Nel settembre del 2014 il calcio venne sospeso temporaneamente dopo la morte di un tifoso aggredito durante una partita di terza divisione (fatali i violenti colpi alla testa infertigli). Nemmeno due mesi dopo, fu sospeso una seconda volta per l’aggressione ad un arbitro di prima divisione (Christoforos Zografos): due persone in motoclicletta lo riconobbero e lo picchiarono con dei bastoni di legno. La Federazione chiese al comitato nazionale degli arbitri di non mandar più i suoi membri a dirigere le partite delle prime tre serie professionistiche, mentre una riunione straordinaria dei dirigenti di Souper Ligka Ellada fu caratterizzata da un tragicomico siparietto in cui il presidente dell’Olympiakos, Marinakis, accusò apertamente il corrispettivo dell’Aek, Dimitris Melissanidis del fattaccio. “Attack on referee leads to another soccer shutdown“ il titolo scelto da Ekathimerini (di proprietà però del presidente del Panathinaikos, Alafouzos).
Nel 2015, il primo ministro greco Alexis Tsipras e il ministro dello sport Stavros Kontonis decisero di sospendere a tempo indeterminato la Super League a causa proprio dei gravi e frequenti episodi di violenza. A scatenare il putiferio fu il contemporaneo presentarsi di due derby, Panathinaikos-Olympiakos e Larissa-Olympiakos Volos. In particolar modo, il primo. Due squadre che non si amano di certo, questo è vero, ma arrivare a certi livelli è francamente troppo. C’era stato un lancio di fumogeni (che aveva portato al ferimento di due agenti di polizia), il 22 febbraio 2015: è stata una guerriglia, al Nikolaidis. Tafferugli, torce, feriti gravi, 11 arresti, anche giocatori dell’Olympiakos coinvolti nel parapiglia: Pajtim Kasami era stato colpito in testa da un fumogeno, Michael Olaitan (dopo esser svenuto in campo) era stato ricoverato in ospedale a causa di una miocardia poi rivelatasi dovuta all’ansia e allo spavento. Sulle tribune, se possibile, ancor di peggio: lancio di razzi e bottiglie contro Marinakis, un bicchiere pieno aveva centrato il tecnico del Panathinaikos Yannis Anastasiou, una guardia del corpo aveva tirato un pugno in faccia al vice Vassilis Constantinou. Atmosfera ai limiti del surreale: l’Olympiakos si è precipitato dentro gli spogliaotoi, rifiutandosi di entrare ma, nonostante le insistenze del Panathinaikos affinché si giocasse, dopo un’ora è stata dichiarata rinviata la partita. Ecco dunque la drastica decisione operata dal governo di Syriza: interruzione del campionato, partite a porte chiuse e, per finire, la decisione di non giocare l’inizio del campionato 2016/2017, slittando l’avvio a settembre dopo aver preso tutte le necessarie misure di precauzione. “Se tutti i 18 club non introdurranno ticket elettronici e telecamere di sicurezza durante le partite, l’anno prossimo il campionato neanche comincerà“ aveva minacciato Kontonis. E sullo sfondo si apriva la possibilità dell’istituzione della tessera del tifoso. Come da noi. In ogni caso, siccome è sempre di Panathinaikos ed Olympiakos che si parla, mi par interessante ricordare come i primi scontri tra le due tifoserie fossero già state documentate nel 1930 (pare che i tifosi del Θρύλος si fossero presentati con delle bare verdi nella tana dei rivali: siccome però la partita finì 8-2, i supporters biancorossi decisero di avventarsi sui nemici aggredendoli proprio con i feretri). E’ il primo episodio documentato: la violenza era scaturita senza bisogno alcuno di precedenti. E soprattutto, era nata come puro e brutale desiderio di affermare la propria superiorità sugli altri. Da allora, gli scontri tra le due società ateniesi sono aumentati per numero ed intensità: pensate che nel 1964, in occasione di una semifinale di Kypello Ellados, gli scontri fusono talmente accesi che alla fine la partita fu persa a tavolino. Per entrambe. E dunque l’altra semifinale assunse il ruolo di finale (trionfò l’Aek se vi interessa).
Il problema della violenza legata allo sport, in Grecia, è qualcosa di diffuso a macchia d’olio. Non pensiate che tutto il male sociale si possa concentrare in una partita di calcio. Eppure, le istituzioni agiscono poco e male: la stessa decisione voluta Tsipras (fermare il pallone a tempo indeterminato) è parsa più come una resa che non un tentativo si risolvere il problema alla sua radice. Non si arginano le situazioni più difficili, in questo modo: le si rimanda solamente. Troppe volte alcuni match come il “derby degli eterni nemici” finiscono sulle prime pagine dei giornali: non quelli sportivi, però, bensì quelli di cronaca. E la chiusura della curva del Panathinaikos (disposta fino alla fine della stagione 2014-15) non ha per nulla aiutato una realtà più che mai tesa.
E tra i volti interpellati da TuttoMercatoWeb, all’epoca, c’era anche quello di Daniel Adejo (difensore ex Reggina, allora militava nel Kalloni). “E’ iniziato tutto durante la sfida tra Panathinaikos ed Olympiakos. Nel derby, dopo il gol del 2-1, i tifosi di casa hanno iniziato a lanciare bottiglie e fumogeni contro la squadra ospite così l’arbitro ha fermato la partita. Nei giorni seguenti, dopo un confronto nella Lega ellenica, è arrivata la decisione di sospendere il campionato. Per quanto ne so io, hanno detto che sarà di tre settimane ma è un intorno, può essere più o meno”. Queste le sue parole, con il concetto che successivamente è stato anche ribadito da Stefano Napoleoni (attaccante dell’Atromitos, se ricordate l’ho citato prima a proposito dei giocatori che Agkelopoulos avrebbe dovuto non impiegare, per favorire l’Olympiakos): “Mercoledì ci sarà una nuova riunione dove si deciderà se si giocherà la prossima settimana o no. Noi dobbiamo allenarci, pensando alla prossima partita. In Grecia c’è un tifo molto caldo, ogni domenica ci sono problemi, scontri e prima o poi questa situazione sarebbe capitata. Tante altre cose sono successo. Una volta al Levadiakos dopo una partita mi hanno lanciato di tutto, un’altra contro l’OFI i tifosi non ci hanno fatto entrare nello spogliatoio. Con la situazione economica della Grecia in generale la situazione è peggiorata”. Anche Francesco Totti, alla vigilia della sfida di Europa League contro il Feyenoord, aveva detto la sua a proposito: “Quello che accade fuori è un’immagine bruttissima. Servono seri provvedimenti di fronte ad eventi del genere. Oppure multare o fermare le società a cui appartengono questi pseudo tifosi. In Italia però non accadrà mai una cosa del genere”. L’ultima fonte che vi propongo è Bruno Cirillo, difensore con un passato ad Aek e Paok. “Da anni la mia vita è in Grecia e conosco quella realtà per aver giocato io stesso dei derby di Atene. Spero tanto che questa decisione possa avere dei risvolti positivi. Quella del governo greco è stata una decisione importante, ma adesso arriva il momento di stilare regole ferree per far tornare gare come queste delle feste dello sport e non palcoscenici per la violenza. Ho vissuto le pressioni di Atene e so quando siano importanti le partite di cartello per quelle tifoserie. Mi auguro che lo spettacolo in campo e sugli spalti torni ad essere l’unico protagonista perché quello attuale è un bruttissimo stop per un paese che con fatica sta cercando di rialzarsi da un momento generale difficilissimo”. Frase emblematica, che riprenderò prossimamente.
2 marzo 2016. Quarta volta in due stagioni. Ancora una volta la Grecia ha stoppato il pallone che rotola. Questa volta, a far scoppiar l’ennesima miccia è stata Paok-Olympiakos. E’ l’episodio di cui ho parlato nel preambolo: al minuto 89, sull’1-2, il Toumba che per tutto il match aveva schiumato di rabbia è esploso, a causa di un calcio di rigore non concesso dall’arbitro. Sugli spalti una massa rissosa, faziosa e ribelle ha optato per l’uso della violenza come metodo di protesta: il lancio di bengala è solo lo spannung della vicenda, cominciata con lanci di oggetti e fumogeni. Inutile il tentativo da parte delle forze dell’ordine di ristabilire la calma. Niente sconfitte a tavolino però, questa volta. Si è optato per una soluzione draconiana: lo stop indeterminato alla competizione. L’aggettivo che ho utilizzato, oltre a capitar a fagiolo, mi consente poi di citare Dracone, antico legislatore di Atene (nel 621 a.C., o comunque in quegli anni, decise di dotare la città del primo codice scritto: e siccome pare contenesse misure severe, talvolta perfin troppo rigide, l’aggettivo a lui dedicato viene utilizzato ancor oggi). Le conseguenze saranno assai forti. Intanto, il 25 marzo il Paok verrà sanzionato con 5 punti di penalizzazione da scontare nel successivo campionato (oltre a 100 mila euro di multa e l’obbligo di giocar tre gare a porte chiuse). Inoltre, il mondo del calcio manifesterà di esser fin troppo stufo di atti del genere: il 31 marzo, ad Atene, c’era stato un incontro tra i rappresentanti di FIFA e UEFA, i quali avrebbero chiesto al governo greco di non fermar la Coppa ma altresì di trovare una soluzione. E in ogni caso, i club greci avrebbero rischiato una lunga squalifica internazionale. Una nuova riunione ci è stata il 12 aprile, e questa volta ha coinvolto il comitato esecutivo della Federcalcio greca al fine di discuter dei problemi. E siccome la FIFA e la UEFA avevano agitato in aria lo scettro della sospensione dei club ellenici nelle loro competizioni, ecco che la Kypello Ellados è regolarmente ripartita. Possibile che i rimanenti incontri venissero giocati lontano da Atene, forse a porte chiuse o con soli bambini sugli spalti. E contro le polemiche arbitrali, è saltata fuori l’idea di affidar la conduzione di semifinali e finale a soli arbitri stranieri. Oltre a tutto ciò, la ciliegina sulla torta l’ha messa la società del Paok annunciando solennemente di non voler giocare il ritorno della semifinale di Coppa per protesta contro l’arbitraggio dell’andata.
Ad aprile, un nuovo braccio di ferro ha chiamato il governo Tsipras ad una risposta. E non di carattere politico-economico, questa volta, dunque niente rapporti con EU, Troika o BCE, bensì con FIFA e UEFA. Ad inizio maggio sarebbe dovuto passare dal parlamento ellenico, in attesa di approvazione, una legge sulla violenza negli stadi, elaborata appositamente per metter fine a tutti gli episodi alla base delle interruzioni di cui ho parlato. “Se la norma sarà approvata – si legge nelle lettera inviata dai due organismi calcistici – non avremo altra scelta che espellere la Federcalcio ellenica”. Avrebbe voluto dire l’addio a ogni competizione internazionale per tutti i club e anche per la Nazionale, allora in lotta per un posto all’Europeo 2016. E stupisce come l’Olympiakos si sia schierato dalla loro parte, protestando col governo e annunciando come una decisione del genere potesse causar gravi danni a tutto il movimento calcistico anche con la perdita di moltissimi posti di lavoro.
Siamo nel 2016. Lunedì 5 settembre, una trentina di hooligans hanno preso d’assalto il ristorante di Atene dove era in corso la compilazione del calendario della Football League, l’equivalente della nostra Serie B. Sono entrati, hanno spaccato bottiglie di vetro, rovesciato tavoli e sedie, colpendo chiunque capitasse a tiro prima di abbandonare il luogo una volta compreso che la polizia sarebbe arrivata a breve. Nell’attacco, sono rimaste ferite 4 persone, tra i quali un fotografo che è stato portato in ospedale, mentre nemmeno autovetture ed attrezzature sono state risparmiate. Stavros Kontonis, sempre il viceministro per lo Sport, ha dichiarato “attacco inaccettabile e riprovevole, quanto successo dimostra la crisi profonda e il discredito che accompagnano il calcio greco, ma assicureremo i responsabili alla giustizia”. Le parole di Giorgos Girtzikis, presidente della Federazione, saranno invece “si è trattato di un attacco brutale, che ha avuto luogo durante un evento in cui erano presenti anche donne e bambini: per l’ennesima volta è il calcio ad essere danneggiato”.
Sospensione. “Per quello che è stato comunicato dal governo, non giocheremo nemmeno domenica prossima e al momento non c’è una data per la ripresa delle partite. Tutti i campionati sono fermi per questi episodi che vanno condannati. Sicuramente non è un bel momento per il calcio in Grecia, facendo parte di questo campionato e di questa nazione da un punto di vista calcistico i commenti non possono che essere scioccati. Sono atti intimidatori che fanno male al calcio, è giusto fermarsi a riflettere su quanto accaduto e ricominciare solo nel momento in cui sarà fatta chiarezza. Con la mia squadra giocheremo invece giovedì in Europa League”. Stramaccioni, in poco tempo, ha riassunto tutto quello che avrei voluto dirvi io. E sebbene fosse da poco dentro alla Super League, si può dire che abbia imparato presto come funzionino le cose. “Il punto è più politico, questo è il designatore greco suggerito dalla Uefa, dopo le polemiche e le accuse dell’anno scorso quando il calcio greco era stato messo sotto pesante accusa, ed era in carica da appena una settimana. E’ come se fosse stata rifiutata qualsiasi tipo di ingerenza e questo è molto grave, è la cosa che ha destato più scalpore in assoluto. Io ho avuto la sfortuna di iniziare con una partita sospesa e di vivere questo momento difficilissimo del calcio greco. Il mio patron è in prima linea in questa lotta per la giustizia e per riportare il calcio greco a essere competitivo in Europa, siamo in prima linea in questa battaglia. La speranza, come successo in passato in Italia, è che si possa ricostruire un calcio pulito“.
Non serve dir molto. Tasos Alevras, tempo fa, aveva realizzato un gran bel documentario sugli ultras dell’Olympiakos andando proprio nel cuore del Gate 7. Le sue parole, una volta terminato il montaggio, sono state: “Il calcio greco è sempre stato uno spettacolo per maniaci. Da un paio d’anni, amico, non ce la faccio neanch’io che sono un tifoso avvelenato”. Lacrimogeni, coltellate, lancio di oggetti di ogni genere, minacce, estorsioni. La dimensione delle tifoserie, negli anni, ha assunto sempre una maggior importanza. Parallelamente, ecco che il loro peso politico è emerso in tutto il suo disordine: le curve hanno cominciato ad esser concepite come un gigantesco potenziale da manipolare. Sovversive quanto basta, talvolta anche anarchiche, composte da masse eterogenee che si omogeneizzano per 90′ e più. Diventa un fattore squisitamente sociologico. E non è un caso che tra i primi a venir interpellato sul fenomeni ci sia stato il professore di Sociologia dell’Università di Creta, Ioannis Zaimakis. “La violenza negli stadi traduce delle tensioni sociali alimentate da ingiustizia e povertà“ spiega, dopo aver confessato di star lavorando su un caso in particolare: un fatto di cronaca, avvenuto nel 2008, quando la polizia uccise un ragazzino in un quartiere anarchico di Atene. E oltre a tutto questo, ammette di esser incuriosito dall’incremento della presenza di Alba Dorata all’interno delle curve (formazione neonazista, negli stadi la sua presenza è stata attestata per la prima volta negli anni 2000). E, procedendo dall’universale al particolare, ci si sposta sempre a dimensioni più piccole di un fenomeno pressoché universale. Ne parla (benissimo) Makis Solomos, autore della popolare fanzone Football Bla-bla: “All’interno delle stesse tifoserie esistono profonde divisioni politiche“. Curioso notare, comunque, come il suo nome provenga etimologicamente dalla radice di μάχη, quindi “battaglia”. In ogni caso, Solomos aggiunge come la lotta all’austerity abbia fatto sorgere le più improbabili alleanze: “Alla ripresa del campionato (2015-16, ndr) non mi aspetto granchè. La gente è paralizzata dallo shock, congelata dalla crisi“. Gli unici irriducibili, in un clima come questo, paiono esser gli ultras dell’Ikralis: si sono inventato una nuova moneta. Nell’estate 2015, nel bel mezzo della crisi bancaria, quando è stato imposto un tetto massimo ai prelievi di 60 euro, è nata l’Ira. “La stampiamo in un negozio a Salonicco, non è facile contraffarla” rivela un tifoso che dice di chiamarsi Giorgos, che poi aggiunge “la gente può portare qualsiasi tipo di bene: cibo, vestiti, oggetti per la casa. In cambio riceve il denaro, con cui si può comprare dal magazzino della nostra agorà. La usiamo in 700, ma puntiamo ad espanderci per dimostrare che la vita fuori dall’Euro è possibile. L’Ira è aperta a tutti, perfino a chi non ama il calcio”.
In una situazione tale, in cui il legame tra economia e calcio è così stretto, anche la politica è entrata facilmente (e stabilmente) in questo discorso. Le curve sono praticamente tutte politicamente schierate (ma non senza tensioni al loro interno, come detto). Nel Gate 4 del Paok, come anche nel Gate 7 dell’Olympiakos, vi sono frange di estrema destra ma anche di rigorosa sinistra. Tendenzialmente, però, il cuore dei tifo del Θρύλος si rifa all’estrema sinistra in quanto nato nei quartieri del porto, il Pireo. Il Gate 13 del Panathinaikos è invece ben noto per la sua appartenenza all’estrema destra, oltre che per il tentativo continuo di primeggiare sui rivali dell’Aek Atene (Original 21 in testa): di sinistra, dichiaratamente antifascisti, controllerebbero i quartieri più pericolosi della città e sarebbero direttamente finanziati dal presidente (Aslanidis), proprietario di enormi cantieri navali e lussuosissimi night club. Inoltre, il cuore del tifo dell’Aek è radicato nel quartiere universitario di Exarchia (ne consegue come, dopo l’uccisione del giovane Alexis Grigoropoulos per mano della polizia nel 2008, vi siano state propaganda politica e manifestazioni di protesta ). Spostandoci a Salonicco, i tifosi di Paok e Aris si sono segnalati a fianco delle proteste contro l’austerity. Così come quelle di AEL Larissa o OFI Creta. Ed è strano come l’Ikralis (prima società della Tessaglia per storia) venga quasi snobbata a causa del poco seguito.
Chiaramente, anche quel che accade nelle tifoserie riflette il mutamento degli ordini sociali. La miglior dimostrazione a sostegno di questa tesi è ciò che è accaduto alle tifoserie più grandi. Tradizionalmente, sin dalla dittatura dei Colonnelli il Panathinaikos è la squadra di destra e conservatrice della città, mentre l’Olympiakos è quella di sinistra e progressista. Ma negli anni, con l’arretrare delle forze di sinistra nella società greca, entrambe le tifoserie sono state egemonizzate da gruppi neofascisti, basti pensare ai Mad Boys del Panathinaikos o al fatto che il Gate 7 fosse controllato da Ladopoulos, leader del maggior movimento neonazista del paese. Da notare che i vertici dei gruppi (mentre da un lato mandavano i sottoposti a massacrarsi a vicenda allo stadio e in città) dall’altro non perdevano occasione per fare affari criminali usando le posizioni di prestigio conquistate ad esempio nello spaccio di droga o il racket. Il tutto, ampiamente documentato da indagini della magistratura, fornisce una chiave di lettura leggermente diversa. Tutto è in mutamento, come le scienze sociali insegnano. Da un lato la curva dell’ Olympiakos si è ripulita dai fascisti, e sono tornate a sventolare le bandiere rosse talvolta col volto del Che Guevara (oltre alla partecipazione degli ultrà alle e proteste dei portuali del Pireo). Fra i tifosi del Panathinaikos si è invece fatta largo una nuova generazione che ha preso in mano il Gate 13 dando seguito ad una serie di iniziative antifasciste e antirazziste, lottando prima contro i fascisti dei Mad Boys e poi contro i loro eredi degli Ultras Athens (schierandosi a favore delle proteste contro il governo di unità nazionale). Il marxismo del resto ci insegna come uno dei sintomi di una fase pre-rivoluzionaria sia la polarizzazione tra le classi e lo spostamento a sinistra delle masse proletarie. E le curve non fanno eccezione. Come recita uno slogan dei tifosi del Paok, “La miccia dell’esplosione sociale si è gia bruciata”.
Ci sono poi due episodi che vale la pena raccontare. Il primo riguarda Ergys Kace, che nel settembre 2013 aveva postato su qualche social una foto che lo ritraeva con una maglietta dell’UCK, l’esercito di liberazione kosovaro. Il Paok, club nel quale allora militava, aveva immediatamente richiamato il suo tesserato ad una maggior correttezza, ma la frittata era ormai bella che fatta. I già ampiamente citati estermisti di Alba Dorata non hanno infatti considerato sufficienti le scuse, anzi, hanno richiamato il comportamento del centrocampista albanese lasciandosi poi andare anche a commenti poco carini sulla purezza ellenica del Paok (società fondata a Salonicco nel 1926 da emigrati provenienti da Costantinopoli). Ciò ha causato una reazione a catena, col Gate 4 che ha mal tollerato l’affronto e ha reagito con un comunicato sintetico ma essenziale nella sua brevità. “Il PAOK, in quanto squadra fondata da immigrati e rifugiati, si schiera contro ogni tipo di razzismo”. Ma non solo, perchè la civiltà del gesto è stata poi accompagnata dalla cieca furia. L’11 settembre 2013, la sede di Alba Dorata viene assalita proprio da loro, una delle tifoserie più temute dell’intero panorama europeo, essendo soliti infiammare il Toumba ogni qual volta i bianconeri giochino in casa. Una mega-rissa ne è conseguita, con 46 arresti e molti militanti ne sono usciti assai impauriti oltre che abbastanza suonati. Da lì in poi, il movimento attraverserà una crisi. E non si sa in che misura l’assalto del Gate 4 abbia inciso.
Il secondo è sempre relativo ad Alba Dorata. Gli scontri sono proseguiti ad oltranza e, tra le violenze, un militante estremista ha ucciso a coltellate Pavlos Fyssas, noto rapper antifascista all’epoca 34enne. Killah P (Killer of the Past) si trovava nel quartiere ateniese di Keratsini, il 17 settembre 2013, intendo a guardare una partita di calcio in un bar insieme alla fidanzata e ad altre 8/10 persone. Alle 23:57 è partita una chiamata alla polizia chiedendo l’immediato intervento a causa di una rissa scoppiata (un gruppo di 50 persone, ben armato, poi altre 30 davanti al bar Corallo e 60 in Tsaldari Avenue. Fyssas era già a terra, colpito da una coltellata infertagli da Giorgios Roupakias, quando la polizia aveva allertato i soccorsi. Nonostante l’immediato trasferimento all’ospedale, non c’è stato niente da fare se non constatarne il decesso nelle prime ore del 18 settembre. “Mio figlio non apparteneva a nessuna corrente politica, hanno torto quelli che lo credevano politicizzato” è stato il pensiero del padre in relazione al presunto coinvolgimento di Alba Dorata dietro all’omicidio. I giorni seguenti saranno una caccia all’uomo. Pardon, uomo fascista. Quasi come gli Spartani che addestravano i giovani mediante la caccia agli Iloti. Gli ultras (schierati a sinistra) di varie squadre si sono prodigati in una vero e proprio rastrellamento, mentre non sono mancati ulteriori tensioni. Il popolo si è ribellato, mettendo in crisi il movimento politico che stava creando enormi problemi alla stabilità sociale del paese. Una protesta ed opposizione che è partita dagli ultras: dettaglio che molti in Grecia non hanno trascurato. Il sacrificio di Pavlos Fyssas, anche se in modo tragico, è servito a qualcosa. Emblematico come la figura del rapper sia stata assimilata ad Alexos Panagulis (che si ribellò alla dittatura dei colonnelli).
Il capitolo più duro. E non solo dico solo in quanto ancora in vigore, con le sue soffocanti trame che attentano ogni giorno alla vita di milioni di greci, ma specie in virtù delle sue gravissime (e gravosissime) conseguenze. Dovete pensare anche che una crisi di tali dimensioni fosse inaspettata: nel 2004 la vittoria della nazionale da underdog assoluto, in quel di Lisbona, aveva gettato una cascata di entusiasmo che a conti fatti genererà il tracollo. Sommate a tutto questo che la Grecia abbia organizzato le Olimpiadi nella stessa estate: un agosto torbido ha fatto da cornice, da frame, ad un miscuglio (poi rivelatosi letale) di entusiasmi nazionalisti e previsioni economiche più che rosee. Si sono sprecati progetti su infrastrutture che avrebbero dato l’impulso decisivo alla modernizzazione. Il futuro appariva fantastico, la rinascita certa. Andrà in modo molto diverso, tant’è vero che oggi la parola d’ordine è cautela. 15, i miliardi spesi per finanziare le competizioni: saranno l’inizio della fine. Un buco contabile di dimensioni enormi, che affosserà il paese in modo decisivo. Costas Karamanlis, allora leader del Governo, avrebbe voluto utilizzarle per rilanciare la meta ellenica all’interno delle mete turistiche mondiali. Peccato, però, che 12 mesi dopo, nel 2009, il primo ministro George Papandreou ammetterà pubblicamente di aver truccato i bilanci economici al fine di garantire l’ingresso dell’Hellas nella zona Euro.
E’ obbligatorio scontrarsi col panorama economico. Il malumore della gente è stato in parte mitigato dallo sport, che ha assunto una forma di sfogo. Eppure, senza soldi è dura. Il 23 dicembre 2014, Giorgos Sarris si era dimesso dalla presidenza della Federcalcio, allegando come motivazione l’ulteriore taglio dei fondi destinati al calcio (ma anche allo sport in generale) imposto dal governo. La crisi si è fatta sentire, con anni di lacrime e sangue. Giusto per far un confronto, nell’estate 2008 la Super League spendeva 60 milioni. I dati di due anni fa hanno visto solo un terzo di quell’importo esser speso in trattative (il colpo? Felipe Pardo all’Olympiakos per 2 milioni…). Di quei 20, 13,3 usciti dalle casse del club del Pireo. Ci sono delle dichiarazioni di Thodoris Tsilimigras, capo del dipartimento analisi dell’Asteras, che sono a mio parer importanti: “E’ davvero difficile convincere un calciatore straniero a scegliere la Grecia. Undici anni fa arrivava gente del calibro di Rivaldo, ora molti chiedono di ricevere i pagamenti in anticipo, e con i controlli ai capitali lo rendono difficile”. Parole tanto dure quanto veritiere. Giusto per fare un confronto, il valore complessivo delle rose di Super League stimato da Transfermarkt in questa stagione si attesta a 255,93 milioni di euro. Nel 2015-16 era di 357,78. Nel 2014-15 era di 350,50. Nel 2013-14 era di 375,33. E così via, il trend lo avete capito. Nel 2008, giusto per tornar indietro di qualche annetto in più, si issava a 431, 26. Crollo verticale. Anche perchè chi firma un contratto rischia di non intascar mai le cifre pattuite. E la FifPro, qualche anno fa, aveva stillato una classifica sui paesi a rischio insolvenze. La Grecia, udite udite, si trovava al terzultimo posto, accompagnata da una postilla che invitava gli associati a “prestare molta attenzione prima di firmare un contratto”.
Solo le società più ricche si salvano (ma a stento) dallo sfascio. L’Olympiakos può contare sui 750 milioni di dollari facenti parte del patrimonio personale di Marinakis. Insomma, un ottimo paravento contro le folate tempestose della crisi economica che si abbatte incondizionatamente su tutti. E scandali a parte, ecco spiegata l’origine del dominio che puntualmente avviene anno dopo anno. Dietro al Paok c’è il volti di Ivan Savvidis, georgiano ma di origine greca, amico personale di Vladimir Putin e tra i più ricchi in Russia. L’Aek, che nel 2013 è retrocessa per la prima volta nella sua storia più per colpa dei debiti che altro, è di proprietà di Dimitris Melissianidis, per gli amici “Tiger”: il suo business consta di cantieri navali e petrolio, oltre come detto dei night club più in vista di Atene. Infine, come detto, il Panathinaikos ha il sostegno di Giannis Alafouzos. Se però fin qui la sopravvivenza è garantita, non si può dir lo stesso per i club minori (qualche anno fa, Niki Volos ed OFI Creta avevano abbandonato prima del tempo la Super League). E sono non poche le società a rischiare quotidianamente il fallimento. Un altro considerevole segno assai poco positivo è il drastico taglio che anche le squadre più ricche stanno apportando col tempo al monte ingaggi. L’Olympiakos, per far l’esempio più chiaro, ha ridotto l’importo delle buste paga del 21,7%.
A tenersi sempre più alla larga dal calcio greco non sono solo i calciatori, ma anche i tifosi. Questo quanto emerge dal rapporto di European Football Statistics: da 7662 spettatori (dati relativi all’ultima stagione prima della crisi economica, il 2009), ora sono 3122 le presenze per gara. Un preoccupante -59%, dunque, per un settore che fornisce lavoro a circa 40mila persone e pesa sul pil per oltre 2 miliardi di euro. Tra le altre conseguenze, l‘età media si è abbassata vistosamente (pagare i giovani è meno dispendioso di accollarsi contratti di calciatori più esperti) e i giocatori stranieri sempre meno scelgono la Grecia per la loro carriera, a causa della crisi ma soprattutto dello scarsissimo appeal del campionato. Nella stagione 2012/13 l’età media dei calciatori della Super League si è attestata a 23,9 anni, record di tutti i tempi, mentre la percentuale di calciatori stranieri è scesa al 33 per cento. Da allora sono incrementate sia l’età media che il numero di giocatori stranieri (oggi rispettivamente 26,1 e 42 per cento), che resta però inferiore a quella dei principali campionati europei campionati. Che sia l’ennesima prova del declino generale? Che sia una grande opportunità dalla quale ripartire? Che la Grecia possa seguire l’esempio della Germania e rifondare il mondo del pallone “dal basso”? Che vengano incentivati i vivai? O che sia il declino del calcio greco?
In tutto questo, la nazionale non si è qualificata ad Euro2016. Beffa durissima, quella rete siglata dal finlandese Joel Pohjanpalo, che ha di colpo ammutolito i 12mila del Karaiskakis. Metaforico come la Grecia avesse dominato in lungo e in largo quella partita. Το Πειρατικό, la “nave pirata”, era naufragata nelle torbide acque del Pireo, erigendosi a specchio della crisi economica di cui ho parlato finora. Buffo pensare come questi siano comunque gli anni d’oro del calcio: tramontata la golden gen che era riuscita nella mirabile impresa di trionfare in Portogallo nel 2004 (ancor oggi, ad Angelos Charisteas viene ricordata quella zuccata…), ne è arrivata una nuova. Giorgos Karagounis e Kostas Katsouranis hanno vissuto sia quella magica serata che quella successiva. Quando, ossia, non c’era più Otto Rehhagel in panca, ma il fratricida Fernando Santos (che si sia specializzato in titaniche, considerato l’esito di Euro2016?). Il primo eliminò Spagna, la Francia allora campione in carica e i favoriti padroni di casa portoghesi. Il secondo, in Brasile2014 uscì con le ossa rotte contro la Costa Rica (rigore decisivo sbagliato da Gekas) ma scrisse comunque la storia. La prima, storica, qualificazione agli ottavi di finale di un Campionato del mondo. Arrivata da un collettivo trascinato in larga parte dai primi discendenti degli eroi al da Luz, Samaras in primis (casualmente, omonimo dell’ex primo ministro).
Dopo il 2014, tuttavia, è leggermente mancato il ricambio generazionale. E oltre al contemporaneo addio di tante pedine fondamentali (specie in avanti: Gekas, Salpingidis e Samaras, ma anche i vari Vyntra, Karagounis, Katsouranis), ecco una situazione tragicomica dal punto di vista tecnico. Dopo Santos, in rigoroso ordine cronologico: Claudio Ranieri (assistito da Karagounis, è durato tre mesi), Sergio Markarián (180′ per lui), Kostas Tsanas (dall’Under21 con l’obbligo di non ripeter figuracce), e l’attuale Michael Skibbe. Il materializzarsi dell’ultimo posto di un girone tutto sommato alla portata. 6 punti in 10 partite: 3 pari, 6 sconfitte e un’unica inutile vittoria nell’ultimissima giornata contro l’Ungheria. Nel mezzo due sconfitte con le modestissime e tanto bistrattate Far Øer. Naturalmente la Grexit ha minato l’idillio tra Το Πειρατικό e la gente: non avrebbe potuto esser altrimenti. Ad Atene, il pallone era uscito fuori dall’Euro.
BONUS: IL CAMPIONATO. In tutto questo background, l’Olympiakos continua a macinare titolo su titolo. Quello di questa stagione sarebbe il numero 44: si spiega così il soprannome del club del Pireo: ο Θρύλος, “la leggenda”. Lo scorso anno, giusto per sintetizzare la pochezza delle rivali, si era laureato campione il 28 febbraio, con la bellezza di 6 turni d’anticipo e un impressionante +18 sull’Aek secondo (e +25 sul Pana di Stramaccioni!). Ogni anno le rivali per la corsa al titolo finiscono per sbranarsi in una guerra che di fatto non avvantaggia nessuno, biancorossi a parte. Le dichiarazioni di Marco Silva saranno magari banali, ma in fondo ogni anno è sempre la stessa storia. “La prima cosa che voglio dire è di provare un grande orgoglio e tanta soddisfazione. Dedico la vittoria ai miei giocatori che hanno lavorato benissimo per arrivare a questo risultato. Non solo, penso anche a tutti quelli che lavorano nel club oltre che al presidente e alla dirigenza”. Che dire, sono abituati a vincere. Il che è assolutamente un motivo di vanto per i tifosi, ma allo stesso tempo assume i contorni di una strana assuefazione.
C’È FUTURO? Questo non lo so. La Grecia si trova dinanzi ad un bivio. La Bundesliga, dalla crisi dei primi anni 2000, è saputa emergere trionfalmente puntando su giovani, vivai e infrastrutture: con questa ricetta, sapientemente amalgamata da Low, è poi arrivato il titolo mondiale in Brasile. C’è da dire che la crisi condizioni pesantemente il paese ellenico mentre quello tedesco non sia stato scalfito dalle varie t (Troika, tracollo, se volete anche tracotanza). Paiono lontanissimi quegli anni in cui il Panathinaikos di Puskás volava a giocarsi la finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Cruijff (Wembley 1971, sigh). Ad oggi, il cammino nelle Coppe appare tortuoso ed impervio: l’Olympiakos non riesce neppur più a qualificarsi per la fase a gironi della Champions. Un bene, direte voi, in quanto potrebbe far più strada in Europa League. No, amici, non riesce. Tutt’altro: le ultime prove contro Osmanlıspor e Besiktas sono state di una pochezza allucinante (doppietta di Ansarifard ad Ankara a parte). Senza mezzi termini. Gelare o scottarsi. Amare o odiare. Bianco o nero. Per ultimo, rinascere o morire. Come sta il calcio greco? Assai male. E chissà per quanto ne avrà ancora. Lo scopriremo col tempo, io nel frattempo vi lascio con un proverbio di Zenobio. Ἂν μὴ παρῇ κρέας, τάριχον στερκτέον. “Se non c’è carne, bisogna accontentarsi della sardina”. Γεια σου!
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