Se nasci in una famiglia povera, in un barrio complicato di Rosario, Argentina, hai tre opzioni: la criminalità, la scuola e il calcio. Inizia così il racconto del Chimy Ávila alle telecamere spagnole. La storia complicata di un uomo che solo 5 anni fa stava per perdere tutto e ora ha ritrovato il sorriso e il benessere grazie al calcio, alla sua famiglia e a Dio.
L’aspetto è quello di un ragazzo diventato uomo prima del tempo. La separazione dei genitori quando era piccolo costrinse la madre a crescere nove figli da sola. Ávila non era come gli altri ragazzi, per fare economia si presentava all’allenamento dopo lunghe tratte a piedi o addirittura a cavallo. A 17 anni militava nelle fila del Tiro Federal ed ebbe l’occasione di fare un provino all’Espanyol alla cui guida figurava Mauricio Pochettino. Non andò bene e il Chimy fu costretto a tornare a Rosario. A 18 anni Ezequiel Ávila si sposò e per i successivi due smise di giocare.
Lavorava come muratore e stava per cadere nella più facile delle tre opzioni citate sopra. Quando aveva solo 20 anni ebbe la prima figlia, la quale però contrasse un virus che avrebbe distrutto la vita della famiglia Ávila. Ad aiutarlo furono il suo agente e alcuni amici che pagarono le spese della clinica in cui era ricoverata. Lui pedalava per circa 30 km al giorno in bicicletta dopo il lavoro pur andarla a trovare e sostenere sua moglie. Terminato il calvario, una notte, le si rivolse in lacrime chiedendole “¿Pero como se me escapò el fútbol?”.
La svolta del Chimy
Tornò ad allenarsi e arrivo la seconda possibilità: il San Lorenzo. Con gli argentini giocò abbastanza per conquistare un esperienza in Europa. All’Huesca non si adattò facilmente e quando stava per mollare si affidò agli insegnamenti di Rubi, l’attuale allenatore del Betis. Il tecnico lo convinse che poteva essere decisivo e fare un passo in avanti nella sua carriera. A oggi le previsione di Rubi appare realizzata, Ávila sta maturando e riesce sempre giorno dopo giorno a controllare la sua irrefrenabile esplosività.
Nessuno, a parte pochi parenti stretti, lo chiama Ezequiel. Per tutti è El Comandante (per l’esultanza) o più semplicemente Chimy. Ma perchè Chimy? Il soprannome sembra derivare da una salsa tipica dell’Argentina e dell’Uruguay: chimichurri, ovviamente nella sua versione piccante. Si perchè il Chimy Ávila non è come la maggior parte dei calciatori. Non è importante che giochi sulla fascia destra, su quella sinistra o in posizione centrale. Lui va sempre a cento all’ora, non si ferma mai. Scende in campo ogni volta come fosse l’ultima ed è proprio quest’aspetto che gli permette di essere amato in poco tempo dalle diverse aficiónes.
Questa caratteristica spesso lo porta a sbagliare per la foga agonistica, ma sta migliorando e le statistiche lo supportano. In questa prima metà di stagione è già a quota 6 gol e 3 assist con la maglia navarrese dell’Osasuna. Sta vivendo un periodo di forma pazzesco che lo ha portato a segnare consecutivamente nelle ultime quattro sfide della squadra di Pamplona.
È sudamericano nel midollo e lo si vede dal suo rapporto con la fede e la famiglia, dal suo atteggiamento sul terreno di gioco, nonché dal modo in cui conclude l’intervista rilasciata a Marca. “La situazione del mio barrio era che oggi avrei potuto rilasciare questa intervista o in alternativa essere in carcere”. Fortunatamente il Chimy è riuscito a scappare da Empalme Graneros (il suo quartiere d’origine a Rosario) e oggi possiamo ammirare gol del genere.
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