Attese mancate, o forse stavolta eccessivamente alte rispetto al reale potenziale. La storia di Leandro Damião è puramente da ‘Campioni mancati’, ma completamente differente rispetto ai calciatori di estro e rapidità che abbiamo trattato finora. Il calcio brasiliano lo ha atteso finché ha potuto, ma la consacrazione di questo centravanti molto fisico ma allo stesso tempo di buona gamba, di fatto non è mai arrivata.
Di squadre ne ha girate veramente tante, sia in Brasile che in campionati esotici, ma se c’è un club in cui aveva fatto pensare di essere potenzialmente il futuro della propria nazionale quello è l’Internacional. Non che le sue medie fossero così paurose, nulla di più di quanto faceva Fred in quegli anni, tanto da diventare lui alla fine il 9 per alcune delle spedizioni della Seleção, ma la giovane età abbinata a mezzi fisici importanti lasciavano intravedere spiragli importanti.
Bravi i dirigenti dei club europei a non cadere nella trappola, e a capire che la vera stella di quella squadra fosse Oscar, preso dal Chelsea, altro che ha tutti i requisiti per entrare in questa rubrica e che aspettiamo prima o poi in un suo rientro in Europa. Assieme formavano una coppia davvero ben assortita e complementare, con la velocità e l’estro del 10, più i gol e il fisico del 9.
Damião era stato di fatto designato come erede un po’ di chiunque: al Milan una volta andato via Ibrahimovic, al Napoli dopo l’addio di Cavani, ma era accostato a tantissime squadre di buon livello soprattutto in Italia. Anche perché ad aumentare la sua reputazione fu una buona Olimpiade a Londra 2012 con cui arrivò a conquistare la medaglia d’argento e soprattutto il titolo di capocannoniere con 6 gol in 5 partite.
Solo che il cartellino lo acquistò un anno più tardi il Santos, ancora in Brasile, arricchito dopo la cessione ultramilionaria di Neymar al Barcellona e voglioso di tornare a dettare legge in Copa Libertadores.
L’esperienza è francamente dimenticabile, se non per quella clamorosa simulazione in cui si tirò la maglietta da solo, e per questo fu rapidamente lasciato andare al Cruzeiro. Gli occhi dell’Europa erano sempre vigili su di lui, ma il target era decisamente più basso, al punto che dopo la scena muta fatta con la maglia della Raposa arrivò l’acquisto da parte del Betis. E se al Villamarín non erano rimasti soddisfatti dell’impatto di Denilson prima e di Sobis poi, con Damião la situazione fu drammatica.
Solo tre presenze nella sua unica avventura europea, ovviamente senza gol. Un bel contrasto tra le aspettative di uno che poteva diventare il centravanti della nazionale brasiliana e che invece gradualmente si è disperso. Le sue vere gioie sono arrivate in quella spedizione olimpica e nella doppia avventura all’Internacional, dove è tornato poi anche con discrete medie. La sua partenza per il calcio giapponese è passata in sordina, emblema del fallimento di una carriera in cui c’era il potenziale per esplodere.
Lui in Giappone, Oscar in Cina. Probabilmente guardando l’Internacional del 2012 ci si aspettava qualcosa di differente.
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