La Copa Libertadores e il Brasileirão con il Flamengo, con tanto di premio come miglior giocatore di entrambe le competizioni. Poi, dopo la finale del Mondiale per Club persa ai supplementari contro il Liverpool, è stato eletto come secondo miglior giocatore del torneo, dopo Salah. Bruno Henrique a 28 anni si è affermato tra i migliori giocatori del calcio sudamericano, totalizzando tra campionato e LIbertadores 26 gol e 9 assist in 46 partite: un’evoluzione della sua carriera quasi impronosticabile, ancor più eccezionale se si pensa a 21 lavorava come receptionist in una scuola di quartiere, e il calcio era poco più che un passatempo della domenica.
LE ORIGINI E GLI ESORDI
Bruno e il fratello Juninho, di un anno più grande, si erano guadagnati il titolo di ‘reis da várzea’ – i re della terra battuta (del calcio amatoriale) – per le loro prestazioni con la maglia dell’Inconfidência, la squadra del bairro Concordia di Belo Horizonte dove erano nati e cresciuti, ma il sogno di diventare calciatori era sul punto di spegnersi. “Ormai avevamo perso la speranza di poter diventare calciatori, ci eravamo messi il cuore in pace; chi proviene dal calcio amatoriale è visto con occhi diversi” ha rivelato in seguito Bruno Henrique, raccontando di essere stato scartato da numerose squadre professionistiche in quanto privo di una formazione strutturata nel calcio giovanile.
Viene da chiedersi come sarebbero andate le cose se, all’inizio del 2012, lo zio Carlos Antônio non avesse chiamato il vicepresidente del Cruzeiro, che con l’Atlético Mineiro si contende la leadership della città, capitale dello stato brasiliano di Minas Gerais, convincendolo a offrire un contratto annuale ai due nipoti.
Le loro carriere sono proseguite su binari paralleli fino al 2014: dal Cruzeiro, con cui non hanno mai esordito, si sono trasferiti prima all’Uberlândia, e poi all’Itumbiara, nello stato del Goiás. Lì la carriera di Bruno Henrique inizia a decollare in modo del tutto imprevedibile.
Nella seconda divisione del Campeonato Goiano gli bastano poche partite per mettere in mostra un livello di gioco fuori contesto: con 7 gol in 11 partite trascina la squadra alla promozione, guadagnandosi la chiamata del club più rappresentativo dello stato, il Goiás, con cui a 24 anni si presenta finalmente nel massimo campionato nazionale.
In una intervista di quell’anno, alla domanda su quali fossero le sue caratteristiche, si definisce anzitutto un “giocatore di velocità”, abile nella conduzione del pallone ma anche nel colpo di testa, grazie soprattutto alla sua capacità di elevazione. Come proprio idolo cita senza esitazioni Robinho: “Ha il mio stesso biotipo magrolino, è veloce, un dribblatore; mi ispiro molto a lui” e racconta di come recentemente si fosse svegliato presto la domenica mattina per non perdersi un reportage su di lui in televisione, “per cercare di perfezionarmi, di capire il suo pensiero per cercare di fare le stesse cose che fa lui”.
La stagione del club non è delle migliori e si conclude con la retrocessione, ma tutti e quattro gli allenatori che si avvicendano sulla panchina danno fiducia a Bruno Henrique, che nonostante la situazione caotica riesce a guadagnarsi un posto stabile tra i titolari, chiudendo in crescendo con un totale di 7 gol e 7 assist.
Schierato inizialmente come seconda punta, nel corso della stagione trova spazio anche a destra o a sinistra nel tridente; dimostra un’attitudine associativa e non è a disagio negli spazi stretti, ma è devastante soprattutto quando può sfruttare la sua velocità in campo aperto. I suoi numeri non sono di per sé eccezionali, ma vanno rapportati a quelli di una squadra modesta, capace di segnare solo 21 gol su azione in 38 partite.
IL PASSAGGIO IN EUROPA
Sembra che il Palmeiras, dopo aver acquistato il suo compagno d’attacco Erik, fosse intenzionato a ricostituire la coppia, ma a sorpresa spunta il Wolfsburg, che su consiglio di Josué -(ex calciatore brasiliano con 192 presenze nella squadra, che aveva iniziato la carriera proprio nel Goiás) decide di investire 4,5 milioni di euro per acquistarlo.
Reduce dal secondo posto in Bundesliga e atteso agli ottavi di Champions League dal Gent, dopo aver vinto il proprio girone mettendosi alle spalle Manchester United, PSV Eindhoven e CSKA Mosca, il Wolfsburg in quel momento è ancora tra le migliori squadre della Bundesliga, e Bruno Henrique si trova a giocarsi il posto con giocatori affermati come Draxler, Schürrle, Caligiuri e Kruse.
L’impatto non è semplice: l’andamento della squadra in campionato è altalenante – chiuderanno all’ottavo posto – e il nuovo acquisto inizialmente colleziona solo qualche manciata di minuti da subentrato, ma a sorpresa il tecnico Dieter Hecking decide di lanciarlo per la prima volta da titolare nella partita più importante della stagione, il quarto di finale di andata di Champions contro il Real Madrid: è la grande notte di Bruno Henrique, che nella vittoria per 2-0 fornisce un assist a Maximilian Arnold – oltre a 4 passaggi-chiave – e mette in grande difficoltà Marcelo, sorprendendo per la straordinaria velocità e dimostrando di saper reggere la pressione del palcoscenico più prestigioso del calcio europeo.
FourFourTwo ne approfittò per raccontare la sua storia con tono molto enfatico, e prendendo spunto dalle parole di Hecking – “Bruno Henrique è stato uno dei nostri giocatori chiave. Volevamo sorprendere il Real con questo giocatore” – arrivò a ipotizzare che fino a quel momento lo avesse tenuto nascosto con l’intento specifico di lanciarlo in quella partita, come una “gemma nascosta” che rimanda a un passato in cui era effettivamente possibile sorprendere gli avversari con giocatori sconosciuti, citando Pelé e Garrincha nel Brasile del ‘58.
Purtroppo – per lui e per il Wolfsburg – quella notte rimarrà un unicum nella sua esperienza tedesca: al ritorno gioca di nuovo titolare, ma stavolta è tra i peggiori nella sconfitta per 3-0 (con tripletta di Cristiano Ronaldo) che costa l’eliminazione; un edema osseo lo costringe poi a saltare le ultime partite della stagione, e in quella successiva gioca solo qualche spezzone fino a ottobre, quando l’esonero di Hecking lo relega definitivamente ai margini delle convocazioni di una squadra in grande difficoltà, che riuscirà a salvarsi soltanto ai play-off.
A gennaio 2017, un anno dopo il suo arrivo, è ormai evidente che per lui sia arrivato il momento di cambiare aria: dopo 17 presenze complessive (per un totale di nemmeno 600 minuti), con 0 gol e 2 assist, a 26 anni Bruno Henrique torna in Brasile, al Santos, senza aver lasciato grandi tracce del proprio passaggio in Europa, in quello che potrebbe essere visto come un ridimensionamento, almeno nella prospettiva eurocentrica attraverso cui il pubblico europeo è abituato a considerare il calcio.
IL RITORNO IN BRASILE
Con la maglia del Peixe si prende subito il posto da titolare; il primo anno realizza 11 gol e 13 assist tra campionato e Copa Libertadores e rispetto alla stagione con il Goiás migliora le proprie statistiche nel Brasileirão anche nei passaggi-chiave – 1,5 vs 1,1 ogni 90 minuti – e nei dribbling – 2,3 vs 2,1.
La stagione 2018 inizia con grandi aspettative per il Santos, che accoglie il grande ritorno – in prestito – di Gabigol, per completare il tridente a fianco dello stesso Bruno Henrique e del 17enne astro nascente Rodrygo Goes – già venduto al Real Madrid per 45 milioni e lasciato a maturare in patria -, ma nella prima partita del Campeonato Paulista un infortunio stranissimo colpisce proprio Bruno Henrique, che riceve una pallonata in faccia dopo un rimpallo e riporta cinque differenti lesioni oculari; la riabilitazione è lunga e difficoltosa, e il rientro tra i titolari avviene solo cinque mesi dopo, quando con la sua unica rete stagionale decide la gara contro il Fluminense.
L’unico aspetto positivo della sua stagione è la nascita di una grande amicizia con Gabigol, capocannoniere del campionato nonostante il decimo posto finale. Quando Gabi viene ingaggiato dal Flamengo telefona all’amico e profeticamente gli dice “vieni, saremo felici” – da cui l’hashtag #SeremosFelizes che i due useranno per lanciarsi messaggi d’amore su Instagram nel corso dell’anno. Bruno – nonostante la volontà del nuovo allenatore Jorge Sampaoli di trattenerlo – decide di seguirlo, e sarà per entrambi la stagione migliore della carriera: a livello di squadra, oltre ai trofei, arriva il record di punti (90) e di gol (86) della storia del Brasileirão; inoltre, i due arrivano primo e secondo nella classifica marcatori, con 25 (Gabriel) e 21 (Bruno) gol segnati, conquistandosi entrambi la convocazione nella Seleção.
Per descrivere gli effetti della loro amicizia sul campo, c’è un’azione che più di ogni altra può fungere da manifesto; siamo a novembre e, a sette partite alla fine del campionato, Gabigol guida la classifica marcatori con 20 gol e il suo unico rivale è proprio Bruno Henrique, a quota 15. Al minuto 72 della partita contro il Bahia, Gabi riceve dentro l’area un gran filtrante di Filipe Luís: la posizione è ottimale, il suo diretto marcatore è in ritardo e rimane soltanto il portiere da battere, ma con una mossa del tutto inaspettata decide di cercare di prima intenzione, di controbalzo, il compagno che in quel momento si trova in una posizione teoricamente meno favorevole, ma sfrutta il disorientamento del terzino e le proprie lunghe leve per arrivare sul pallone e depositarlo in rete.
LA STAGIONE DEI RECORD
Gran parte del merito per la stagione del Mengão va attribuita a Jorge Jesus, allenatore portoghese subentrato a giugno – con la squadra terza in classifica – e capace di vincere 29 delle 39 partite complessivamente disputate, proponendo un gioco offensivo e spettacolare in cui ciascun interprete è stato messo nelle condizioni migliori per esprimere le proprie qualità.
Nel suo 4-2-3-1 Bruno Henrique è partito quasi sempre come ala sinistra, e i 19 gol segnati nelle ultime 24 partite stagionali testimoniano come si sia sentito sempre più a suo agio in un ruolo che sembra cucito alla perfezione per esaltarne le doti.
Mentre il precedente allenatore Abel Braga lo costringeva a lunghe rincorse in fase difensiva, Jorge Jesus ha alzato la linea del pressing e, per ammissione dello stesso giocatore, in fase di difesa posizionale lui e Gabigol si preoccupano principalmente di posizionarsi in vista di un prossimo contrattacco.
In fase di possesso i quattro giocatori più avanzati – che di solito, oltre a loro due, sono il trequartista De Arrascaeta e l’esterno destro Éverton Ribeiro – non occupano le posizioni in modo statico, ma godono di grande libertà di movimento, generando una fluidità posizionale che diventa un rebus complicato per le difese avversarie.
In particolare le caratteristiche di Gabigol sembrano perfettamente complementari alle sue: l’ex giocatore dell’Inter tende a comportarsi come un falso nueve, spesso si abbassa molto per partecipare alla costruzione della manovra – soprattutto allargandosi a destra – e lascia al compagno la possibilità di attaccare l’area centralmente, dove può sfruttare la propria abilità nel gioco aereo (è alto 1,84) e la rapidità che gli permette di arrivare prima dei difensori sui palloni vaganti e sulle respinte.
Se le doti di Bruno Henrique in transizione erano note da tempo, non era scontato che riuscisse a imporsi come ingranaggio perfetto in una squadra che spesso si trova ad affrontare difese chiuse, in cui è necessario trovare soluzioni nello stretto per creare lo spazio, attraverso il dribbling o combinazioni ad alto tasso tecnico tra i giocatori.
QUALE FUTURO?
La finale del Mondiale per club rappresentava un banco di prova importantissimo per Bruno Henrique che, chiamato a confermare il proprio livello di gioco davanti a un avversario di ben altro livello rispetto a quelli sudamericani, non ha deluso: per tutta la partita ha messo in grande difficoltà Alexander-Arnold – che a fine gara lo ha definito “un ottimo giocatore, rapido, forte, abile nel gioco aereo, molto difficile da affrontare” – ed è stato il giocatore con più dribbling completati (6 su 9 tentati), più duelli aerei vinti (7 su 12) e più passaggi-chiave (3, al pari dello stesso Alexander-Arnold e di Salah).
Con un rendimento del genere, è inevitabile che si siano già scatenate le voci di mercato: interpellato a dicembre circa un possibile futuro allo Shanghai SIPG, Bruno Henrique ha evaso la domanda, dichiarando di voler pensare soltanto a riposarsi e godersi le vacanze con la famiglia, dopo una stagione estenuante.
Il Flamengo vorrebbe trattenere sia lui che Gabigol, ma nel frattempo pare che il suo valore di mercato sia passato dai 4,5 milioni di euro pagati un anno fa ai circa 20 che i cinesi sarebbero disposti a sborsare, e per il calcio sudamericano si tratta di una cifra molto importante.
Dal punto di vista sportivo sarebbe certamente più interessante rivederlo in Europa, dove il Sun ha riportato l’idea, da parte del West Ham, di acquistarlo in coppia con Gabigol: uno scenario certamente affascinante, ma era improbabile che una squadra in lotta per la salvezza decidesse di puntare in modo così deciso su due giocatori praticamente privi di esperienza europea, rivoluzionando un reparto che al momento può contare su giocatori importanti come Haller, Felipe Anderson, Jarmolenko e Michail Antonio.
Parlando di puro fantamercato, le sue caratteristiche lo renderebbero un backup ideale proprio per il Liverpool di Klopp, dove potrebbe beneficiare dei movimenti di Firmino per attaccare lo spazio alle spalle della difesa, dal momento che per velocità non ha nulla da invidiare a Salah e Mané – contro l’Internacional, in Copa Libertadores, ha toccato i 38 km/h -, ma l’arrivo di Minamino sembra chiudere alla possibilità di nuovi arrivi nel reparto.
A 29 anni – con la consapevolezza che le sue doti atletiche sono destinate a calare – Bruno Henrique deve prendere una decisione cruciale per la propria carriera, che ci dirà di più sulle sue ambizioni come calciatore: le nuove regole del calcio cinese – per cui i nuovi acquisti stranieri non potranno percepire più di 3 milioni di euro annui – ne raffreddano l’attrattività, quindi si tratterà presumibilmente di scegliere tra rimanere al Flamengo – per consolidare il proprio status di leggenda rubronegra -, o cercare una rivincita in Europa. Comunque vada, per un ragazzo che a 21 anni giocava tra gli amatori, non c’è male.
Matthias Galbiati