Francesco Della Villa, direttore del Centro Studi Isokinetic, alla Gazzetta dello Sport: “Questo fenomeno è dovuto a una combinazione di fattori: da un lato, i giocatori all’inizio della stagione sono ancora in fase di adattamento fisico, nonostante la preparazione estiva; dall’altro, ottobre è un mese carico di impegni”
Il mese di ottobre si conferma uno dei periodi più delicati per i calciatori professionisti, soprattutto per quanto riguarda gli infortuni al legamento crociato anteriore (LCA). Secondo i dati raccolti negli ultimi dieci anni, in Serie A si registrano in media 12 casi di LCA per stagione, con un aumento di incidenza proprio nei primi mesi del campionato. Il recente infortunio di Duván Zapata del Torino è solo l’ultimo di una serie di gravi incidenti che hanno coinvolto giocatori di spicco, tra cui Gleison Bremer (Juventus), Nicolò Cambiaghi (Bologna) e altri in campionati esteri come Rodri del Manchester City e Dani Carvajal del Real Madrid.
Francesco Della Villa, direttore del Centro Studi Isokinetic, ha spiegato alla Gazzetta dello Sport: “Gli infortuni al crociato sono abbastanza stabili in Serie A. Certamente, c’è da fare una considerazione: gli infortuni al crociato si verificano più frequentemente all’inizio della stagione. Ottobre è il mese più caldo, è lì che abbiamo registrato più infortuni in assoluto”. Questo fenomeno è dovuto a una combinazione di fattori: da un lato, i giocatori all’inizio della stagione sono ancora in fase di adattamento fisico, nonostante la preparazione estiva; dall’altro, ottobre è un mese carico di impegni, con più partite ravvicinate che aumentano il rischio di sovraccarico e, di conseguenza, di infortuni.
Un altro aspetto da considerare è la maggiore intensità del gioco moderno, che ha portato a un aumento di accelerazioni e decelerazioni rapide. “Il crociato avviene soprattutto in fase di decelerazione”, spiega Della Villa, sottolineando come questo tipo di dinamica sia diventata una delle principali cause degli infortuni al ginocchio.
Uno degli aspetti più interessanti emersi dagli studi sugli infortuni al crociato riguarda i meccanismi che portano alla rottura del legamento. Come spiega Della Villa, ci sono tre categorie principali di infortunio: per contatto diretto, per contatto indiretto e senza contatto. “Con un tackle, è il caso di Ferguson o di Carvajal. Sono contatti diretti, ci si può fare poco”. Tuttavia, la maggior parte degli infortuni avviene senza un vero impatto fisico diretto con un avversario. “Il 44% dei professionisti si fa male senza contatto”, spiega l’esperto. Un esempio emblematico è quello di Bremer, che si è infortunato dopo essere stato spinto, o di Zaniolo, che ha subito la lesione senza alcun contatto esterno.
In generale, l’80% degli infortuni al crociato avviene senza un contatto diretto, e questo dato diventa ancora più preoccupante quando si analizzano i giovani calciatori. “I professionisti sono altamente selezionati”, sottolinea Della Villa, “ma le percentuali di non contatto nelle ragazze e nei ragazzi, nei giovani in generale, sono molto più alte”. Questo suggerisce che c’è un problema nascosto tra i giovani atleti, che potrebbero essere particolarmente vulnerabili a questo tipo di infortunio.
Quando un calciatore subisce un infortunio al legamento crociato, il percorso di recupero è lungo e impegnativo. Il ritorno in campo non è mai scontato, e ogni caso deve essere trattato con estrema attenzione. “Non sono infortuni da banalizzare ma da trattare attentamente”, avverte Della Villa. Oltre alla chirurgia, che è la scelta consigliata per i calciatori professionisti, il recupero richiede un programma rigoroso basato su criteri specifici piuttosto che su una semplice scadenza temporale.
In media, un giocatore impiega circa 192 giorni (sei mesi e mezzo) per tornare ad allenarsi e circa 239 giorni (otto mesi) per essere nuovamente pronto per le partite. Tuttavia, come sottolinea Della Villa, “c’è una enorme variabilità a seconda dell’infortunio e della risposta del singolo giocatore”. Il rischio di ricaduta, infatti, è significativo: “Il rischio di un secondo infortunio, di una ricaduta, è del 18% a 5 anni dal primo recupero: 1 su 5 rischia di rifarsi male”.
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