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Caos Monaco 1860: retrocessione, contestazioni e un futuro tutt’altro che celeste

Fa male. Fa un male atroce assistere seppur indirettamente ad un evento del genere. Il Monaco 1860 perde il Relegationspiel contro il Jahn Regensburg e sprofonda dopo 24 anni in 3.Liga. Il match di ritorno, dopo l’1 a 1 maturato a Ratisbona, è un misto di paura, speranza e frustrazione. Il popolo biancazzurro, accorso in massa all’Allianz Arena per sostenere i propri beniamini, è la dimostrazione di quanto romantico e crudele possa essere alle volte il gioco del calcio. 60000 cuori che battono all’unisono per i propri colori e che, tutto d’un tratto, sussultano e si arrestano. Dopo un primo tempo dominato dagli avversari, il castello di carta del Monaco 1860 inizia pian piano a crollare su stesso. Il concretizzarsi della possibilità di retrocedere si fa sempre più reale. Qualcuno piange anzi tempo, alcuni tifosi lasciano prematuramente l’impianto. Altri vanno in iperventilazione, l’ossigeno al cervello viene a mancare, e il pandemonio si manifesta sulle gradinate. A dieci minuti dall’amaro e ormai inevitabile epilogo, dalla curva dei sostenitori di casa iniziano a piovere seggiolini, bicchieri e bottiglie. Il match viene per forza di cose sospeso con la polizia in assetto antisommossa che si allinea lungo la linea di fondo campo per monitorare la situazione e proteggere il rettangolo di gioco da una possibile invasione. Non pacifica. Al triplice fischio i rossi di Ratisbona non credono ai propri occhi e corrono verso il settore ospite dove 10000 anime festanti accorse per lo storico evento li attendono a braccia aperte. Il resto dello stadio è un melting-pot di ingiurie, urla di dolore e cori di scherno. É difficile immaginare lo stato d’animo dei giocatori del Sechzig: dopo una stagione che doveva essere da protagonisti, retrocedere così, davanti ai propri tifosi, deponendo le armi anzitempo, senza combattere…beh, credo che qualcuno avrebbe preferito morire piuttosto che soccombere in questo modo. Kolja Pusch e Marc Lais sono nomi che i Löwen si ricorderanno per molto tempo. Ma i due mattatori del match non sono di certo le uniche cause di un crollo inaspettato ma nemmeno troppo impronosticabile.

Il mercato della scorsa estate sembrava indicare la volontà di giocare una stagione ad alti livelli. Il riapprodo in casacca biancoceleste di Stefan Aigner dall’Eintracht Frakfurt sottolineava l’intento della società di lottare da subito per la promozione in Bundesliga. E poi la firma di Kosta Runjaic come allenatore e il gradito ritorno di Ivica Olic. Solo Hannover e Stoccarda (entrambe poi promosse in prima divisione) potevano vantare un valore di rosa più alto.  Insomma tutti gli ingredienti per ambire a prestigiosi traguardi. Che infimo specchietto per le allodole è stato. La dirigenza del club, capeggiata dal giordano Hasan Abdullah Ismaik, si è rivelata un’accozzaglia di effimera lungimiranza e di spiccata propensione al mero guadagno immediato. La progettazione di un futuro dalle basi solide non dev’essere figurata nemmeno nelle “varie ed eventuali” dei numerosi consigli di amministrazione. Un proprietario che sapeva molto di soldi e poco di calcio ha affidato la storia calcistica della Baviera in mano a personaggi dal gran nome ma non supportati come si deve nel percorso di crescita della squadra. Ecco allora che i risultati vengono subito a mancare; il primo capro espiatorio diventa Runjaic che a novembre ha già le valige fatte, pronto a lasciare Monaco. Identica situazione per il Direttore Sportivo Thomas Eichin e per il capo scout Peer Jaekel. Dopo aver piazzato Bierofka come allenatore ad interim, a gennaio Ismaik propende ancora per un nome altisonante, portando alla guida del Sechzig l’ex allenatore del Porto Vitor Pereira. La Volktanz non cambia e i giocatori inciampano ripetutamente in un balletto che li porterà, alle porte dell’estate, ad esibirsi in una rappresentazione tutt’altro che gioiosa. – Giù il sipario –

Per rendere bene l’idea di un presidente fantoccio, vi basti sapere che Ismaik non era presente al match di ritorno. Con la coda fra le gambe ed il portafoglio saldo sotto l’ascella, il ricco magnate mediorientale ha deciso di abdicare prima dell’ora. Come lui si dimettono il presidente Peter Cassalette e l’amministratore delegato ex Liverpool Ian Ayre. Tutto nella norma mi verrebbe da dire. Non bastasse, il futuro della guida del Monaco 1860 è quanto mai incerto con il club che rischia l’insolvenza nel caso il giordano non riuscisse (volesse) pagare quanto spetta a giocatori, staff e federazione. La retrocessione in 3.Liga allontanerà fisiologicamente numerosi calciatori. Ci sarà da pagare l’iscrizione al torneo 2017/18 e se anche qui il denaro non dovesse palesarsi c’è il rischio per i Löwen di sprofondare nelle serie dilettanti. A gettare benzina su un incendio di per se già esteso, tutte le selezioni “Under” sono retrocesse nei rispettivi campionati. E questo non può che avvalorare la tesi di un lavoro dozzinale fatto dal club in ottica futura. Bisogna ripartire dalle basi, ricreare un ambiente positivo a partire dal settore giovanile. Il quadro dirigenziale va rivisto in toto e rifondato. Il calcio ha bisogno di ritornare in mano a chi lo ama. il Monaco 1860 ha bisogno di persone in grado di profondere amore verso questi colori. I tifosi lo pretendono e lo meritano. La piazza lo pretende e lo merita. Ora più che mai.
Auf Wiedersehen, Sechzig!

Jacopo Bravi

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