Basterebbe guardare l’esultanza dopo i gol segnati al Boca Juniors per capire che personaggio è Cuca. Corsa esasperata lungo la linea del fallo laterale e look rock con outfit d’eccezione: sopra i jeans una maglia con raffigurati la Madonna e Gesù Bambino, perché non si sa mai, meglio portarsi i favori dalla propria, soprattutto se si allena una squadra che si chiama Santos.
Siamo all’interno di una sfera mistica, quella che in Sudamerica può portare al crollo o al successo, senza via intermedie. E quando Cuca firmò con il Santos nella scorsa estate si pensava principalmente a evitare la prima delle ipotesi: nello scorso agosto ha preso il posto del santone Jesualdo Ferreira, e come prima battaglia ha dovuto domare uno spogliatoio in rivolta per la riduzione dello stipendio del 70% a causa del covid. Di fatto quello che gli si chiedeva era di salvare la squadra senza correre troppi rischi, quelli che per esempio sta vivendo con terrore il Botafogo in questo momento, in un’era particolare del calcio brasiliano in cui anche squadre storiche come Internacional e Cruzeiro hanno conosciuto il brivido della retrocessione.
Ma Cuca è un uomo adatto alle imprese più impensabili, anche quella di ribaltare una squadra ereditata con un quadro simile e di portarla fino ala finale di Copa Libertadores. Alla terza esperienza sulla panchina del Peixe ha dovuto affrontare forse la sfida più difficile, che però stando alle parole della leggenda per eccellenza del club Pelé, sono quelle che danno anche maggiori soddisfazioni. Ma d’altronde la sua carriera parla per lui: la Copa Libertadores l’ha già vinta, peraltro sempre in maniera molto particolare, quando era alla guida dell’Atlético Mineiro nel 2013.
Allora superò sia la semifinale col Newell’s che la finale contro l’Olimpia pareggiando l’incontro all’ultimo secondo di gioco, per poi trionfare dal dischetto. Forse un premio alla sua devozione, o forse alla sua bravura: perché per quanto improbabile a livello estetico è uno che il calcio lo mastica per bene. E infatti questa nuova avventura al Santos non fa eccezione, visto che invece di limitarsi a scongiurare la discesa in Série B, ha tirato fuori il massimo da una rosa con tanti elementi giovani e diversi calciatori d’esperienza.
Prima ha brillantemente superato l’assurda crisi dei portieri: i primi due sono partiti durante il calciomercato, il terzo, João Paulo, che inizialmente non convinceva, è stato tenuto fuori a lungo dal Covid, e per questo John ha affrontato gran parte della stagione pur essendo il quarto portiere, finché la pandemia non ha colpito anche lui costringendo Cuca ad adoperare proprio João Paulo nella partita di ritorno contro il Boca.
Ma il suo capolavoro è stato quello di dare un valore incredibile al reparto offensivo: a livello caratteriale ha affidato tutto a Marinho, 30enne esploso solo sotto la sua guida che al suo grande carisma ha abbinato finalmente anche giocate da campione, soprattutto nelle conclusioni dalla distanza. I giovani poi sono esplosi con enorme facilità: Kaio Jorge, 2002 tra i più promettenti al mondo, ha trovato la sua dimensione nel ruolo di centravanti dopo qualche esperimento sull’esterno e potrebbe essere la prossima maxi cessione del club; mentre Yefferson Soteldo, venezuelano classe ’97, ha superato i limiti della sua minuta statura (158 cm) per diventare un concentrato di talento e fantasia, culminato con il super gol del 2-0 al Boca.
Un reparto bellissimo da veder fraseggiare, forse non dominante come il pacchetto che Cuca allenava all’Atlético Mineiro, dove a Ronaldinho si affiancavano Jô, Bernard e Tardelli, dominatori della classifica marcatori soprattutto nella fase a gironi, ma comunque adatto a giocarsi un titolo. Quella Copa Libertadores è l’ultima grande sfida di Cuca: il Santos non ha mai vinto il torneo senza Pelé o Neymar in campo, stavolta dovrà farlo in un derby paulista con il Palmeiras nella cornice del Maracanã.
Uno stadio che si inquadra perfettamente dalla visuale del Cristo di Rio, forse lo scenario migliore per l’allenatore ultracattolico dal sangue rock.