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Cinque finaliste perdenti d’Europa League

Alla vigilia della finale di Europa League che vedrà opposte Chelsea e Arsenal, vi proponiamo cinque finaliste (perdenti) tra Coppa UEFA ed EL che probabilmente ricorderete. Ma che hanno pur sempre perso.

BASTIA (1977/78)

Ci fu un momento in cui il Mediterraneo parve utile solo a distinguere Nizza da Bastia, altrimenti unite dall’essere «ces losers magnifiques du foot français des années 70». Les Aiglons furono due volte campioni d’inverno (1973, 1976) ma non si confermarono a maggio, perdendo pure nel 1978 una finale di Coupe de France col Nancy. I turchini invece, sconfitti dall’Olympique Marsiglia nella finale di Coupe de France 1972, sei anni dopo mancarono pure una folle impresa contro i giganti del PSV di Rijvers, in una Coppa Uefa la cui finale si disputava allora in doppia gara. Il 26 aprile 1978 l’Armand Cesari di Bastia assistette a uno 0-0 sotto una pioggia battente. Due settimane dopo, a Eindhoven, i Boeren dei gemelli van de Kerchof (René e Willy) s’imposero senza storia, un 3-0 amaro per la terza francese a giocare una finale di coppa, dopo Stade Reims (1956) e Saint-Étienne (1976). Carnefici di Sporting Lisbona, Newcastle e del Torino di Pulici e Graziani, ai biancoblù va tributato un applauso: memorabili i quarti di finale contro il Carl Zeiss Jena (7-2 in Corsica, 4-2 in Turingia) e le semifinali col Grasshoppers (3-2 a Zurigo, 1-0 al ritorno, con gol decisivo di Claude Papi, scomparso per un infarto a soli 33 anni).

 

VIDEOTON (1984/85)

Siccome era una delle tre città ungheresi in cui avveniva l’incoronazione, Székesfehérvár è anche detta «la città del Re». Qui, l’8 maggio 1985, al Sóstói Stadion, il Real Madrid con l’annessa Quinta del Buitre (Emilio Butragueño, Miguel Pardeza, Manolo Sanchís, Míchel e Martín Vázquez) sconfisse agevolmente i rossoblù oggi chiamati MOL Vidi. Decisivi Míchel, Santillana e Valdano, a spegnere i sogni della squadra fondata da operai di una fabbrica di proiettili da caccia. Si potrà dire che gli ungheresi – che in precedenza avevano eliminato Dukla Praga, PSG, Partizan, Dinamo Minsk e Zeljeznicar – avessero una sezione più agevole del tabellone (il Real se la vide con Anderlecht, Tottenham e Inter), ma niente è sostenibile sulla loro arrendevolezza. Tanto che al ritorno, il 22 maggio 1985 al Bernabéu, un gol di Lajos Májer all’86’ permise ai ragazzi di Ferenc Kovács di espugnare Madrid.

 

DNIPRO (2014/15)

«Ho dato la medaglia a mio figlio e gli ho detto ‘ricorda, accetta solo le medaglie per le vittorie, non accontentarti mai di quella per il secondo posto». Yevhen Seleznyov, il 7 maggio 2015, segnò al San Paolo – in posizione di fuorigioco – il gol che qualificò il Dnipro. Come sarebbe andata in Polonia è chiaro (gol di Krychowiak, doppietta di Bacca, secondo successo di fila per Unai Emery) ma non mina quel percorso: eliminati Olympiakos, Ajax, Bruges e Napoli. Non sarebbero dovuti esser lì – l’autogol irregolare dell’interista Donkor li qualificò e sui social divampò l’hashtag #JusticeforGarabagh – ma tant’è: Myron Markevyč in panchina, Boyko-Léo Matos-Rotan-Konoplyanka-Kalinić la spina dorsale. Il presidente Kolomoyskyi, oggi fuggito negli Usa, dedicò la finale raggiunta «a chi non potevano né potranno gioire, a tutti coloro che stanno difendendo la patria».

SPORTING BRAGA (2010/11)

La prima finale portoghese di sempre in competizioni UEFA (40° in totale, 2° dopo il cambio di formato e denominazione voluto da Platini) si disputò il 18 maggio 2011 all’Aviva Stadium di Dublino. André Villas-Boas alzò la seconda Europa League dei Dragões davanti a Domingos Paciência, padre del Gonçalo attaccante dell’Eintracht che sbagliò il rigore decisivo col Chelsea. I biancorossi Arsenalistas, simboleggiati dalla Torre de Menagem sullo stemma e dall’Estádio Municipal confinante col Monte do Castro – non per altro detto A Pedreira (“la cava”) – meritassero quel piazzamento. Fuori dalla Champions per mano di Shakhtar e Arsenal, eliminarono Lech Poznań, Liverpool, Dinamo Kiev e Benfica. E se alla fine decise un colpo di testa di Falcao al 44′ (17° marcatura in quell’edizione), il Braga poté rimuginare. Su un pallone perso da Fernando, il diagonale di Mossoró deviato coi piedi da Hélton resta, direbbero gli inglesi, «a once in a lifetime miss».

 

DEPORTIVO ALAVÉS (2000/01)

Un rumeno, un norvegese, un olandese e un serbo a Vitoria-Gasteiz. Potrebbe esser una barzelletta, ma Cosmin Contra da Timișoara, Dan Eggen da Oslo, Jordi Cruijff da Amsterdam (il suo prevedibile secondo nome è Johan) e Ivan Tomić da Belgrado parteciparono, il 16 maggio 2001, a Dortmund, a una delle finali più spettacolari della storia. Inglesi sul 2-0, rimonta basca da 2-1 a 3-3, illusorio vantaggio dei Reds con Fowler, rete di Cruijff all’88’ e golden goal al 116′ per mano di uno sfortunato autogol di Geli in undici contro nove. «Caen como héroes» scrisse il giorno dopo Mundo Deportivo, onorando El Glorioso e il suo allenatore, José Manuel ‘Mané’ Esnal. Lo spirito della sconfitta è tuttoggi parte dell’alavesismo: promossi ne La Liga nel 2016, a 16 anni dal Westfalenstadion, i Babazorros persero la Copa del Rey col Barcellona. E ancora lacrime.

Matteo Albanese

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