Milan e Roma in amichevole a Perth, in Australia, nel ricordo di Agostino Di Bartolomei. Il 30 Maggio è una data che i romanisti non dimenticheranno mai. Nel 1984 svaniva nel modo peggiore possibile il sogno cullato da una vita da ogni tifoso della Roma. Finale di Champions League, in casa, persa 4-2 dopo i calci di rigore con il Liverpool. Dieci anni dopo, trenta anni fa, Agostino Di Bartolomei, indimenticabile Capitano della Roma dello Scudetto, si toglie la vita.
La fine ha un inizio. Finale di Coppa dei Campioni: Roma – Liverpool, dopo i tempi regolamentari e i supplementari, è ancora bloccata sull’1-1. Si va ai calci di rigore. Il primo tiro dal dischetto è di quella squadra inglese. Sbagliato. Ora serve coraggio. Tutti aspettano il “divino”, all’epoca, Falcao, che sul quel dischetto non si presenterà mai. E allora ci va Agostino Di Bartolomei. Il capitano non si tira indietro e lo fa da par suo, prendendo il pallone sottobraccio. In quel momento è il papà di tutti i romanisti che hanno paura e cercano rifugio nel loro uomo simbolo. Il suo viso è rassicurante, lo sguardo, fiero, il destro violentissimo. Gol. La Roma, in quel preciso e unico momento di quella finale, è in vantaggio. L’epilogo è noto. Un finale che cambierà per sempre la storia della Roma e la vita di Agostino Di Bartolomei.
La Roma si consola con l’ultimo trofeo stagionale. Agostino Di Bartolomei vince la Coppa Italia e poi lascia la fascia di capitano e la città, destinazione Milano, dove indosserà la maglia del Milan. Motivo? Incomprensioni con la società. Il 14 ottobre 1984, Di Bartolomei gioca e segna a San Siro con la maglia del Milan. Esulta, ma non con gioia: piuttosto con la rabbia di un amante tradito. Il 24 febbraio del 1985 torna a Roma dove è accolto con freddezza e qualche fischio. Un ultimo strappo, lacerante. Nella sua città, non ci tornerà più. Va a Cesena, chiude la carriera a Salerno dove sceglie di vivere. Appesi gli scarpini al chiodo, ha due progetti: una “scuola calcio” nel senso pieno del termine, e tornare a Roma. Entrambi sono difficili da concretizzare. Castellabate è una realtà complicata e i progetti stentano a decollare. E da Roma il telefono tace.
Il silenzio assordante ferisce e tormenta Di Bartolomei, dimenticato da un mondo che lo stima, ma non lo comprende. Inevitabile. Di Bartolomei è lontanissimo dallo stereotipo del calciatore: silenzioso, riflessivo, profondo, colto. Ama parlare di politica, arte e filosofia. Insegna che è meglio cercare i lati buoni, piuttosto che odiare. L’idea e i valori sono in un libro: “Il Manuale del calcio”. Leggerlo aiuta a capire chi fosse Agostino Di Bartolomei. Più difficile, invece, cogliere il senso di quel giorno e di quel gesto. Il 30 maggio del 1994 la rabbia si mescola al dolore, al rimpianto, allo sgomento. Qualcosa non ha funzionato. Cosa? Inutile cercare risposte che nessuno è in grado di fornire. Meglio guardare i lati buoni. E dunque è significativo che con Milan – Roma il ricordo di Agostino Di Bartolomei sia vivido in chi non ha avuto tempo e fortuna di viverlo. Di Bartolomei è e sarà sempre il Capitano. Un eroe tragico, ma destinato a non invecchiare mai. In fondo, per cucire il filo di una memoria, basta un Ago.
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