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Da Muñeco a Napoleón: la rivoluzione di Gallardo

Lucas Pratto, autore di due gol e mezzo nella doppia finale di Copa Libertadores, e il suo allenatore Marcelo Gallardo hanno in comune una cosa assai inusuale e non è l’aver vinto una Libertadores con la maglia del River Plate (Gallardo nel 1996 con Ramón Díaz in panchina, uomo da cui per altro ha ereditato la sua attuale panchina), ma è quella di aver cambiato apodos.

Gli apodos sono più di semplici soprannomi e davvero raramente vengono del tutto cambiati nel corso della carriera, può capitare di averne più d’uno ed è il caso del Oso (ex Camello) Pratto e di Napoleón (ex Muñeco) Gallardo. Il cambiamento di soprannome non sarà mai definitivo per l’attuale allenatore del River Plate in quanto uno lo identifica come calciatore e persona, l’altro lo glorifica come merita dopo le vittoriose campagne internazionali.

Il primo gli fu dato da ragazzino quando, durante un torello con la prima squadra millonaria, un giocatore disse “ahí va el muñequito”; bambola non è la traduzione più corretta per Muñeco, è una bambola ‘cattiva’, paurosa. A lui fu affibbiato perché ad una prima occhiata aveva un volto da bambola mentre osservandolo più attentamente si notavano i tratti perfidi e quasi ‘demoniaci’ del suo ghigno e del suo viso. ‘Napoleone’ lo è diventato grazie al presidente della Banda, Rodolfo D’Onofrio, che disse: “Perché Napoleone? Semplice perché era un militare in grado di convincere le sue armate a fare ciò che diceva loro. Li convinceva della bontà della sua strategia e così fa Marcelo, i giocatori escono dagli spogliatoi convinti del piano partita. Poi può funzionare o no, però le creen“.

Il discorso del CREDERCI è di stretta attualità se si parla di Gallardo, lui dopo la semifinale di andata persa in casa col Gremio in conferenza stampa con poche parole ha lanciato un messaggio di speranza fortissimo: “la gente que crea porque la verdad tiene con que creer – la gente (sottinteso del River) deve crederci perché in verità ha qualcosa in cui credere”. Il surrealismo che ha accompagnato la semifinale di ritorno in Brasile è passato in secondo piano dopo i fatti occorsi pre, tra e post le due finali, ma anche quella partita contro i campioni in carica del Gremio ha mostrato una dose massiccia di sudamerica e di surrealismo. Tralasciamo l’incursione non autorizzata negli spogliatoi dello squalificato protagonista della nostra storia e il gol del pareggio forse di mano non ravvisato dal VAR di Santos Borré; sono passati 10 minuti tra il fallo di mano in area e la realizzazione dagli 11 metri di Gonzalo Martínez che è valsa il Superclásico in finale. Il sentimiento del River incarnatosi nel mancino del Pity ha perfettamente rispettato l’ordine del suo condottiero, crederci, d’altronde fu proprio Napoleone Bonaparte a dire “un leader è un commerciante di speranza.”

I successi internazionali da allenatore del Mas Grande sono già 6 (2 Libertadores) e lo rendono il più vincente allenatore della storia del club, in più vanta 3 titoli nazionali: 2 coppe d’Argentina e 1 supercoppa vinta in campo neutro per 2-0 contro il Boca Juniors, il che non guasta. Ovviamente il palmarès spiegherebbe a sufficienza il suo nuovo apodo, ma non staremmo scrivendo di una storia sudamericana se non ci fosse dell’altro. Infatti a renderlo ancor più epico sono stati i 3 successi internazionali contro il Boca (semifinale Copa sudamericana 2014, ottavi Libertadores 2015 quelli della sospensione al ritorno e finale Libertadores 2018) e le partite leggendarie come quella di ritorno col Gremio o l’8-0 rifilato al Jorge Wilstermann, colpevole di aver vinto l’andata incredibilmente per 3-0 in casa ed altre ancora.

Che allenatore è?

Tutti questi successi acquistano maggiormente valore se contestualizzati con le rose a disposizione e col tipo di gioco proposto. Marcelo Gallardo è riuscito a portare idee di calcio innovative ‘europee’, senza però perdere i tratti distintivi della storia del River Plate e del calcio argentino. Il gol del pareggio del ritorno viene da un azione esemplificativa in merito, creatività e proposta offensiva classica del River, condita da tattica contemporanea. I Millonarios di Napoleon usano spesso i triangoli alla ricerca del terzo uomo o per scombinare la difesa e punirla dove è più sensibile, proprio come le squadre di Guardiola, Sarri, Pochettino. Gallardo ha avuto il coraggio di cambiare moduli di gioco, ad esempio proponendo una difesa a 5 nell’andata di finale (vista raramente anche in Primera Division) e non lo ha fatto solo per difendersi con più uomini, l’intento era quello di gestire la palla dal basso con parecchi elementi che qualora fossero stati pressati alti avrebbero potuto far girare la palla alla ricerca degli esterni e delle punte con meno difficoltà. La rinascita dalla B in cui era sprofondata la Banda nel 2011 è stata più gloriosa di qualsiasi aspettativa, nonostante i migliori giocatori siano stati venduti di anno in anno e il lavoro del Muneco sembrasse sempre impossibile o quasi. Gallardo non ha ancora vinto il campionato argentino da allenatore e questo è un neo sul suo ciclo, questo è in parte dovuto alle rose non particolarmente adatte alle maratone, ma più alle corse rapide e in parte è anche dovuto alle sue caratteristiche gestionali che ben si adattano con il doppio confronto o partita secca, grazie all’abilità nel preparare tatticamente ed emotivamente una sfida. Il recente doppio confronto con Schelotto è il manifesto delle differenze tra di loro e delle maggiori capacità di Marcelo nel preparare le partite anche in base all’avversario e nel leggere le partite in corso. L’allenatore del Boca si è affidato ai singoli cercando l’uomo in grado di svoltare le sorti dell’incontro, quello del River invece ha cambiato tatticamente la gara, ad es. inserendo un enganche come Quintero e togliendo un giocatore d’ordine come Ponzio. E attenzione a fare queste valutazioni in base all’esito finale, perché la coppa sarebbe potuta tranquillamente andare al Boca se Benedetto non si fosse fatto ipnotizzare da Armani nel mano a mano (specialità della casa) all’ultimo secondo dell’andata o se il tiro di Jara dopo aver colpito il palo fosse entrato in porta al 119°.

Il River Plate di Napoleon non è tutto rose e fiori e i limiti si possono riscontrare nella preparazione difensiva nelle palle inattive, la squadra difende troppo a ridosso del portiere, Armani però non è uno specialista delle uscite alte e quindi si tende a pagare una scelta del genere. La Fiorentina di Pioli ad esempio adotta la stessa strategia, ma ha Lafont tra i pali che è uno molto (forse troppo) tendente all’uscita. Bisogna interpretarla come una scelta dettata anche dai giocatori in campo, che per quanto possano essere catechizzati comunque incontrano delle difficoltà nel modificare delle abitudini consolidate da anni. In più la rosa a disposizione è troppo corta per competere al meglio su tutti i fronti, se Gallardo vorrà puntare seriamente al campionato il prossimo anno, dovrà aumentare il minutaggio dei comprimari e adattare le sue esigenze alla lunghezza del campionato.

Una nota di merito va spesa per Matias Biscay, non un semplice vice per Napoleon. Lui ha condotto la squadra nella semifinale di ritorno e nella doppia finale a causa della suddetta squalifica, e lo ha potuto fare perché pensa e vive il calcio come il suo capo e questo rapporto di simbiosi tra i due è molto prezioso per il River. Ad Abu Dhabi i Millonarios non vanno in vacanza, anzi vanno con pretese importanti. La stanchezza nervosa e fisica del Superclásico di finale può trasformarsi in leggerezza e chissà che contro un Real Madrid in semi-crisi possa compiersi un’impresa. Negli ultimi 10 anni soltanto un’europea ha perso il Mondiale per Club, il Chelsea nel 2012 contro il Corinthians del Depredador Paolo Guerrero. “Ciò che io cerco, prima di ogni altra cosa, è la grandezza: ciò che è grande è sempre bello” Napoleone. E cosa c’è di più grande dell’essere campioni del mondo per club battendo i galácticos? Detto ciò la finale del torneo non è ancora scritta e potrebbe pure non arrivarci una delle due.

 

A quando l’approdo in Europa?

Per ora lui giura amore al River e non pensa al trasferimento, ma la logica lo vuole nel vecchio continente per mettersi alla prova in un altro contesto, anche se da provare c’è ben poco e un eventuale “fallimento” europeo non intaccherebbe il suo immenso lavoro fatto in Argentina e Uruguay (dove ha vinto un campionato col Nacional all’esordio su una panchina). Le preoccupazioni principali sono 2: 1) quanto ha bisogno del contesto giusto per far rendere al meglio una sua squadra? Quindi di conseguenza da una parte c’è il rischio di affidargli un intero progetto e dall’altra c’è quello di limitarlo se non lo si fa. 2) siamo sicuri che il suo essere un hincha del River non lo abbia aiutato più di ciò che si pensi? Difficile rispondere a questo dubbio perché sicuramente conoscere l’ambiente e aver vinto da giocatore con quella maglia ha semplificato il rapporto con media e tifosi, però c’è anche da dire che i suoi meriti da allenatore sono visibili a tutti e così come Guardiola non ha fatto bene solo col Barcellona o Conte solo con la Juve, non potrebbe fare lo stesso Napoleon? Il titolo vinto col Nacional un po’ conforta sotto questo punto di vista, anche se va detto che in Uruguay 98 su 117 campionati sono stati vinti da Nacional (46) e Penarol (52).

I direttori sportivi d’Europa interessati a Gallardo dovrebbero affidargli l’incarico solo se la piazza e la rosa si adattano a lui, il progetto da consegnare a un allenatore del genere vale più dei soldi o del prestigio del club stesso. E’ bene ricordare che il miglior allenatore argentino (perdoname Loco) in circolazione, il Cholo Simeone è partito da Catania.

Di cosa è fatta la palla? Cuoio. Da dove viene il cuoio? Dalla mucca. Cosa mangia la mucca? Erba. Entonces, la pelota siempre al piso – dunque la palla si gioca sempre rasoterra. Napoleón Gallardo.

 

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