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Dentro l’Olympiastadion

Da ignaro turista qual ero, per me l’Olympiastadion era uno stadio. L’esperienza mi avrebbe insegnato come sia invece l’epicentro di un bellissimo parco, un isolato interamente devoto allo sport. Una volta era chiamato Reichssportfeld e già conservava i segni arrivati fino a noi: complice la fortuna di evitare i bombardamenti, ha visto seppellita dalla seconda guerra mondiale solo la torre dell’orologio, la Maifeld (oggi ricostruita, ma con la campana d’allora). Lo Stadion, edificato col campo sotto al livello del terreno e solo la tribuna centrale sopra, appare così basso ma aderente al suolo: scelta stilisticamente d’effetto, perché abbassa l’altezza rovinando ardite foto in orizzontale e obbligando quasi all’utilizzo di panoramiche per immortalare l’interezza dell’impianto. C’è ancora lo stadio del nuoto, l’Olympia-Schwimmstadion, accompagnato dall’anfiteatro Waldbühne, dal Langemarckhalle nazista e dall’immancabile campanile. L’Hertha, il club che qui ha casa (anche se le regole per poter usufruire dell’impianto sono ferree: lasciare in ordine dopo la partita, togliere ogni segno distintivo del club immediatamente e doversi piegare a un certo anonimato, perché in fondo l’Olympiastadion è di proprietà della città di Berlino), è nato il 25 luglio 1892. Lo chiamano Die Alte Dame, tedeschizzazione della Vecchia Signora italiana, la Juventus, anche se sarebbe più vero parlare di un italianizzazione dell’Hertha in quanto nato prima. In ogni caso, lasciato il Gesundbrunnen Stadion negli anni Sessanta, l’Olympiastadion s’è prestato a ospitare il club e l’intera Berlino ha ulteriormente decentrato a ovest il suo cuore calcistico: incantevole la zona, a pochi passi dalla meravigliosa reggia di Charlottenburg, ma siamo davvero sicuri che il decimo club di Bundesliga meriti una location del genere?

Risale al 1913 la decisione di costruire uno stadio per i giochi olimpici di tre anni dopo, ma la prima guerra mondiale bloccò tutto. Si concorda tuttavia nello stabilire come data di nascita dell’Olympiastadion il 1934, con due anni di lavori che apparecchiassero la tavola alle Olimpiadi del 1936. A settant’anni da allora, in concomitanza col Mondiale organizzato e vinto dalla Germania Ovest nel 1974, una nuova opera di ristrutturazione ha coinvolto lo Stadion, prima che nel 2004 fosse ulteriormente ammodernato così da permettergli di ospitare la finale di Germania 2006. Bei ricordi azzurri, il 5-3 contro la Francia ai rigori, in un gioiello da nemmeno 75mila posti. E no, l’Olympiastadion non è né il più capiente stadio tedesco (il Signal Iduna Park supera quota 81mila), né tantomeno il principale teatro del Fußball (senza troppi calcoli, l’Allianz Arena lo supera per blasone del Bayern). Semplicemente, è lo stadio della capitale: alcuni raccontano che negli anni Novanta si fosse discussa l’eventualità di raderlo al suolo per costruirne uno nuovo, nel 2016 l’Hertha entrò in comune con un progetto che prevedesse la creazione di una Fussballarena da 55mila posti accanto all’Olympiastadion, ma in fin dei conti oggi non v’è nulla se non qualche speculazione. Così lo stadio, certificato dall’UEFA nel giugno 2015 e rientrante nell’Elite List of Stadia (massimo riconoscimento da parte del massimo ente calcistico europeo, con tanto di targa commemorativa all’ingresso e firma di monsieur Platini), ha nel frattempo ospitato la finale di Champions 2015.

L’intera zona di Grunewald (a 7 km in direzione ovest da Kurfürstendamm, a 10 da Brandenburger Tor e Hauptbahnhof) non è solo calcio. Nel 2009 si esibirono gli U2, completando una rassegna di artisti comprendente pure Madonna, i Depeche Mode e i Guns N’Roses. Sia l’Olympiastadion che la Glockenturm devono la loro esistenza a Werner e Walter March, figli dell’architetto Otto, che progettarono l’impianto laddove sorgeva un ippodromo ideato dal padre. Il resto è storia, le quattro medaglie vinte da Jesse Owens, Hitler che disertò la cerimonia di consegna, il progetto di regime infranto sui 9 secondi e 58 centesimi dello statunitense. La propaganda, poi, il tribolato scorrere del tempo fino al 9 luglio 2006, Italia-Francia, l’evento diffusamente più trasmesso al mondo. Ma anche la Coppa di Germania che – il 12 maggio 2012 – il Borussia Dortmund di Klopp riuscì a strappare al Bayern Monaco, annus mirabilis che avrebbe visto il doblete dato il successo pure in Bundesliga. Permangono le maglie, nei corridoi. Permane la magia, pure quando si notano i tratti dell’architettura nazista così inconsciamente collocati intorno a lussuosissime sale da pranzo. The Chapel, ricoperta internamente d’oro. Gli spogliatoi, in stile pragmatico ed essenziale. Niente fuori posto, se non per la concomitanza degli Europei d’Atletica. Resta comunque uno spettacolo, l’Olympiastadion: Olympischer Platz 3, in ogni modo, è una tappa fondamentale di chi vorrà avventurarsi in cerca di sport negli angoli una meta già pervasa dalla storia come Berlino.

Matteo Albanese

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