Pareggio senza nerbo contro la Roma. Qualcosa è cambiato, ma non abbastanza: serve di più, e serve subito. La Juve non ha tempo da perdere
Chi si aspettava un cambio repentino, una squadra trasformata nel giro di dieci giorni, evidentemente non ha mai visto da vicino la Juventus. Qui non basta cambiare guida tecnica per cambiare mentalità. Igor Tudor ha portato una ventata nuova, su questo non si discute. Qualche idea offensiva in più, un atteggiamento meno sparagnino, una panchina più viva. Ma il pareggio dell’Olimpico racconta con freddezza che la Juve è ancora troppo simile a quella che faticava sotto Allegri, prima e Motta, poi.
La Roma, va detto, non era un avversario semplice: in forma e e una rosa in salute, fatta eccezione per Dybala. Ma se questa è l’iniezione di adrenalina che doveva far cambiare passo alla squadra, allora l’effetto Tudor per ora è più nome da prima pagina che scossa vera. L’1-1 di ieri ha lasciato l’impressione di una Juventus che fatica a cambiare pelle, anche quando cambia il sarto.
Nessuno pretendeva una rivoluzione in dieci giorni. Ma qualcosa di più sì, era lecito aspettarselo. Anche solo nei nervi, nella rabbia, nella voglia di andare a prendere la partita. Invece è sembrato tutto ancora molto tiepido. Il centrocampo ha continuato a girare a vuoto, Yildiz si è visto a sprazzi, Vlahovic si è sbattuto senza costrutto, e dietro, senza Bremer, si è barcollato più del dovuto.
Tudor in conferenza è apparso tranquillo, come se sapesse che il suo lavoro sarà lungo e complicato. Ma la Juventus non è una squadra che può permettersi il lusso del tempo. La Champions non è ancora blindata, e le prestazioni non bastano: servono vittorie. E serve una squadra con il fuoco dentro. Perché alla Juve, giocare bene è importante. Ma conta solo vincere. Sempre.
La domanda che ci si pone ora è: Tudor riuscirà a rompere davvero gli schemi del passato recente o finirà per adattarsi anche lui? Perché il rischio è dietro l’angolo: entrare in punta di piedi, proporre qualcosa, ma poi doversi piegare alle logiche di una squadra costruita in modo sbilenco, dove certi giocatori sembrano fuori posto e altri, semplicemente, non sono da Juve.
C’è un centrocampo senza leadership, un attacco che vive di episodi e una difesa che regge solo se tutti fanno filtro. Cambiare non è impossibile, ma richiede coraggio. E anche qualche scelta impopolare. Magari tenere fuori chi non corre, chi non incide, chi non sente il peso della maglia. Quella maglia che Tudor ha vestito da giocatore e conosce bene, ma che adesso ha il dovere di onorare da allenatore. E il primo passo è ridare dignità alla prestazione.
In fondo è semplice: alla Juve non basta l’illusione del cambiamento. Serve concretezza. Tudor ha le sue idee, la sua grinta, il suo stile. Ma ora deve dimostrare che può essere qualcosa di più di un traghettatore. Deve incidere. Deve restituire alla squadra il suo carattere. Perché senza quello, tutto il resto non conta.
Come diceva Clint Eastwood in Gran Torino, “i tempi cambiano, ma non sempre in meglio”. La Juve ha deciso di cambiare. Ora deve dimostrare che è stata la scelta giusta. E questo, con o senza slogan, si fa solo sul campo.
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