L’allarme nelle Midlands è stato recentemente lanciato da un preoccupante assolo di Kasper Schmeichel ieri in conferenza stampa: «We skipped a few steps. It’s really important now we find that identity – who are we and what kind of team are we. Everything is in place, we have an amazing manager, amazing owners, a new training ground and everything is there to establish ourselves». Il riferimento al titolo vinto nel 2016 è chiaro, com’è altrettanto chiaro che le montagne russe vissute da allora abbiano attaccato la serenità in un ambiente grossomodo tranquillo ma mai sottoposto a scariche d’adrenalina come dal 2015 a oggi. Tutto cominciò con la vittoria di League One del 2009, targata Nigel Pearson, lo stesso che il 1 luglio 2015 fu licenziato – al termine di un biennio caratterizzato da qualche frattura di troppo – principalmente per il sex tape a sfondo razzista nella tournée thailandese voluta dal patron Vichai . Il figlio del manager, James, fu immortalato in atti sessuali mentre due compagni (il 22enne portiere Smith e il 21enne attaccante Hopper) ridevano a crepapelle. Il fatto non piacque, il 51enne Nigel Pearson fu licenziato e la leggenda del Leicester, Gary Lineker, non la prese bene su Twitter in due occasioni.
La prima fu «Really? WTF! Could you kindly reinstate him like the last time you fired him?», la seconda: «Getting LCFC promoted and the greatest escape ever, Pearson is sacked? Are the folk running football stupid? Yes». Il tempo avrebbe dato ragione alla dirigenza e lo stesso Lineker avrebbe pagato l’offesa presentandosi alla conduzione di Monday Night Football con uno sgargiante paio di boxer decorato con delle volpi. Di quella festa, di quel periodo, di quel 2015-16 con tanto di party a casa Vardy, è però rimasto ben poco. Prima del 2014/15, serviva tornare indietro al 2003/04 per rivedere il City in Premier League, solo per una stagione, il tempo di un 18mo posto targato Michy Adams e nuovamente il saliscendi: c’era stato Craig Levein, c’è stato Nigel Worthington, c’è stato Ian Holloway retrocesso nel 2008 dalla Championship. Da lì toccò a Pearson che, eccezion fatta per il 10° posto in Championship toccato nel 2008-09 dallo svedese Sven-Göran Eriksson, aveva guidato la squadra fino a quell’esonero così folle.
Tutto prese una deriva assurda: gli 81 punti del primo posto 2015/16, la dodicesima casella l’anno dopo con l’avvicendamento tra l’italiano e Craig Shakespeare, Claude Puel nel 2017/18 e Brendan Rodgers nel 2018/19. Dopo due noni posti, svanita l’ultima parvenza di viaggi in giro per l’Europa, l’incetta di mondanità di cui il King Power Stadium abusò s’è fatta sentire. Da buon parvenu, il Leicester s’è presentato al tavolo dei grandi scontando l’aplomb poco signorile maturato nei campi di provincia. Con lui, nel 2016/17 salutò N’Golo Kanté in direzione Londra, nel 2017/18 partì Danny Drinkwater, Andy King e Leo Ulloa furono epurati. Sintomo di un mercato strano: dei 35,8 milioni incassati per Kanté l’anno prima ne partirono 30,5 allo Sporting in cambio di Islam Slimani. Il francese in compenso fu sostituito dal nizzardo Nampalys Mendy (15,5), con risultati non soddisfacenti. Quando invece toccò a Drinkwater lasciare le Midlands, i 37,9 milioni furono girati rispettivamente a Sporting (Adrien Silva, 24,5) e Siviglia (Vicente Iborra, 15). Di questi, il secondo oggi milita nel Villarreal.
Paradossalmente, all’alba della Premier League 2017/18 si copiò l’operazione Musa effettuata l’anno prima col CSKA Mosca: stavolta al King Power Stadium ecco il nigeriano Kelechi Iheanacho, per 27,7 milioni dal Manchester City. Fece il suo ingresso in rosa pure un giovane Harry Maguire, strappato per 13,7 milioni all’Hull City e venduto proprio oggi per 87 milioni di euro allo United di Ole Gunnar Solskjær. La rivoluzione è continuata l’anno dopo coi 67,8 milioni del City per Riyad Mahrez investiti in una ventata d’aria fresca ed esterofila: l’inglese James Maddison (25, Norwich), il portoghese Ricardo Pereira (22, Porto), il turco Caglar Söyüncü (21,1, Friburgo), il croato Filip Benkovic (14,5, Dinamo Zagabria) e l’algerino Rachid Ghezzal (14, Monaco).
Che strano il mercato. Sono passati da Schmeichel; Simpson, Huth, Morgan, Fuchs; Mahrez, Kanté, Drinkwater, Albrighton; Okazaki, Vardy a un qualcosa di filosoficamente diverso, quale Schmeichel; Pereira, Maguire, Evans, Chilwell; Choudhury, Ndidi; Albrighton, Tielemans, Maddison; Vardy. Oggi, la partenza di Shinji Okazaki al Málaga fa sì che solo nove dei 28 giocatori impiegati nel 2015-16 rimangano in rosa. Sono titolari Schmeichel, Vardy e Albrighton (l’uomo che segnò il primo storico gol del Leicester in Champions League). Fuchs è diventato la riserva di Chilwell ribaltando i ruoli di quattro anni fa, capitan Morgan parte dietro nelle gerarchie, Amartey e Demarai Gray arrivarono nel gennaio 2016 e dunque non vissero la stagione dall’inizio, il gallese Andy King è passato dall’essere l’icona delle Foxes a due prestiti infruttuosi a Swansea e Derby County. E allora forse sì, aveva ragione Schmeichel: il Leicester odierno è ancora a caccia della sua dimensione.
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