Campione mancato per davvero, Cícero João de Cézare, talento affogato nell’alcol e nella depressione col nome di Cicinho. Le sue dichiarazioni di qualche anno fa hanno fatto il giro del mondo, espressione crudele di uno stato emotivo che ha abbattuto un calciatore dalle indiscusse qualità fino a portarlo nei tunnel più difficili da cui uscire.
Destino tremendo, sicuramente difficile da pronosticare agli inizi della carriera, quando la sua esplosione in Brasile faceva pensare a un possibile erede di Cafu, destino poi toccato invece a Dani Alves e Maicon, due eccellenze assolute del ruolo di poco più giovani di lui. Paulista di nascita e di cuore, tanto da arrivare al São Paulo per far vedere le sue vedere qualità, dopo un’esperienza comunque molto positiva nel sud del Brasile, all’Atlético Mineiro.
Una delle squadre iconiche del calcio anni 2000 per il continente sudamericano, capace di vincere Copa Libertadores e Mondiale per Club nel 2005, e di attirare su di sé gli occhi delle migliori squadre europee. Dopo il successo sul Liverpool che valse il titolo mondiale, fu immediatamente acquistato dal Real Madrid, che cominciava a pensare di rinnovare un reparto in cui alcuni del Galácticos cominciavano a invecchiare.
Solo che uno di questi era Michel Salgado, colonna della squadra non più nel fiore degli anni che stava regredendo nelle gerarchie e prese malissimo l’arrivo di Cicinho. Come raccontato dal brasiliano, Salgado, che si giocava il ruolo anche con il neo-arrivato Sergio Ramos all’epoca ancora terzino, neanche lo salutava mettendolo così a forte disagio nello spogliatoio.
L’impatto tecnico nel Real non fu neanche male, ma l’adattamento a quello spogliatoio di campioni era veramente difficile, e il segno lasciato non particolarmente indelebile. Ma la reputazione di possibile campione del futuro lo portò anche al Mondiale del 2006, dopo che in nazionale aveva fatto parte della spedizione che vinse la Confederations del 2005, e sembrava che fosse solo questione di adattamento per vederlo dominare anche in Europa.
Al di là del curioso aneddoto con Beckham e della spesa di 25mila euro in vestiti al suo negozio, progressivamente la sua figura al Real Madrid si indebolì per i problemi di spogliatoio che lo indussero anche a intraprendere la via dell’alcol, la vera sciagura della sua carriera. In Spagna come a Roma, tappa dove decise di riciclarsi per ripartire ma che invece lo portò solamente ad accentuare i suoi problemi personali, rivelati in quella famosa intervista, in cui un passo è particolarmente emblematico.
“Non ho provato la droga solamente perché c’erano i controlli antidoping“, frase struggente, anche più di quella molto mediatica dell’incontro con Gesù Cristo alla quindicesima caipirinha. L’insoddisfazione portò Cicinho a distruggere la propria carriera, la sua condizione fisica, a limitare quel grande talento che aveva.
Non sono bastati nemmeno i giri tra Spagna, Brasile e Turchia per rinsavirlo, ormai il suo lo aveva dato. Si è ritirato nel silenzio più totale dopo essere passato da Brasilia, tappa anonima di una carriera sciupata, in cui a un certo punto ha dovuto pensare più a tutelare la sua persona che il resto. Ha messo tante assicurazioni sulla sua vita per la paura di morire prima o poi per via dei suoi vizi, che in questo caso non sono l’eccesso milionario del calciatore, ma il rifugio di una situazione di tristezza amplificata.
Poteva essere un grande calciatore della nazionale brasiliana, invece è stato solo una grande promessa che non ha saputo mantenere le aspettative. Cicinho, campione mancato a tutti gli effetti.