Alexandre Pato ha 30 anni. È più giovane di Messi, Cristiano Ronaldo, Benzema, Lewandowski, Aubameyang, Agüero, Suárez. La percezione che abbiamo di lui, però, è ormai da tempo filtrata dalla patina della nostalgia più malinconica, quella che riserviamo a ciò che sarebbe potuto essere ma non è mai stato, alla promessa che non si è mai potuta compiere.
Pato sembrava il più tipico dei predestinati: l’arrivo al Milan ancora minorenne per la cifra record di 22 milioni, l’esordio con gol a San Siro al fianco di Kaká e Ronaldo, qualità tecniche e atletiche che lasciavano pochi dubbi circa la luminosità del suo futuro.
Questa dimensione di Pato, la sua “prima carriera”, termina invece di fatto nel 2011, quando alternandosi con Robinho al fianco di Ibrahimović è tra i protagonisti dell’ultimo Scudetto rossonero. Quella vittoria rappresenta il canto del cigno per tanti grandi giocatori – Abbiati, Nesta, Gattuso, Ambrosini, Pirlo, Seedorf -, ma era difficile immaginare che potesse esserlo anche per il “Papero”.
Qualche avvisaglia c’era già stata – i primi infortuni, le difficoltà nell’accettare un ruolo non di primissimo piano rispetto a Ibra – ma da quel momento in poi il declino è vertiginoso: nel seguente anno e mezzo raccoglie 25 presenze e la miseria di 6 reti, e a gennaio 2013 per il 23enne Pato è già tempo di fare ritorno in Brasile.
Il Corinthians investe su di lui una cifra importante – 15 milioni di euro – ma l’impatto è deludente e dopo una sola stagione da 17 gol in 62 partite finisce in prestito biennale al San Paolo, dove ritrova una discreta vena realizzativa (39 gol in 112 presenze) ma soprattutto l’integrità fisica, che a sorpresa da allora in avanti non sarà più il suo tallone d’Achille.
La sua ambizione però è ancora quella di riscattarsi in Europa, e arrivano prima il fallimentare prestito al Chelsea – dove tra gennaio a maggio 2016 raccoglie solo 2 presenze (con un gol su rigore) – e poi la grande occasione al Villarreal, con cui firma un quadriennale; anche qui le cose però non vanno come sperato, e dopo soli sei mesi (con 6 gol in 24 presenze) è già il momento di imboccare il viale del tramonto con un ricco contratto cinese al Tianjin Quanjian.
In quel calcio Pato è ancora in grado di fare la differenza: danza tra i difensori con la leggiadria dei tempi migliori, ma è pur sempre un contesto in cui l’ex-Palermo Erin Zahavi riesce a segnare quasi 30 gol a stagione.
Dopo due ottime stagioni, la saudade si fa sentire: in Brasile le sue buone prestazioni non sono passate inosservate, e tra le prestigiose opzioni a disposizione sceglie di tornare al San Paolo, dove, prima che il COVID-19 sconvolgesse il mondo, aveva da poco iniziato la sua seconda stagione.
Accolto con grandi aspettative, lo scorso anno è stato invece tra le maggiori delusioni del Brasileirão, diventando il simbolo principale di un rendimento di squadra al di sotto delle attese: dopo un avvio incoraggiante, la sua stagione è praticamente terminata il 10 agosto, quando con una doppietta aveva trascinato il Tricolor alla vittoria nel nel “Clássico” contro il Santos.
Da quel momento in poi è un disastro: prima un infortunio lo costringe a saltare nove partite, poi al rientro sembra aver dimenticato come si segna, e le sue sette partite di seguito senza gol fanno perdere la pazienza ai tifosi.
Nel finale di stagione il nuovo allenatore Fernando Diniz si dimentica di lui, lasciandolo per sei volte consecutive in panchina senza mai entrare: il suo score finale recita 5 gol in 22 partite, e alla società non sembra dispiacere l’idea di liberarsi del suo oneroso stipendio accettando la pur magra offerta (si parla di meno di un milione di euro) dello Shabab Al-Ahli di Dubai.
L’affare però salta, Pato non gradisce la destinazione e con grande sorpresa il tecnico Diniz – proprio colui che lo aveva messo ai margini – si dichiara fortemente intenzionato a recuperare il suo “immenso talento”, tale che secondo lui “avrebbe dovuto disputare già due Mondiali e avviarsi al terzo”.
In Brasile Pato si è costruito negli anni la reputazione di giocatore distratto e scostante; in riferimento alla sua attitudine dentro e fuori dal campo, spesso si è detto che non avesse la personalità per essere un professionista di primo livello, ed è stato tacciato di vivere “con la testa fra le nuvole”, di non essere in grado di “capire i momenti”.
Come quando, nei quarti di Copa do Brasil del 2013, durante la serie di calci di rigore tra Corinthians e Grêmio, si fece bloccare un inguardabile tentativo di cucchiaio dall’ex compagno Dida. O come quando, nel 2015, il suo San Paolo stava giocandosi il quarto posto con il Palmeiras, e lui ammise candidamente di tifare per i rivali nella partita contro il Santos perché il presidente Paulo Nobre, disse, “è una brava persona”. Un’altra volta, a fine partita, spiegò la sconfitta per 1-0 contro la Ponte Preta dicendo che il gol nel finale aveva reso difficile recuperare il punteggio. Peccato che fosse stato segnato al 14’ del primo tempo.
Arrivato a 30 anni, è ormai chiaro che la sua legacy principale sarà quella di un incompiuto, ma in questi primi mesi del 2020 Diniz ha spesso ribadito di aver visto un “nuovo” Pato, elogiandone l’impegno in allenamento.
Lo stesso giocatore ha ricambiato, dicendo di aver già imparato molto dall’allenatore e di sentirsi fortemente motivato a giocare per lui. A fine febbraio, dopo lo 0-4 con doppietta in casa dell’Oeste, il canale YouTube della società ha pubblicato un video in cui, abbracciandolo nel prepartita, Diniz gli rivolge dolci parole d’incoraggiamento: “oggi arriverà il gol, credici. Se non sarà la prima volta, sarà quella successiva. Non pensare all’errore, concentrati sull’obiettivo!”.
Dopo una buona carriera da calciatore (tra le altre Palmeiras, Cruzeiro, Santos), prima di intraprendere la carriera da allenatore Diniz si è laureato in psicologia, a testimonianza del peso che attribuisce alla gestione delle relazioni umane nello spogliatoio . “Pato – ha dichiarato – non è il ragazzo distaccato e disinteressato che potrebbe apparire; ha una grande passione per il calcio e ha solo bisogno di sentirsi compreso”, sottolineando come spesso si sottovaluti l’importanza delle componenti emotive nella formazione e gestione dei calciatori.
Dopo un inizio di stagione opaco, nelle ultime 5 partite tra Paulistão e Libertadores Pato ha realizzato 4 gol e 2 assist; numeri incoraggianti, anche se non sembra ancora completamente a suo agio nel gioco di posizione fluido disegnato dal tecnico, in cui è stato impiegato sia come centravanti sia come esterno d’attacco. Vedremo se, quando finalmente si tornerà a giocare, la fiducia basterà per fargli ritrovare continuità nel medio-lungo periodo.
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