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Il calcio greco è sull’orlo del fallimento

Se è vero che il calcio è lo specchio sociale di un paese, quello ritraente la Grecia è sporco e parzialmente venato. La superficie sta prendendo una connotazione opaca, solcata da profonde venature la cui comprensione sta salendo solo in questi ultimi anni alle luci della ribalta. La montagna di debiti che ad Atene hanno accumulato è fin troppo grande perché vi si trovi una panacea sufficientemente decisiva, il debito pubblico è in triste e costante ascesa, il governo s’è trovato a gestire un clima pressoché ingestibile. Qualche anno fa, il vice ministro delle Finanze, Filippos Sachinidis, ritraeva in tutta la sua crudezza la situazione: “La maggioranza delle società calcistiche che si trova sotto il Partenone avrebbe dovuto chiudere i battenti per via dei forti debiti, dato che complessivamente il calcio ellenico ha accumulato negli anni pendenze per 222 milioni di euro. Fulmine e tuono. Nemmeno Zeus seppe, dall’alto della sua dimora all’Olimpo, scagliare certe macerie addosso alla precarietà della condizione umana. Un paradosso, un buco di dimensioni enormi, un macigno irrisolvibile. Considerando che la Grecia ha un pil di 300 miliardi per anno e la recessione stringe sempre di più la morsa…

Stando ai calcoli che Il Sole 24 Ore pubblicò nel 2010, il deficit di aggirava poco sotto il 13%. “Ci troviamo con club sportivi la cui situazione debitoria è insostenibile, se dovessimo rispettare alla lettera i regolamenti oggi vigenti dovremmo portare un sacco di libri contabili in tribunale, ha continuato Sachinidis in Parlamento, ad Atene, in Piazza Syntagma simbolo della costituzione e purtroppo già teatro di orribili manifestazioni contro il caro della vita (eventualmente anche culminate col suicidio, purtroppo). Il popolo ellenico resta aggrappato con le unghie all’ultima delle sue passioni, quella che però è costretta a patire peggio di ogni altra i costi ingenti. E a fine mese, naturalmente, trovare soldi per assistere alle partite non è più una priorità come un tempo. La disaffezione è la più naturale delle conseguenze, in un sistema ricco di passione ma pure di violenza. Gli ultimi episodi avvenuti in un marzo da cancellare per il calcio ellenico parlano di lanci di oggetti, folle, tumulti, pistole che sono costate al PAOK una buona parte di un’eventuale volata al titolo. Penalizzazione, tre anni d’interdizione dagli stadi per Ivan Savvidis a causa di un gesto avventato ma non certo privo di clamore mediatico. Si potrebbe discutere anche su questo: una pistola mostrata vale tutto questo scempio?

Si torna poi a parlare di soldi, perché sono quelli l’ingranaggio che olia il motore nel suo complesso. “Restando solo ad Atene, ecco l’esempio dell’AEK. Loro, ma non sono certo gli unici, hanno beneficiato di una norma contabile che gli ha concesso la cancellazione del 95% del debito. I loro bilanci sono stati migliorati, ma il governo (all’epoca il potere era in mano di Papandreou, ndr) in questo contesto di grave crisi economica non è più disposto a continuare così. L’austerity e le rivolte di piazza impongono uno stop, non si può più lasciare che altri team come Olympiakos e Panathinaikos possano sfruttare gli stessi stratagemmi”. Per la serie, la pappa pronta è finita. L’Alliance del Panathinaikos, fondo in cui i tifosi possono raccogliere le loro offerte al club biancoverde, rischia di scomparire per via delle sempre minori sottoscrizioni. La base popolare ha sempre meno voce in capitolo, a meno che non si parli di cori da stadio e coreografie. Per il resto, decidono i presidenti e purtroppo carta canta. “I tempi sono ormai cambiati, serve ottemperare ai sacrifici richiesti e rimettersi in carreggiata. E poi queste sanatorie rendono, nel lungo periodo, le società finanziariamente meno forti”. Giusto, perché in fondo le continue scialuppe rendono meno serio un contesto invece da prender con le pinze.

Sachinidis è poi entrato nello specifico: “I 18 club greci che giocano in Super League hanno avuto un’ispezione il 5 marzo scorso (2009, ndr), dalle contabilità è emerso un debito nei confronti dello Stato che è superiore ai 6,5 milioni, soltanto parlando delle tasse non versate”. Certo, l’incubo della prescrizione è lì a un passo e il fatto che le stesse pensioni subiscano tagli è un fattore da non sottovalutare: il calcio passa in secondo piano. Sillogismo semplice, d’effetto e che purtroppo rischia di avere ripercussioni sul futuro del pallone in terra greca ben più di quanto si pensi. Nel 2013, proprio il sopracitato AEK è retrocesso per debiti. Nel 2018, a cinque anni di distanza, sembra sia giunta l’ora del Panathinaikos (ho approfondito il tema QUI). Oggi si parla di pistole e di violenze, di chiusure e restrizioni, di stop al calcio e minacce. Di conti, invece, leggermente meno.

Matteo Albanese

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