre a Håland, soli tre giocatori militavano fuori dai confini norvegesi: Østigård del Brighton, Kitolano dei Wolves ed Eman Markovic a Mostar, tra le fila dell’HŠK Zrinjski. La scarsa qualità complessiva compromise il cammino della rosa, ma le reti di Håland annacquarono il boccone amaro facendo registrare un +8 di differenza reti.
Alf-Inge Håland ha rappresentato la Norvegia al Mondiale 1994, ha disputato oltre 200 gare di Premier League tra Nottingham Forest, Leeds e Manchester City, club di cui è stato pure capitano. Celebre per un infortunio forse simulato e un battibecco secolare con Roy Keane, Håland fu uno dei pochi norvegesi a esser convocato senza aver mai giocato nell’Eliteserien. Ora, a 46 anni, gestisce la procura del figlio che come lui ha fatto gran parte della sua fortuna all’estero: «Il suo trasferimento è una storia di successo, è questa la strada che Erling ha voluto intraprendere. Io comunque tratto tutti i miei assistiti cosicché provino a fare quello che io ho fatto da giocatore. Da dove vieni, che si tratti di Bryne (dove è cresciuto il figlio, ndr) o altri piccoli posti, non importa».
Giovedì 5 settembre 2019, Håland figlio ha esordito con la nazionale norvegese. Lars Lagerbäck l’ha convocato premiando il suo stato di forma (8 reti e 3 assists in Bundesliga austriaca) e schierato titolare contro Malta al posto di Alexander Sørloth, Tarik Elyounoussi o Bjørn Maars Johnsen: il punto è che Håland ha esordito da 18enne, a 18 anni esatti dalla partita d’addio del padre Alf-Inge. La sua convocazione era poi la lucida continuazione di un progetto tattico che la Norvegia coltiva sin dagli anni ’90, dalla gestione Egil “Drillo” Olsen con la passione per gli attaccanti fisici, alla John Carew, con cui Håland condivide l’altezza (193 cm).
Non un caso che Erling sia nato a Leeds e tifi i Whites, dove il padre originario di Stavanger (così come Fredrik Torsteinbø) giocava: la stessa città capitale del petrolio che chiama i suoi abitanti “siddiser”, scandinavizzazione dell’inglese citizens. Håland crebbe in Norvegia, dove le 12 reti in 25 presenze nell’Eliteserien 2018 attirarono speculazioni su più fronti. Ole Gunnar Solskjaer, che lo allenò in 50 occasioni ricevendo 20 reti e 7 assists, fece il suo nome al Manchester United. Si trasferì invece a Salisburgo, appena 18enne ma con la decisiva – e fugace – presenza del connazionale e pari ruolo Gulbrandsen: «Appena arrivato, Fredrik mi ha dato il benvenuto, mostrandomi la strada. È diventato un amico ma il calcio è così e gli amici improvvisamente scompaiono». Come anche le offerte: la Juventus preparò 50 milioni di SEK per lui, salvo rifiutare di concludere l’affare.
Del quartetto più interessante della nouvelle vague norvegese in Europa (lui, Ødegaard, Ajer e Berge) è certamente il nome che spicca. E non solo perché Berge, che milita nel Genk, l’ha affossato con una tripletta, all’esordio in Champions League. Tripletta che, a 19 anni e 58 giorni, lo rende il più giovane di sempre: precede Raúl (18 anni e 113 giorni nel 1995) e Wayne Rooney (18 anni e 340 giorni, 2004), non due nomi da poco. E soprattutto, Erling Braut Håland è l’ottavo a segnare una tripletta all’esordio in Champions: prima di lui Brahimi, Grafite, Iaquinta, Rooney, Yakubu, Asprilla e van Basten.
Ecco di seguito il tabellino:
RB Salisburgo (4-4-2): Stanković; Kristensen (dall’84’ Farkas), Ramalho, Wöber, Ulmer; Minamino, Bernède, Junuzović, Szoboszalai (dal 62’ Okugawa); Håland (dal 72’ Daka), Hwang. All: Marsch. A disp: Köhn, Onguéné, Ashimeru, Mwepu.
Genk (4-2-3-1): Coucke; Maehle, Dewaest, Lucumí, Uronen; Berge, Hrosovsky; Ndongala (dal 72’ Hagi), Heynen (dall’86’ Onuachu), Ito (dal 46’ Bongonda); Samata. All: Mazzu. A disp: Vandevoordt, De Norre, Cuesta, Wouters, Piotrowski.
Reti: 2’, 34’ e 45’ Håland, 36’ Hwang, 40’ Lucumí, 45’+2 Szoboszalai, 52’ Samata, 66’ Ulmer. Ammoniti: Kristensen, Bernède, Szoboszalai (S), Bongonda, Samata (G). Arbitro: Zwayer (Germania).
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