
ANSA / CIRO FUSCO
Bonucci: “Nel 2016 avrei dovuto cambiare angolo. Contro Neuer ho sbagliato la rincorsa. Oggi calcierei forte senza fermarmi. Quella responsabilità è stata cruciale nella mia carriera. Con Conte eravamo una famiglia e sfiorammo la storia.” Rivive emozioni di Germania 2012 e 2006
Cosa sarebbe successo se Leonardo Bonucci avesse tirato quel rigore in modo diverso? Se avesse mantenuto la sua corsa? Se avesse avuto il coraggio di affrontare Manuel Neuer senza esitazioni? Siamo nel 2016, l’Italia è ai quarti di finale degli Europei, e Bonucci deve affrontare una delle sfide più grandi della sua carriera. Oggi, a distanza di anni, l’ex difensore azzurro torna a riflettere su quell’episodio cruciale, rivelando dettagli che fanno rabbrividire.
“Ho deciso di cambiare angolo“, confessa Bonucci. Una scelta, un azzardo. Ma l’errore non è stato tanto la direzione del tiro, quanto l’interruzione della rincorsa. “Se oggi potessi tornare indietro, calcerei sempre forte a incrociare, ma senza fermarmi“, dice con rassegnazione. E chi non avrebbe voluto avere quel potere? La pressione di un momento così decisivo ha un peso immenso, eppure la scelta del difensore di fermarsi ha trasformato un’opportunità in un rimpianto.
Un rigore che segna una carriera
Quel rigore, il primo della sua carriera, rappresentava un salto nell’ignoto. “Prendermi quella responsabilità mi ha permesso di fare il salto definitivo per consacrarmi a livello mondiale“, ammette. Ma che prezzo ha pagato per questa vittoria personale? La delusione per la sconfitta è stata schiacciante. L’Italia non era tra le favorite, eppure, grazie a Conte e al suo staff, era stata forgiata una famiglia. “Si respirava la voglia di fare qualcosa di storico“, ricorda Bonucci, ma il sogno si è infranto. La Germania, avversario temuto, è stata costretta dall’Italia a cambiare modulo. Quella, per Bonucci, è stata una piccola vittoria strategica, un segno di quanto eravamo diventati tosti.
Riflessioni su momenti decisivi
Bonucci è tornato anche sulla sfida di 4 anni prima, sempre contro la Germania, a Euro 2012. Di quella partita leggendaria, il difensore ricorda ben altro: “Contro la Germania, la sofferenza nel finale“. Un primo tempo brillante, ma il crollo fisico stava per arrivare. “Se fosse durata altri dieci minuti, avremmo perso“, racconta con un velo di angoscia. Ma cosa rende queste esperienze così intense? Non è solo il gioco, è l’emozione, la passione, il legame con la maglia azzurra, che trascende il semplice atto di calciare un pallone.
Un simbolo di resilienza
E mentre nel 2006 Bonucci era appena un giovane esordiente in Serie A, la sua storia si intreccia con quella dell’Italia vincente. “Avevo la maglia numero 13, quella di Alessandro Nesta“, dice, evocando ricordi di un tempo in cui il sogno di diventare un campione sembrava lontano, ma non impossibile. “Al gol di Grosso, mi affacciai alla finestra per urlare di gioia“, ricorda, un’immagine di pura euforia, di un momento che ha segnato un’intera generazione. I caroselli, la festa, la soddisfazione per aver battuto la Germania “a casa sua”, tutto questo è ciò che rende il calcio non solo uno sport, ma un fenomeno culturale.
Bonucci non è solo un ex giocatore, è un simbolo di resilienza e determinazione. Le sue parole risuonano ancora oggi, come un monito per chi affronta il peso della responsabilità in campo. Ogni rigore, ogni passaggio, ogni decisione è un riflesso di ciò che siamo e di come affrontiamo le sfide. E in quella riflessione, la domanda rimane: cosa avremmo fatto noi al suo posto?