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Quando Brasile-Cile valeva un posto in una Finale Mondiale

Brasile-Cile di questa notte sarà una passerella per i verdeoro, da tempo già qualificati a Russia 2018 e veri dominatori del girone di qualificazione sudamericano, mentre per la Roja servirà una vittoria per partecipare al suo terzo Mondiale consecutivo, e sarebbe un record. Ma c’è stato un anno dove questa partita valeva tantissimo, valeva la Finale di un Mondiale.
Era il 1962, il Cile era uno dei paesi più poveri di tutto il Sudamerica e quando nel 1956 la Fifa preferì la Nazione con capitale Santiago alla candidatura dell’Argentina lo stupore fu grande. A peggiorare la situazione il 22 maggio 1960 avvenne il più grande terremoto mai registrato, con epicentro a Cañete e che distrusse soprattutto la città di Valdivia. Circa tremila furono le vittime e per molti il lungo e stretto stato sudamericano non sarebbe stato in grado di organizzare i Mondiali. I giornalisti italiani Antonio Ghirelli e Carlo Pizzinelli scrissero di una nazione “sottosviluppata e afflitto da tutti i mali del mondo” e che il Cile sul piano del sottosviluppo andava messo alla pari di Africa e Asia, ma se quei continenti erano non progrediti, i cileni erano regrediti. L’Italia sarà inserita nel girone dei padroni di casa e questi articoli erano arrivati a Santiago. Cile-Italia è passata alla storia come “La battaglia di Santiago”, dove gli Azzurri furono bersagliati tutta la partita da tifosi, avversari e arbitro, che espulse prima Ferrini e poi David, chiudendo un occhio ai colpi da knockout di Leonel Sanchez su Maschio e lo stesso David. Ma quel Cile era davvero una grande squadra con Leonel Sanchez, talento più puro della Roja, che concluse il torneo come capocannoniere. Una vita con l’Universidad de Chile, per poi chiudere la carriera con gli arci rivali del Colo Colo, ma di gran lunga il primo vero campione cileno. Non solo il numero 11, ma anche Toro, Ramirez e Rojas furono grandi figure di quella Nazionale. Dopo i gironi, dove vennero eliminate Italia e Svizzera, fu il turno di un’altra europea lasciare spazio all’armata cilena: l’Unione Sovietica del mitico Lev Yashin.
Ed arriviamo ora alla semifinale in uno stadio Nacional de Chile di Santiago gremito come non mai, perché bisogna affrontare i Campioni in carica di un Brasile sì orfano di Pelè, ma con un Garrincha mai così decisivo. E Manè sarà l’uomo in più anche questa volta. Una sua doppietta nel primo piega le gambe alla Roja che non molla, accorcia le distanze con Toro, ma nella ripresa si scatena quel rapace dell’area di rigore di Vavà che con una doppietta rende vana la successiva segnatura di Leonel Sanchez. 4-2 per il Brasile, davvero troppo forti per tutti, ma per i padroni di casa ci sarà la gloria finale e con l’1-0 sulla Jugoslavia otterrà un incredibile terzo posto. Se escludiamo le tre sudamericane che hanno trionfato in almeno un Mondiale, Argentina, Brasile e Uruguay, nessuna rappresentante di questo continente è mai più riuscita ad ottenere un simile risultato.
I verdeoro continueranno ad essere la bestia nera cilena anche nelle successive edizioni dei Mondiali. Prima in Francia nel 1998 quando Salas e Zamorano non poterono nulla contro lo strapotere di Ronaldo, Rivaldo ed uno scatenato Cesar Sampaio, poi in Sudafrica nel 2010 con la notte d’oro di Luis Fabiano e Robinho e infine nel 2014 in Brasile, dove la traversa di Pinilla e uno splendido Julio Cesar fermarono il Cile sempre agli Ottavi di Finale. Oggi la Roja è una Nazionale diversa rispetto al passato, molto più sicura e convinta del suo valore dopo che ha finalmente vinto in Copa America. E se nel 2015 poteva essere stato decisivo il fattore campo, nel 2016 negli Stati Uniti è stato un bis ancora più bello. Manca poco, ma va conquistato ancora, e questa generazione merita di entrare ancora di più nella storia del calcio cileno.

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