Ancora tu, ma non dovevamo non vederci più? Nel momento in cui Iah Rush pesca quella pallina di cui nessuno sapeva ancora il contenuto, nella mente di molti è risuonata una scena già vista. Un remake. Che sia forse un déjà vu? Dopo aver tirato fuori il nome del Real, sono convinto che l’afición rojiblanca avrà sperato, pur per quei pochi istanti, nella malsana eventualità di un altro derby in finale. Dopo Lisbona 2014, dopo Milano 2016, con le spalle rivolte anche a quella finale del 1974 che Koke citò in un post su Facebook poco prima di andar in scena a San Siro. E’ grandissima la voglia di vendetta, così come altrettanta è la consapevolezza che se esiste un dio del calcio, egli debba in qualche modo risarcire l’Atléti. Si riparte dal “tus valores nos hacen créer” affisso sugli spalti dell’impianto milanese il 28 maggio, si arriva ad oggi. Questa volta, però, non sarà possibile una vendetta. Semmai, l’approdo alla finale sarà la naturale conseguenza di quel che verrà scatenato nella doppia sfida, con andata al Bernabeu e ritorno al Calderón. Ma non sarà un ritorno qualsiasi. Sarà il canto del cigno, sarà l’ultimissima stracittadina dell’impianto, destinato ad esser sostituito da quell’ammasso di ferraglia che risponde al nome di Wanda Metropolitano e che sta per esser ultimato tra la nostalgia degli aficionados colchoneri. Sarà una prima assoluta: negli ultimi tre anni, due finali e un quarterfinal. Una semifinale, beh, quella mancava. En 2017, ¿Revancha atlética o hegemonía blanca?
Siamo a Madrid, dove un odio primordiale tiene salde le redini della città attuando una sorta di ying versus yang. Non sono possibili altre eventualità: o blancos, o rojiblancos. I primi rappresentanti della candidezza delle merengues, quel colore reale che rappresenta la purezza, l’aristocrazia, la privilegiata provenienza sociale. I secondi di estrazione decisamente più umile e tendente al borghese, resi portatori dei valori popolari quali l’importanza del trabajo quotidiano. Identificati mediante quell’orgoglioso soprannome che celebra un mestiere oggi non più praticato ma ancora ben vivo nell’immaginario popolare mondiale anche grazie ai colchoneros, loro al bianco limpido preferiscono il rosso della passione, del sangue versato nelle battaglie al Calderòn, del carattere se volete anche tendente alla garra esasperata, predicata da Simeone dalla panchina. Da una parte si lotta con tocchi fini, giocate strabilianti atte principalmente ad inorgoglire il pubblico mostrando uno spettacolo pari a quello della corrida, quando il toro viene umiliato. Dall’altra vale la concretezza, il “partido a partido” fulcro del credo simeoniano (ma in Spagna è diventato anche il nome di un popolare programma tv), anche la grinta di lottare su ogni pallone predicando un gioco a tratti violento,nel senso di affannoso e terribile per gli avversari. Mai dimenticarsi che l’Atlético ha vinto una Liga in questo modo.
“Me gustaría el Real Madrid, en las semifinales, y si no, espero encontrarnos en la final, nos han ganados dos finales, pero la tercera es la vencida, eso si, que no le ayuden los árbitros, así sera difícil ganar”. Parole e musica di Antoine Griezmann, qualche tempo fa. “Madrid-Atleti, mejor en la final” era stato questa mattina il titolo di Marca in prima pagina. E mentre il membro del direttivo del Barça Toxi Freixa aveva acceso il sorteggio (“Que gane la Champions el Atleti, Juve o Mónaco; si no, que la suspendan”), è emersa la curiosa questione delle ¿Bolas calientes?. Ovvero: nei video si vede chiaramente come l’ambasciatore Ian Rush, designato al sorteggio, scelga su una pallina dopo aver toccato la altre quasi a volersi premunire di aver scelto quella giusta. E dopo aver preso la prima pallina, Rush non ha rimosso le restanti palline e dunque ecco che misteriosamente è uscito fuori il derby. Teoria complottistica, assurda cospirazione oppure qualcosa di vero? In fondo, il caso delle palline riscaldate non lo scopriamo certo ora…
Al di là di ogni teoria, la sentenza è inappellabile. “Nunca dejes de créer” è stato e sarà il mantra. E non preoccupatevi, lo sarà ancora. Nel segno della continuità: capitan Gabi è sempre lì in mezzo, al suo fianco possono al massimo ruotare gli interpreti (da Arda Turan e Mario Suárez ad Augusto Fernández e Ferreira Carrasco, passando per Raúl García, Saúl, Tiago e Cristian Rodríguez) ma la mentalidad è sempre la medesima. Sempre ganadora, perchè facendo un rapido calcolo emerge come Simeone abbia vinto tanto. Nel 2012 ecco Europa League e Supercoppa Europea, nel 2013 toccò alla Copa del Rey, nel 2014 fu il turno de La Liga, la Supercopa de España e una finale di Champions svanita all’ultimo istante col blitz di Sergio Ramos. Due anni dopo, il difensore rinnoverà la maledizione. Stavolta, però, sarà il contrario: a Lisbona segnò l’Atléti e si rintanò chiudendosi, a Milano fu Carrasco a scaraventare in rete una delle tante azioni create dai colchoneros nel tentativo di pervenire al pari. Sapete tutti com’è finita, vi ricorderete le lacrime di Juanfran e quel tiro dal dischetto che colpì il palo. Arrivarono le scuse da parte dell’esterno, seguite a brevissima distanza da un commovente comunicato della tifoseria organizzata: “Ni te ocurra disculparte”. Ma quel che voglio rammentarvi è che la parte finale della lettera faceva più o meno così: “Hace dos años os dije que volveríamos a una final, ahora os digo que Gabi, nuestro capitán, levantará la Champions más tarde o más temprano y lo celebraremos todos juntos en Neptuno“. Da allora, l’idea di veder capitan Gabi alzare quelle grandi orecchie è un po’ come un ossessione. Che sia l’anno buono?
Di certo, prima di sollevare gli otto chili e mezzo più agognati ci sarà da raggiungere il Millennium Stadium di Cardiff. E per farlo, sarà necessario valicare la montagna del Bernabeu, prima di ricevere il battesimo del fuoco tra mura amiche. Torna certamente in mente l’annata 2014-15, ossia quel confronto nei quarti di finale inframezzato da due finali perse al cospetto dei blancos. Anche allora l’Atlético si trovò a soccombere: il 14 aprile al Calderón finì 0-0, con tante occasioni ma nessun gol. Una settimana dopo, il 22 aprile, la battaglia itinerante si spostò nel covo delle merengues, dove fu decisa al minuto 76′ dall’espulsione di Arda Turan (doppio giallo), al minuto 88′ dalla zampata del Chicharito Hernández. Poi il Real fu estromesso dalla Juventus e il titolo andò al Barça. Ma questa è un’altra storia. Che, certamente, l’afición colchonera non vorrà rivedere. Aupa Atleti!
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