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Cronache dal Pireo, due giorni dopo il tracollo alla Vodafone Arena

E’ davvero triste, dover abbandonare l’Europa League in questo modo. Più che altro per il modo con cui è avvenuto il tracollo: sotto di due reti, riesci a dimezzare lo svantaggio che alla luce del punteggio dell’andata (0-0) ti farebbe bastare anche una sola rete per approdare ai quarti. Fai la tua partita, consapevole che la Vodafone Arena non sia così amichevole come il Karaiskakis, poi verso la fine del primo tempo i tuoi avversari rimangono in 10 per una follia individuale. Sembra un messaggio da parte della sorte, un chiaro invito ad approfittarne, il più benevolo dei doni da parte del destino. E invece no: crei comunque qualcosina, ma per qualche strana ragione non concretizzi mai (e quando dico mai, intendo proprio mai). I tuoi avversari, pur con l’uomo in meno, dilagano nel finale danzando su quel che rimane del tuo cadavere, sul campo. Avevi la vittoria in tasca, non l’hai saputa prendere. A certi livelli, non si sbaglia due volte: se tu non ne approfitti, la sorte che prima era stata così benevola diventa improvvisamente vendicativa e fa in modo che ad averla vinta sia il tuo nemico. E sembra quasi che il 4-1 finale sia un’ode a crederci sempre, un elogio a chi ha saputo ovviare alla difficoltà portandosi a casa il risultato tanto agognato. Due facce della stessa medaglia si contrappongono. Da un lato, l’incontenibile gioia degli altri per aver passato il turno, notevolmente amplificata dal fatto che questo risultato significhi esibire al mondo una prova di forza assai esplicita. Dall’altro, tu ti trovi barcollante su quella sottilissima linea che separa la depressione per il mancato cinismo e la rabbia per un finale che avrebbe tranquillamente potuto aver ben altre connotazioni. Nessuno, se avessi vinto tu, avrebbe trovato molto da dire (se non magari una sana autocritica a proposito dell’espulsione harakiri). Eppure, ciò non è avvenuto. Sei in crisi, sei arrivato qui con la consapevolezza che una vittoria avrebbe potuto aumentar il morale a dismisura, avevi due risultati su tre a cui poter ambire. Complimenti, sei riuscito a farti sfuggire un’opportunità mastodontica.

Anyway, doesn’t mind. Le scelte di Vouzas, col senno del poi, appaiono in ogni caso abbastanza discutibili. Vada per la panchina di Botía, recuperato in extremis, ma mi spiega, caro Vasilis, perchè de La Bella e uno tra Marin e Sebá non siano entrati in campo al 1′ al posto di Cissokho e Manthatis? Temo che non vi sarà risposta. Inoltre, e qui sono i tifosi ad averlo appuntato, sei andato in Turchia con l’obiettivo di segnare e ti porti un solo attaccante di ruolo (Ansarifard), che poi nasce da trequartista e non da numero 9. Tra i più criticati anche Marko Marin in relazione alla sua tecnica e Kostas Fortounis accusato di aver corso poco. Infine, qualcuno arriva ad additare la performance negativa alla qualità di una rosa privata dei sue due pezzi più pregiati (Mijovijevic, ma anche Ideye Brown). “Cosa volevate, dopo aver passato i sedicesimi con una formazione del genere?” si legge. Insomma, l’avete capito. Il giorno dopo Istanbul, al Pireo, ogni tifoso si sente in dovere di criticare i propri giocatori un match perso in malo modo: tutti si fingono allenatori fornendo ipotetici suggerimenti, certo, e potrei anche aggiungere che se tutto fosse filato liscio allora sarebbero partiti elogi a non finire. Il carro dei vincitori si riempie e si svuota con eccezionale velocità, questo è verissimo. La pagina Facebook dell’Olympiakos è piena di due tipi di messaggi: tanti inviti ad andar avanti, a superare la crisi. Gli hashtag ricorrenti sono #NeverGiveUp e #WeKeepOnDreaming, sono tantissimi ad utilizzarli in compagnia di frasi che dicono più o meno roba tipo “ti amo troppo per esser deluso” e “anche in tempi difficili resti sempre qualcosa di magico”. La speranza in un 2-2 si esaspera in concomitanza della rete di Elyounoussi (bellissima, tra l’altro) e ancor più quando Aboubakar lascia i suoi in dieci. Ma il tempo è tiranno. Είναι τεράστια ευκαιρία για την ομάδα μας να πάμε στους 8. Sarebbe stata una grande opportunità per arrivare tra le prime otto. E questa rassegnazione rende ancor meglio l’idea dell’amore che lega i tifosi biancorossi al Θρύλος.

E pazienza, in fondo prima che una vittoria bel Besiktas è una sconfitta dei biancorossi. Ma non una sconfitta qualsiasi, un fracaso. Sciocco com’ero, ero convinto che vi fosse una strana serie di congiunzioni astrali che avesse portato al fatto che questo dovesse per forza esser l’anno buono. Il Besiktas? Battibile: mica United o Lione, eh. Vi dirò di più: dopo due anni in cui il livello di penosità attorno alle performance in Europa League del team del Pireo si è decisamente alzato, avrei detto che stavolta sarebbe accaduta un’altra di quelle magiche notti come quella in cui Finnbogason segnò il 2-3 all’Emirates. In fondo l’anno scorso fu l’Anderlecht ad occupar il ruolo di carnefice di Marco Silva (all’andata bastò Kara, al ritorno un rigore di Fortounis pareggiò la contesa e ci volle una doppietta di Frank Acheampong ai supplementari  per far felice Hasi). Il mio discorso non vale per l’EL 2014-15, in quanto quel “misero” Dnipro arrivò poi vicinissimo alla storia, in quel di Varsavia contro il Siviglia: all’andata andarono a segno Kavkava e Rotan, al ritorno ci fu batti e ribatti Mitroglou-Fedetsky-Dominguez-Kalinic (e Vítor Pereira non riuscì nemmeno a festeggiare un’inutile 2-1). E pazienza, ci riproveranno l’anno prossimo. ΖΗΤΩ Ο ΟΛΥΜΠΙΑΚΟς.

Matteo Albanese

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